Axel Munthe (1857-1949) è l’autore di ‘La storia di San Michele’ uno dei libri più letti del 1900 in tutto il mondo. Narra la vicenda personale dell’artista che possiamo immaginare seduto al suo scrittoio nella sua casa di Anacapri, in compagnia dei suoi gatti e dei suoi cani, con la visione davanti a lui dello scenario naturale più prezioso e più suggestivo del pianeta, mentre mette sulla carta la sua vita enormemente ricca di vicende e di esperienze, in un linguaggio accattivante e scorrevole. Vicende che raccomandiamo a tutti di conoscere se ancora ignote, in quanto fonte di godimento e di ammirazione ma anche di elevamento, come poche. Axel Munthe fu un brillante medico esperto in ginecologia e ostetricia pur se la sua predilezione era la neurologia e le malattie nervose e mentali. Esercitò a Parigi, in Svezia suo paese di nascita, a Capri, a Roma, a Napoli, a Londra: la sua clientela erano la nobiltà e i grandi professionisti e imprenditori, dovunque si trovava, tali il suo charme e la fiducia riscossa: le sue lingue madri erano lo Svedese, l’Inglese, il Francese, l’Italiano e, di meno, il Tedesco: un autentico cittadino dell’Europa. Alcune pagine del suo capolavoro ‘La storia di San Michele’ e qualche novella dell’altra sua opera ‘Memorie e Peregrinazioni’ più di una volta parlano e descrivono i suoi contatti e relazioni coi ciociari sia a Parigi e sia soprattutto a Roma. Sembra incredibile che un personaggio così importante -basti pensare che gli ultimi anni della sua esistenza li trascorse nel Palazzo Reale di Stoccolma, ospite del re di Svezia- trovasse piacere e gratificazione a coltivare anche contatti con gli umili e poveri ciociari a Parigi prima e con maggior frequenza a Roma. In effetti questo personaggio veramente straordinario di cui, mi ripeto, raccomandiamo la lettura, fa parte degli uomini che si caratterizzano per la ricca sensibilità e sincero rispetto nonché amore sia per la natura sia per la umanità, senza dimenticarne la carica di filantropia e di mecenatismo: fresco di laurea a Montpellier in Francia, appena nel 1884 scoppiò a Napoli la pestilente epidemia di colera, immediatamente fece i bagagli e vi si recò per prestare la sua opera a favore dei colpiti. Particolare attenzione riservava infatti ai poveri e agli umili e, come ricordato, grande era anche il suo rispetto e considerazione degli animali: era circondato da cani e da gatti, dal suo babuino e dal suo gufo e a Capri, dove costruì la sua villa chiamata appunto ‘San Michele’, acquistò con l’aiuto finanziario anche di altri appassionati, tutto un promontorio, il Monte Barbarossa, dove si riposavano gli uccelli migratori che, arrivati stanchi dal lungo viaggio, divenivano facile preda di bracconieri e di cacciatori, e quindi per preservarli e custodirli e salvarli, acquistò come detto tutta una montagna divenuta poi riserva naturale, oggi ancora, a loro salvaguardia. Il suo rispetto per gli animali lo portò ad intraprendere numerose iniziative lungo tutta la sua vita, coi suoi amici, nell’impegno contro gli esperimenti in laboratorio con gli animali, le trappole, la crudeltà.
Più di una volta nel suo libro parla dei ciociari che, giustamente, faceva originare dalle montagne ‘al di sopra di San Germano/Montecassino’. Ne aveva un buon ricordo. Era infatti molto amato e rispettato dalla umanità che affollava la scalinata di Trinità dei Monti, modelle, modelli, venditrici di fiori, venditori di fiammiferi….ne curava le infermità e seguiva le sorti regolarmente, senza farsi pagare, immaginandone la indigenza: racconta che ogni mattina quando prendeva la carrozza per recarsi al suo studio a Trastevere c’era sempre qualche ciociarella che, grata, si avvicinava e gli porgeva un mazzolino di viole o di fiori o qualche altra cosa. E lui racconta con amore e simpatia e gratificazione questi segni di rispetto di cui era partecipe a contatto coi poveri ciociari romani: abitava infatti a Piazza di Spagna nella palazzina dove oggi è albergato il memoriale ai poeti Keats e Shelly, vale a dire direttamente sulla Scalinata, al numero 26: al mondo non c’è luogo più pittoresco di questo: si immagini quando la mattina, alla fine del 1800, apriva le finestre e godeva di quello spettacolo variopinto e smagliante di colori unico al mondo, rappresentato dai ciociari sulla scalinata o ai piedi di essa o attorno alla Barcaccia. E con quanta sensibilità ed attenzione nel suo libro descrive questi momenti del suo passaggio con la carrozza e tutte le effusioni e salutazioni di cui veniva fatto segno da queste creature. E di una di queste ciociarelle, dal nome di Raffaella, ne fa perfino la protagonista di un racconto del suo altro romanzo citato, anche esso sempre letto e ricercato, ‘Peregrinazioni e Memorie’.
E’ imperdonabile, non scusabile che fino ad oggi qui, nella Ciociaria frusinate, nessuno dei reggitori delle pubbliche istituzioni e nessuno dei cosiddetti rappresentanti politici siano stati in grado di onorare in qualche modo, e di tenerne desta la memoria, questo grande cittadino europeo che ha, anche lui, contribuito a serbare memoria e ad eternare i ciociari. Non solo ma se qualcuno ne richiama l’attenzione, si corre non di rado anche il rischio di venir deriso, piuttosto che ringraziato: la ‘crapite’, come la chiamerebbe Sgarbi, è sempre attuale e gli elettori continuano a non vedere abbastanza, con grande danno di tutti.
Michele Santulli