“Italiennes Modèles: Hébert et les paysans du Latium” questo è il titolo di una esposizione di largo respiro che il Museo d’Orsay ha presentato al mondo a partire nel 2009 per la durata di circa cinque mesi. Titolo che tradotto in Italiano significa: “ Italiane modelle: Hébert e i contadini del Lazio”.
Il tema della mostra nel suo complesso sono le opere che Hébert realizzò aventi per soggetto solo il personaggio ciociaro in costume. Questa del grande Museo parigino è la prima esposizione di prestigio e di importanza internazionale dedicata a questo soggetto principale della pittura setteottocentesca occidentale che è l’uomo o la donna nel loro sgargiante costume ciociaro.
“Modelle Italiane” rappresenta veramente un concetto eccezionale nella storia dell’arte europea nel corso della seconda metà del 1800 e le prime decadi del Novecento principalmente a Parigi ma anche a Londra ma prima di tutte a Roma. E in effetti queste modelle italiane -ma anche i modelli italiani- rappresentavano a Parigi la stragrande maggioranza dei modelli che erano qualche migliaio in tutto principalmente a Montmartre e a Montparnasse. Questi modelli italiani erano per l’assoluta maggioranza solo ed esclusivamente ciociari e, strana e curiosa realtà, in gran parte originari di alcuni paesetti della Valcomino, vale a dire in terra di Lavoro settentrionale e cioè nel Regno di Napoli. Numerosi e incredibili capolavori dell’arte europea non sarebbero stati possibili senza la presenza ispiratrice e coinvolgente dei modelli ciociari e penso all’’Italienne’ di Manet o all’’Agostina’ di Corot o, sempre di Corot, a quella struggente “Lettura interrotta” di Chicago o alle quattro versioni del “Ragazzo dal panciotto rosso” di Cézanne o a ‘L’Italienne” di Van Gogh al M. d’Orsay, o agli assoluti capolavori di Rodin quali il ‘S.Giov.Battista’ o ‘l’uomo che cammina’ o ‘Torso d’Adele’ o ‘Iris’ o a qualche versione del ‘Bacio’ o alle varie ‘Carmen’ di Whistler o all’’Italienne’ perfino cubista di Picasso, o al “Serf’ e a quel capolavoro incredibile di ‘Carmelina” di Matisse a Boston, per arrivare fino alla ‘Mia governante’ di Derain, al “Vecchio suonatore di mandolino” di Tamara de Lempicka e ‘All’Europa malata’ di Severini, un florilegio come si vede inaudito di capolavori resi possibili dalla presenza coinvolgente dell’umile e affamato ciociaro di Gallinaro o di Picinisco o di Atina o di Casalvieri, tutti paesetti della Valcomino, questo scrigno eccezionale di realtà e di fatti storici inimmaginabili totalmente ignorato e sconosciuto. La nostra televisione per esempio ci fa conoscere perfino il colore delle mutande di Tutankamon ma ignora totalmente queste realtà eccezionali che contraddistinguono la storia d’Italia e d’Europa nel setteottocento.
Ma torniamo al titolo: quindi questo ‘italiennes modèles’ non ha nulla a che vedere coi ‘Paysans du Latium’ del titolo e poco con Hébert, comunque un tema, come sopra solamente adombrato, della più grande rilevanza che nella suddetta esposizione non viene minimamente documentato e ci si chiede a che scopo inserirlo nel titolo. Che rapporto possano avere dunque le modelle ciociare coi contadini del Lazio, lo comprende solo lo studioso della esposizione. Che cosa c’entri poi il Latium coi ciociari dipinti da Hébert -e Hébert ha dipinto solo ed esclusivamente personaggi in costume ciociaro in Ciociaria– di nuovo è difficilmente comprensibile. In effetti Latium/Lazio nel 1800 era un concetto in uso solo presso gli studiosi di archeologia o di storia ma assente nell’uso comune ed amministrativo da secoli e comunque la sua estensione era solo a Sud della linea Tevere-Aniene. Infatti già nelle carte geografiche della fine del 1500 si legge: “Campagna di Roma olim Latium” oppure “Latium nunc Campagna di Roma”. Infatti l’accezione comune amministrativa papale era appunto ‘Campagna di Roma’ che si estendeva, partendo dalla linea Tevere-Aniene, fino al fiume Liri e suo prolungamento virtuale fino a Terracina. Al di là iniziava il Regno di Napoli e più esattamente una delle sue ventidue province e cioè Terra di Lavoro. Dopo il 1870 fu esteso anche a Nord della linea Tevere-Aniene cioè nei territori che costituiscono le province di Rieti e di Viterbo e solo nel 1927, con la costituzione della provincia di Frosinone, anche fino agli attuali confini e cioè fino al Garigliano.
Inoltre nel catalogo si legge che la calzatura caratteristica di questi personaggi, le cioce, sono le ‘espadrillas’ spagnole -follia imperdonabile- e che -ulteriore follia storica- venivano indossate dai “paysans italiens”! Se poi -come osserva la studiosa- aggiungiamo che Cassino si trova in Ciociaria ma che Subiaco nel Lazio -e qui ci fermiamo- allora si deduce che veramente lo studioso o la studiosa non ha compreso proprio nulla e ci si chiede come mai il prestigioso Museo d’Orsay presenti al pubblico internazionale tale corredo informativo senza averne vagliato quanto meno la competenza specifica nella materia in oggetto.
Certo è che il personaggio in costume ciociaro che dopo la iconografia di Napoli e di Venezia, è il soggetto più amato e più illustrato di tutta la pittura europea del setteottocento, a seguito delle inesattezze tecniche presenti nella esposizione ne esce molto diminuito e ancora più confuso. Infatti questo soggetto fondamentale dell’arte occidentale purtroppo non ha un nome, come pure le modelle e i modelli. Li chiamano italiani, romani, della campagna romana, figure romane, calabresi, napoletani e il più delle volte costumi abruzzesi. I più forbiti non si peritano dal chiamarli zingari o tirolesi o baschi. Il termine ciociaro, pur se noto già dal 1809, è quasi completamente ignorato. Di conseguenza, tale mostra al Museo d’Orsay assesta un ulteriore colpo all’azzeramento e alla distruzione della identità storica dei ciociari. Cioè avverrà che il visitatore sarà portato a dedurre che il ciociaro possa essere originario anche di Viterbo o di Rieti, che i contadini italiani indossano le cioce, che le cioce sono come le espadrillas spagnole, che le modelle ciociare di Roma, di Parigi e di Londra non erano ciociare ma genovesi o livornesi o venete!
Tale degrado è stato possibile soprattutto perché le nostre istituzioni culturali come al solito si occupano sanno loro di che e gli studiosi di folklore e di tradizioni popolari italiani non hanno mai saputo individuare e caratterizzare il ruolo del costume ciociaro sia nell’ambito della storia sociale italiana e sia soprattutto nel contesto dell’arte europea del setteottocento. Alla facoltà di Lettere di Roma il costume ciociaro è stato sempre e regolarmente connotato come costume romano o laziale o romanesco! Mai ciociaro! Si tenga a mente che nella Grande Enciclopedia Treccani del 1929 i termini ‘ciociaro’ e ‘ciocia’ sono assenti!
Questa esposizione al Museo d’Orsay, data la sua rilevanza mondiale, avrebbe potuto per la prima volta tracciare le linee guida e fornire le informazioni appropriate e definitive. Purtroppo ha contribuito ad aggravare la situazione.
Michele Santulli