E’ una pagina, anche questa di Parigi nella vita del grande artista, non poco incerta e dibattuta. Si sa solamente, alla luce delle ultime ricerche e risultanze, che è arrivato a Parigi il 27 febbraio 1886 e ivi è rimasto per due anni esatti, anni che sono equivalsi per lui ad una vera e propria rivoluzione e non solamente stilistica. Salvo le occasionali visite ai bordelli, Van Gogh a Parigi frequentò per parecchio tempo la proprietaria di un ristorante che veniva identificata come ‘La Segatori’, anni prima una delle modelle più richieste: Gérôme, Manet, Renoir, Corot e tanti altri la ebbero sulla pedana. Allorché i fulgori della gioventù iniziarono ad appannarsi, Agostina Segatori, questo è il suo nome, aprì un ristorante a Montmartre, il quartiere degli artisti ed esattamente al Boulevard de Clichy 62, in un bel palazzo terminato da poco, oggi ancora in piedi. Un po’ più avanti, al n.104 vi era lo studio di un affermato maestro di pittura, Corman, che da subito, quindi dagli inizi di marzo 1886, Van Gogh iniziò a frequentare e dove conobbe Toulouse-Lautrec, E.Bernard, Anquetin e altri artisti. Egli abita col fratello Théo a Rue Laval 25 (che oggi si chiama Rue Massé) e l’abitazione si trovava proprio all’imbocco della Rue Frochot, una stradina che immetteva a Place Pigalle, il cuore della vita artistica, e da qui dopo altri cento-duecento metri l’artista passava davanti al ristorante di Agostina e dopo altri duecento metri era nello studio Corman, sempre sullo stesso lato della via. Mi si deve perdonare tale ricerca del dettaglio apparentemente noiosa ma si capirà qui appresso quanto, al contrario, determinante per conseguire certe risultanze. Il ristorante aperto da Agostina l’anno prima si svolgeva su due piani e si chiamava ‘Le Tambourin’, per due ragioni: la prima perché sia i tavoli sia gli sgabelli e sia le suppellettili avevano tutti la forma del tamburello e la seconda perché questo strumento musicale era tipico e caratteristico delle modelle ciociare, che lei ben conosceva: il nome quindi era anche un tributo a questo nobile mestiere. Le ragazze che servivano erano tutte ciociare in costume, come ricordano i manifesti inaugurativi e anche alcuni tamburelli di artisti appesi nel locale: la padrona stessa indossava il costume ciociaro. Grazie al Museo Van Gogh di Amsterdam ora si sa per certo, come detto, che l’artista arrivò a Parigi fine febbraio 1886 e che subito iniziò a frequentare i corsi di Corman: logicamente, visto il suo itinerario, come più sopra descritto, era normale passare davanti al Tambourin che, si aggiunga, era anche uno dei luoghi di incontro degli artisti, tanto, per esempio, che Toulouse-Lautrec ritrasse Van Gogh mentre vi beveva qualcosa. E’ una evenienza curiosa che Agostina appare sulla scena anche lei il primo marzo nel suo ristorante, dopo una assenza per ragioni che non sappiamo, di due mesi. Quando dunque l’artista fece la sua conoscenza immaginiamo che Agostina era in perfetta forma e in perfetta efficienza, di nuovo nel suo locale, nel suo splendido costume ciociaro. E a questo periodo risale un quadro di Van Gogh che sottolinea e celebra la nascita di questo rapporto: l’artista dipinge un mazzo di pensées in un cestino poggiato su uno sgabello o tavolino a forma di tamburello e già questo fiore, le viole del pensiero, che l’artista non dipingerà mai più, ha un suo significato e esprime certi sentimenti e inoltre, il mobile a forma di tamburello è la riprova quasi fisica di un rapporto e di una relazione quanto meno amichevole. Non è più nello stile tenebroso degli anni olandesi ma in quello vaporoso quasi impressionista che stava assimilando a passi da gigante da Corman. E i due massimi esperti dell’artista, autori delle due monografie delle sue opere, una del 1928 e una del 1986, mentre per la collocazione cronologica di tutte le opere dell’artista raramente sono in accordo, con questa sono entrambi in perfetta sintonia e la collocano nella primavera del 1886! Quindi si conferma quanto detto più sopra e che cioè Agostina e Van Gogh si sono conosciuti a partire dai primi di marzo 1886. Ed è in questo momento delicato e cruciale che iniziano invece le divergenze e le differenze tra gli studiosi. Prima di tutto il Museo Van Gogh di Amsterdam, e non sappiamo in base a quali motivazioni distruttive quantomeno di quelle espresse dai due massimi esperti citati, pur ripetendo 1886, sposta la data delle Pensées all’anno 1887, inoltre continua assieme ad altri studiosi a fissare la presa di conoscenza tra i due personaggi, Van Gogh e Agostina, alla fine del 1886 o addirittura all’inizio del 1887 e a datare i due capolavori aventi per protagonista Agostina, quello di Amsterdam nell’inverno 1887 e quello del Museo d’Orsay ‘Agostina’ in costume ciociaro, addirittura alla fine del 1887. Le motivazioni alla base sarebbero di carattere stilistico, scaturienti dall’esame dell’opera oggi al Museo d’Orsay in particolare. Quello di Amsterdam, dunque, sarebbe antecedente in quanto sembra di scorgervi ancora la personalità olandese dell’artista, quello al Museo d’Orsay necessariamente posteriore in quanto in stile impressionista, che l’artista sta assimilando. Tali prese d’atto sono sicuramente, e necessariamente, alla base anche dello slittamento forzoso delle Pensées all’anno successivo: per far quadrare il cerchio delle congetture e deduzioni. Noi invece, dopo aver dimostrato che Van Gogh ha necessariamente e logisticamente conosciuto Agostina già dai primi giorni del suo arrivo a Parigi, che le ‘Viole del pensiero’ sono di questa epoca come confermano all’unisono i due esperti menzionati de la Faille e Hulsker, sosteniamo che anche l’’Agostina’ in abito ciociaro del Museo d’Orsay risale a questo momento felice dell’artista che sta vivendo e assaporando vicino alla sempre attraente e ben motivata Agostina. Ripetendo le parole della cognata Jo Bonger, questo dipinto in effetti fa parte del momento ‘fragoroso e assolato’ dell’impressionismo come metabolizzato e assaporato a passi giganteschi da un Van Gogh a Parigi, resuscitato e risorto a nuova vita, rispetto al periodo passato: ora sta veramente vivendo, in tutti i sensi, e Agostina rappresenta per lui lo stimolo e la molla principali. Un gigante non ha bisogno di cercare o di sperimentare: è dunque a dir poco inappropriato fissare l’Agostina del Museo d’Orsay, secondo i critici, addirittura al dicembre del 1887 perché almeno due anni sarebbero stati necessari a Van Gogh per assimilare l’impressionismo come documentato nel quadro in oggetto! Ciò affermando, si offende l’artista: i quattro mesi vissuti avidamente nello studio di Corman affianco ad altri giganti della pittura quali Gauguin, Pissarro, Signac, Toulouse-Lautrec oltre a quelli più sopra citati, sono perfino troppi per consentire e permettere a Van Gogh di percorrere speditamente e allo stesso tempo di padroneggiare, le nuove vie e i nuovi sentieri pittorici. Di conseguenza l’opera ‘L’Italienne.Agostina’ del Museo d’Orsay è in questo periodo di felici consonanze e assonanze tra Agostina e Van Gogh che va correttamente collocata cioè al massimo entro aprile 1886.
Fermo tutto quanto sopra, l’Agostina del Museo di Amsterdam è opportunamente collocata ai primi mesi del 1887 pur se quanto fin qui espresso riterrebbe ancora più logico l’autunno 1886, quando ormai la esistenza della modella sia rispetto al suo ‘Tambourin’ sia magari rispetto anche alla sua vita familiare, sta accusando negatività e preoccupazioni. E Van Gogh nel quadro ha reso da par suo, da titano al di sopra di tutti, il nuovo ruolo e la nuova immagine di Agostina seduta sola nel suo ristorante.
Michele Santulli