Scapoli, paesino ai piedi delle Mainarde Molisane (altezza 611 metri) a circa 15 Km -in linea d’aria meno della metà- da Cardito (altezza 857 metri) fraz. di Vallerotonda che, a sua volta, è sul versante ciociaro. Tutti i paesi di questa zona a cominciare da Villalatina/Vallegrande (altezza 415 metri) passando per San Biagio S.(altezza 836 metri) e Cardito fino ad Acquafondata (altezza 926 metri) e Vallerotonda ( altezza 620 metri) e versante Molisano, come detto, Scapoli, Cerasuolo ( altezza 678 metri) e San Vincenzo al Volturno (altezza 749 metri) registrano una secolare tradizione, ove più ove meno accentuata, nell’esercizio della zampogna e del piffero come attività lavorativa sia stagionale sia permanente. Ma il comprensorio vero e proprio della zampogna è il territorio compreso tra Atina-Villalatina/Vallegrande-S. Biagio S.-Vallerotonda/Cardito e con propaggini fino a Cerasuolo frazione di Filignano in Molise: questo è il vero ed autentico e tradizionale comprensorio della zampogna -e non solo della zampogna- perché è da queste zone che costantemente e permanentemente si muovevano i flussi umani sia in maniera stagionale (principalmente le novene natalizie e prenatalizie) verso le città italiane e sia in maniera permanente verso l’Europa e il Mondo. E’ in questo territorio che è nato lo zampognaro ciociaro tipico che la fame e la miseria dei luoghi avevano educato alla libertà ed a veramente sentirsi cittadino del mondo. Da questi luoghi, infatti, essendo da sempre abituati alla transumanza, al lavoro stagionale nelle regioni confinanti, agli spostamenti ciclici nelle città italiane per le festività, che si è sviluppata anche la prima grande e permanente emigrazione ciociara e nazionale principalmente verso la Scozia e la Inghilterra e parallelamente anche verso Parigi. Già agli inizi dell’800 si registrano le prime presenze ciociare in questi Paesi! I grandi flussi migratori generali inizieranno verso la fine dell’800. Ma gli avamposti partirono -come detto- dal suddetto comprensorio della zampogna. Questa è la terra dei suonatori ambulanti e dei girovaghi, quindi anche degli zampognari, e solo questa. Vorrei precisare che l’attività girovaga di questi luoghi non consisteva solo di zampognari e di pifferari o di pastori che erano certamente i più conosciuti e i più amati, ma anche il venditore della cosiddetta ‘fortuna’ col pappagallo, il giocoliere con la scimmia, l’ammaestratore di orsi, il suonatore di organetto, il suonatore di piatti e tamburo che contemporaneamente col piede azionava il movimento di certi pupazzetti. Un mondo umano pieno di suggestioni la cui esistenza dura e precaria era la strada, erano le vie del mondo. Ecco perché il biasimo continuo da riversare sulle istituzioni ciociare, specie quando mancano i privati pionieri ed amatori : che cioè fino ad oggi ancora non si è stati in grado di ravvisare la urgenza e, soprattutto, la importanza, formativa ed educativa, della istituzione almeno di un embrione di museo della civiltà ciociara ove raccogliere appunto, o almeno cominciare, queste memorie che ormai diventa sempre più arduo ripercorrere e recuperare.
Pur se la attendibilità geografica è notoriamente piuttosto aleatoria nella maggior parte dei casi, come abbiamo già rilevato, è però istruttivo ricordare che Pinelli, sempre nella prima edizione del 1809 dei suoi “Costumi pittoreschi” registrava in una tavola la raffigurazione degli inappuntabili zampognari ciociari con la seguente didascalia: “Li pifferari in Roma, Costumi del Regno di Napoli”. Anche questo è un documento che va preso nella dovuta considerazione. Sarebbe stato infatti molto più semplice e molto meno compromettente per l’artista scrivere : “Li pifferari in Roma. Costumi d’Abruzzi” anziché quella dicitura così impersonale e vaga. Vuol dire invece che già alla sua epoca, primo decennio dunque del 1800, a chi ovviamente voleva e sapeva vedere, appariva chiaro che la provenienza di questi suonatori ambulanti era un’altra, non sicuramente dunque gli Abruzzi, provenienza che però non si conosceva dovutamente, ma si sapeva che si trattava di località anche esse del Regno di Napoli. Chi infatti poteva anche lontanamente immaginare che su questi cocuzzoli sperduti delle Mainarde e delle località ai piedi della Meta potessero fiorire tali attività così singolari ? E’ già importante, voglio dire, che l’artista riconoscesse che i pifferari e zampognari da lui raffigurati non erano abruzzesi ma che invece originassero da altre località del Regno di Napoli! L’unico luogo del Regno di Napoli patria di quei pifferari vestiti in quel modo può essere solo il suddetto comprensorio della zampogna sia dal punto di vista folklorico (costumi, cioce) sia dal punto di vista della tradizione soprattutto riferita all’emigrazione. Le caratteristiche tecniche musicali delle zampogne e dei pifferi nonché la lavorazione artigianale degli strumenti medesimi sicuramente in questa zona connotano aspetti propri che mi auguro qualche appassionato sentirà la curiosità di rintracciare e di individuare. In questo contesto della ciociarità del comprensorio della zampogna mi piace, inoltre, rammentare al lettore che già nel 1841 il poeta Giuseppe Giusti in una sua lettera parlava degli “ottimi zampognari e pifferari ciociari” evidenziando così una realtà a quell’epoca, dunque, già chiaramente acquisita. Inoltre ancora alla fine dell’800 il D’Annunzio nelle sue “Novelle della Pescara. La Vergine Orsola” così registrava: “Quei suoni che i ciociari di Atina traevano da un otre di pecora e da un gruppo di canne forate”. Pur se la storia non ha bisogno di conferme, è bello rammentare tali osservazioni sia del Giusti sia dell’Imaginifico per sottolineare la storicità di quanto sopra. E’ ben possibile che nel periodo delle novene dell’Immacolata e del Natale migravano verso le grandi città italiane zampognari e pifferari di altre regioni e subregioni italiane. Ma purtroppo gli studiosi del folklore non hanno ritenuto abbastanza gratificante per loro tale aspetto della tradizione in quanto non mi pare che questa pagina sia mai stata dovutamente studiata, vale a dire l’esame e le differenziazioni di questi musici girovaghi, né tanto meno la loro provenienza, il loro abbigliamento, i loro strumenti, per cui questo segmento rimane sempre avvolto dalle ombre e, anche, da una certa dose di arbitrarietà. L’unica certezza è che la sola iconografia consistente e ricca che possediamo su questo personaggio è anche essa solo ed esclusivamente ciociara, come ripetutamente ricordato.
Due paesini delle Mainarde, Acquafondata (altezza 926 metri) in Ciociaria e Scapoli (altezza 611 metri) in Molise, già menzionato, è qualche decade che stanno portando avanti la valorizzazione e promozione della zampogna, entrambi -forse senza volerlo- accreditando una loro particolare e propria tradizione e una cultura in merito che in realtà non corrispondono ai fatti. Tale mancanza di fonti documentarie probanti nulla toglie alla bontà e al merito degli sforzi dei due Comuni, tanto più lodevoli e meritori vista la latitanza permanente delle istituzioni ciociare nelle cose di cultura e di arte. Il “Circolo della zampogna” di Scapoli è stato ed è tutt’ora non solo puro entusiasta ma altresì attento organizzatore. Ha istituito un piccolo museo della zampogna, sempre aperto!, supportato dalla edizione periodica di una rivista che ora può guardare indietro già ad una diecina di anni di attività e da altre pubblicazioni, pieghevoli, opuscoli che illustrano questo antico strumento, parallelamente incentivando e stimolando non solo la pratica quanto anche la lavorazione artigianale dello strumento. A luglio realizzano un festival della zampogna che gli animatori hanno saputo intelligentemente far inserire in quei circuiti europei della musica popolare promossi e finanziati dall’Unione Europea. Acquafondata realizza anche essa, prima a gennaio, da qualche anno a maggio, un festival della zampogna ora alla 43a edizione che ormai trova posto stabile nel calendario delle manifestazioni di respiro nazionale pur se marcati segni di stanchezza sono purtroppo evidenti. La sopravvivenza e la cultura di questo antico strumento molto deve dunque ai due paesini e ai rispettivi animatori.
Oltre a tutto quanto fin qui, da una indagine condotta in queste piccole località delle Mainarde ciociare si apprende:
-fino a pochi decenni fa era pratica diffusa, tra i vari motivi di spostamento, che gli zampognari e i suonatori ambulanti in genere di queste contrade facessero dislocazioni nei paesi molisani per approvvigionarsi di olio d’oliva, in cambio delle loro prestazioni musicali;
-nel passato, da sempre, ma ancora oggi tra i più anziani, queste località molisane fino ad Agnone ed Isernia, si chiamavano e si chiamano ancora ‘Abruzzi’ !
In questo contesto si rende anche necessario evidenziare che, in conclusione, l’unica iconografia consistente e probante che abbiamo in prevalenza sulle tre professioni più conosciute e note e cioè quella del pastore, quella dello zampognaro/pifferaro e quella del brigante è, dal punto di vista folklorico, unicamente ed esclusivamente ciociara.
Michele Santulli