E’ dato incontrovertibile e anche incredibile che questa ignorata e negletta terra che si distende ai piedi di Roma è invece il soggetto più amato e più illustrato nell’arte europea, a partire dalle ultime decadi del 1700 fino alle prime del 1900. Capolavori dovuti ad artisti quali Cézanne, Van Gogh, Picasso, De Chirico, Manet, Corot, Renoir, di Sargent, di Leighton e di centinaia di altri, e senza scendere più giù nei secoli, portano il titolo di “L’Italienne” e illustrano la donna ciociara in costume, tra l’altro epitome e simbolo dell’Italia intiera. E tale ruolo fondamentale e unico del personaggio in costume ciociaro ancora non viene percepito nel suo significato. Ora portiamo alla conoscenza del lettore un ulteriore capitolo della vicenda che si chiama Ciociaria: la relazione cioè che intercorreva con Gino Severini (1883-1966). Innanzi tutto una parola su questo massimo pittore: toscano, vissuto in prevalenza a Roma e a Parigi dove morì: appartiene all’empireo dei grandi artisti del Novecento europeo, artista pittore ma anche artista musivo e scrittore. La rete fornisce tutte le informazioni necessarie sulla esistenza nonché sulle quotazioni delle sue opere, consolidate ormai sulle molte centinaia di migliaia di Euro. Non conosciamo i percorsi umani che lo hanno condotto a entrare in relazione col ciociaro, quale termine e quale personaggio, certo è che sia a Roma fino al 1906 dove risiedeva e sia a Parigi dove si trasferì quell’anno, la presenza della umanità ciociara era perfino rigurgitante e imponente anche negli ambienti artistici e cioè presso gli studi dei pittori e degli scultori e presso quelli dei fotografi ormai divenuti una diffusa realtà. Li vedevi in giro nei loro sfolgoranti costumi sulla scalinata di Trinità dé Monti o attorno alla fontana di Place Pigalle o a Montparnasse o sui gradini della fontana di Eros a Piccadilly: quasi ingrediente cittadino, non solo a Roma ma anche a Parigi principalmente e a Londra. Altra ipotesi che lo ha portato a inserire il ciociaro nelle sue opere come termine e come personaggio, il fatto che egli fosse tra i fondatori del movimento futurista che, come si sa, bramava e tendeva alla scoperta e alla rivalutazione: istruttivo rilevare in effetti che anche i più famosi futuristi scoprirono la figura del ciociaro. O il fatto che ebbe a frequentare Modigliani che in quei medesimi anni era approdato anche lui nella eccezionale Parigi di quell’epoca e che ogni tanto davanti a tutti tirava fuori dalle tasche un ormai sdrucito pezzo di giornale che raffigurava il celebre ciociarello di Cézanne e ne iniziava, ispirato, la contemplazione e declamazione pubbliche. Altra ipotesi possibile che lo portò a valutare e a tener dovuto conto del ciociaro fu il fatto che l’ambiente futurista sia in Italia sia a Parigi era vissuto e condizionato fortemente dalla presenza dei fratelli Bragaglia, ciociari di Frosinone e tra questi di Anton Giulio che si autodefiniva ’un sosiarò parisien’. Certo è anche che sia a Montmartre e sia a Montparnasse sia nel Quartiere Latino la presenza in giro delle modelle e dei modelli di artista era vistosa e appariscente e si sa che erano in massima parte ciociari. Quindi il contesto, e non solamente quello artistico, era ricco di riferimenti e di richiami che non era agevole ignorare. Quanto è gratificante rilevare è il fatto che il suo interesse per la Ciociaria non è stato una contingenza o un caso bensì un fatto quasi esistenziale che osserviamo e perseguiamo in un periodo di quasi mezzo secolo. Almeno cinque le opere rintracciate: la prima in stile cubista, il movimento di cui lui stesso assieme a Braque e a Picasso fu iniziatore, porta la data del 1914 e tra i vari elementi che la costituiscono -strumenti da disegno, decorazioni, altri elementi- vi si osserva una cartolina con la silhouette di una coppia di ciociari e la scritta ‘ciociara’ e l’opera medesima è così intitolata “La ciociara”; ne esiste una variante col medesimo titolo. Dieci anni dopo ci imbattiamo in una coppia di ciociarelli in un puro stile naif; nel 1942 dipinge un magnifico ‘arlecchino’ e dal tavolino affianco pende un biglietto in cui si legge: ‘ciociara’ e l’opera è intitolata: “Arlecchino con chitarra: la ciociara”. Ma quello che consideriamo un vero e proprio omaggio e celebrazione della donna ciociara nella sua metafora di ’Italiana’ per antonomasia, è un grosso pannello realizzato in un noto negozio di articoli sportivi in Via del Corso a Roma nell’immediato dopoguerra e intitolato “L’Europe Malade”: vi si vede la immagine dell’Europa sotto forma di signora distesa su un divano e le rappresentanti delle varie nazioni che la assistono: l’Italia è raffigurata con gli abiti di una ciociara. Dobbiamo questa immagine alla cortesia della Professoressa Fonti, specialista dell’artista.
In aggiunta a quelli menzionati più sopra, un ulteriore motivo che può aver contribuito a tener vivo il concetto ‘ciociaro’ in Gino Severini fu il fatto che il genero, lo scultore Franchina, lavorasse in quegli anni cinquanta e sessanta quasi gomito a gomito con Domenico Mastroianni di Arpino ed Eleuterio Riccardi di Colfelice in quel falansterio d’arte che fu Via Margutta 51A a Roma.
Michele Santulli