Ferdinand Gregorovius (1821-1894), storico e letterato tedesco amante della cultura e dell’arte italiane: visse a Roma per ventidue anni (1852-1874) e in occasione di questo lungo soggiorno non mancò di visitare ripetutamente tutto il Paese.
Di tali “Anni di vagabondaggio in Italia” è testimonianza una serie di cinque volumi dati alle stampe a partire dal 1856, in tedesco ovviamente, che ebbero un successo strepitoso in Germania tanto che fino alla fine del secolo se ne ebbero quasi dieci edizioni. Se si considera che la prima traduzione completa italiana iniziò nel 1906 allora possiamo affermare che i tedeschi, come non di rado avviene, conoscevano, nel nostro caso, la Ciociaria molto più approfonditamente di quanto la conoscessero gli Italiani stessi.
Va rilevato che di tali “Anni di vagabondaggio in Italia” quelli sui quali maggiormente si sofferma e scrive sono quelli che più evidentemente lo colpiscono e impressionano e cioè quelli in Ciociaria. Infatti i saggi direttamente ciociari sono almeno cinque che diventano sette se aggiungiamo quello dedicato al capo Circeo e quello sugli idilli che, va detto, non vengono qui considerati in quanto si occupano di altri argomenti. Invece frequenti richiami alla Ciociaria evidenzia il saggio: “Una settimana di Pentecoste in Abruzzi” che potrebbe essere ritenuto, pur se parzialmente, l’ottavo saggio poiché numerosi sono i richiami che lo scrittore interpone tra il territorio marsicano e Sora per quanto riguarda il costume e il dialetto e altre affinità.
Su nessuna regione italiana dunque si è soffermato così tanto quanto sulla Ciociaria. E quello che costituiva il suo punto focale di interesse erano le tipicità folkloriche uniche e tipiche qui riscontrate.
Definisco da sempre il Gregorovius il primo etnografo di questa Terra in quanto è stato il primo ad occuparsene scientificamente. Per primo è lui che parla del busto delle donne, del cappello a punta, delle cioce, della Ciociaria, di ciociaro, della fragorosità e vivacità del cromatismo degli abiti. Del cappello a cono tipico realizzato con un feltro particolare chiamato ‘panno di Alatri’ ne identifica il luogo di produzione appunto in Alatri, descrive le cioce in termini inappuntabili, scientifici, per la prima volta nella storia, facendo rilevare la differenza tra le cioce vere e proprie che sono addirittura ‘classiche ed eleganti’ e quelle che invece in realtà sono non-cioce, zampitti o altro, e che comunque localizza e fissa esclusivamente in quel territorio che lui identifica come Ciociaria, descrive il busto degli abiti delle donne direttamente cucito alla veste, descrive e delinea il territorio in cui rileva la uniformità degli abiti e delle calzature che chiama Ciociaria e che corrisponde in gran parte all’attuale situazione. Parla e si sofferma sul costume ciociaro indossato dalle donne di cui loda il portamento e la grazia. Quanto anche fondamentalmente precisa e dichiara è la tipicità particolare di tali elementi dell’abbigliamento solo di questa Terra.
Si deve a lui e agli interventi e articoli svolti ripetutamente sull’argomento che le Mura Ciclopiche di Alatri divennero da allora oggetto e meta di visite e di studi. Una targa apposta ricorda questo fatto. E null’altro in provincia conserva la memoria di questo Grande che fece per la Ciociaria Storica per primo quanto mai nessuno aveva fatto fino allora e fino ad oggi.
Altra opera importante, forse la principale, è la famosa “Storia di Roma nel Medioevo” in più volumi che ebbe così tanto successo che il da poco istituito consesso comunale di Roma, incurante di non poche tirate critiche ed aspre nei confronti dell’oscurantismo e arretratezza ideologica della Chiesa cattolica presenti nell’opera, gli conferì la cittadinanza onoraria di: civis romanus, di cui il Gregorovius fu enormemente orgoglioso. Altra opera rilevante sono i suoi diari che coprono tutti i ventidue anni trascorsi in Italia: non vi incontriamo osservazioni o rendiconti che possono essere di interesse ai nostri ambiti.
Molto soffrì, dopo Porta Pia nel fatidico settembre 1870, e anche molto contestò e si dolse, assieme ad altri grandi quali Carducci e D’Annunzio, a seguito della incipiente distruzione e cementificazione di cui intuì la portata catastrofica che avrebbe annientato e cancellato la immagine di Roma come sedimentata nei secoli e il suo futuro e chiaramente scrisse che ormai ‘l’incanto’ era terminato per sempre! E abbandonò Roma e l’Italia.
Michele Santulli