GLI ARTISTI ANAGRAFICAMENTE CIOCIARI NEL 1800-900

Purtroppo anche questo è un tema oggetto di scarse ricerche. Qui appresso ci si sforzerà di fornire una serie di informazioni basilari su quegli artisti ciociari del passato, anagraficamente ciociari o tali considerati e tali informazioni è la prima volta che vengono portate alla conoscenza. Questa Terra ha avuto il privilegio di dare i natali a molti uomini illustri in tutte le branche dello scibile che hanno contribuito alla crescita civile della società ma nessuno vi è vissuto, tutti hanno dovuto mettere a disposizione di altre comunità la loro genialità e la loro cultura.

Cominciamo la rassegna degli artisti ciociari dll’8/900 con Castrocielo poiché questo paesetto disteso su un declivio di M. Asprano, a pochi chilometri da Cassino, una volta chiamato Palazzolo, si può considerare patria di almeno quattro artisti: Amleto Cataldi (1882-1930), Antonetto Cataldi (1910-1939), Costantino Abbatecola (†1902), Alfonso Simonetti (1840-1892). Se poi ricordiamo che Giuseppe Mancinelli (1813-1875), il grande artista accademico napoletano, ebbe intime relazioni con questa cittadina -un busto in bronzo lo raffigura e lo commemora nel cimitero della cittadina- allora possiamo effettivamente ribadire il ruolo prestigioso della cittadina.

Costantino Abbatecola (†1902) operò a Napoli sia come pittore sia come stimato giornalista e critico d’arte. La sua opera è molto rara a rinvenirsi. La critica registra i seguenti quadri da lui presentati a pubbliche esibizioni : “Il sepolcro del Prof. Mancinelli in Palazzolo-Castrocielo”, un “Voto a San Liberatore. Campagna di Castrocielo”, una “Via a Pontecorvo”. Quadri dunque di grande interesse per la storia artistica della Ciociaria.

Alfonso Simonetti (1840-1892) era cognato di Costantino Abbatecola poiché, in seconde nozze, ne aveva sposato la sorella Apollonia e quindi si legò per sempre a Castrocielo, dove si trasferì quasi definitivamente nel 1876 senza ovviamente interrompere la propria attività artistica a Napoli. La sua opera affiora quasi regolarmente sul mercato dell’arte nazionale e internazionale. Dalla mano facile e dalla padronanza completa della tecnica, dopo i soliti inizi accademici e storici cominciò a seguire la propria vena estroversa che lo portava verso una espressione più libera e naturalistica. Prediligeva i tramonti e le tonalità pastello: un certo tipo di rosa, di verde. Prese parte alla maggior parte delle esposizioni italiane. Viaggiò e soggiornò estesamente. Artisticamente significative sono le sue permanenze a Roma e a Venezia ma soprattutto a Firenze, dove rimase quattro anni. Qui entrò in contatto con la nuova raffigurazione cosiddetta ‘macchiaiola’ che doveva contribuire alla maturazione della sua tavolozza cromatica. A Napoli fu nominato professore onorario all’Accademia e successivamente fece parte del Consiglio della medesima. Fu artista eclettico dalla vena facile ma con lo sguardo attento al realismo e al naturalismo. Dipinse molto e le sue opere sono presenti in non pochi musei italiani e stranieri. Di grande importanza folklorica e storica sono le numerose opere realizzate a Castrocielo e dintorni. Una parte, sicuramente minima, di tale produzione ciociara è la seguente: “Via Giuseppe Mancinelli a Palazzolo-Castrocielo”, “Castrocielo”, “Selva Abbatecola”, “Via in Castrocielo”, “Raccolta degli ulivi a Castrocielo”, “Avanzi di un mulino presso Cassino”, “Costume di Montecassino”, “Il treno”, “Tramonto a Castrocielo”. Amleto Cataldi, scultore, di cui parliano qui appresso, fa parte dei maggiori artisti del Novecento europeo. Solo a Roma sono presenti almeno quaranta sue opere e monumenti, alcuni della più gramde importanza, tanto da essere definito lo scultore di Roma.

C’è un altro paesino del Cassinate che vanta di aver dato i natali a due valenti pittori dell’800 e cioè S.Elia Fiumerapido. Uno è Enrico Risi (1856-1916), l’altro è Francesco Ricozzi (1860-1912). Enrico Risi (1856-1916), che si coltivò a Napoli e a Roma, fu essenzialmente esperto di pittura murale. Nella chiesa principale di S.Elia vi sono sue opere. A Napoli eseguì cicli pittorici nel Palazzo della Borsa e nella Galleria Umberto. Realizzò anche non pochi quadri di genere, di storia nonché ritratti. Nella sua maturità prese parte alle esposizioni di Napoli e a non poche di quelle nel resto del Paese. Leggendo i resoconti incontriamo i seguenti titoli di opere presentate: “Ritratto di signorina romana”, “Un mesto viaggio”, “Giordano Bruno al rogo”. “Ritratto della principessa Letizia”, “Disillusa”, “Prima neve”. L’Amministrazione cittadina periodicamente richiama alla memoria dei suoi cittadini la figura di questo suo artista.

Francesco Ricozzi (1860-1912) si formò a Napoli e si perfezionò a Torino, dove espose anche le sue prime opere. Soggiornò a Catania dove lo troviamo nel 1886 e dove realizzò diversi paesaggi. Dal 1887 lo incontriamo a Napoli, dove si stabilì definitivamente. Partecipò a tutte le esposizioni cittadine. Realizzò essenzialmente vedute e scorci della città, scene di genere e una sua specialità, ritratti a pastello nero. La sua firma è ben accetta tra i collezionisti italiani e quando la sua opera, pur se molto raramente,   affiora sul mercato artistico essa non resta quasi mai senza amatore.

In un altro paesetto del Cassinate, Cervaro, ebbe i natali un altro eccellente rappresentante della scuola napoletana dell’800 e cioè Vincenzo Petrocelli (1823-1896) padre di altri due validi pittori Achille e Arturo. I legami con la patria di origine li coltivò in un certo senso solo il capostipite Vincenzo. In un primo tempo si uniformò alle tendenze e agli stili accademici soffermandosi sui temi di carattere storico ma gradualmente la sua tavolozza divenne più spontanea e briosa e quindi si aprì alle nuove correnti e alle nuove ricerche di più brillanti valori cromatici. Ebbe una produzione alquanto commerciale nel senso che non disdegnò di immettere sul mercato e di firmare opere che, al contrario, avrebbero meritato un diverso trattamento per cui affianco a dipinti di impegno e di accuratezza ci si imbatte, non di rado, in dipinti sciatti e trasandati.

Per restare in zona troviamo un altro notevole pittore questa volta ad Atina ed esattamente Teodoro Mancini ivi nato nel 1796 e ivi sepolto nel 1868. Si formò prima a Napoli e poi a Roma ed è qui in questa città che operò. I suoi ideali pittorici e il suo stile sono improntati al neoclassicismo. Come si legge in una lapide collocata nel 1929 fu “caro a Canova e al Thorwaldsen”, che sono entrambi padri del neoclassicismo italiano ed europeo. Ad Atina lasciò importanti opere sia nella villa avita sia nella chiesa madre della città. La furia della guerra che, come si sa, quasi rase al suolo Atina, distrusse totalmente anche Villa Mancini come pure la cupola della chiesa che conservava una decorazione di grande impegno: resta solamente nell’abside della chiesa madre una grossa tela della Vergine assunta in cielo col Bambino tra San Giovanni Battista e l’Evangelista, come ci ricorda il dr Armando Mancini nella sua puntuale “Storia di Atina”. I cataloghi delle mostre cui partecipò ci indicano una serie di titoli di sue opere : “Vulcano che mostra a Tetide lo scudo fabbricato per Achille”, “Bacco assiso”, “Marte ferito rivolto al cielo”. Eseguì anche numerosi ritratti. La sua opera è pressoché sconosciuta al mercato.

In un altro paesino vicino Atina, Picinisco, incontriamo un affermato artista ciociaro. Arroccata a più di 700 m sui monti, ai piedi della Meta, la cittadina, come altri comuni della Valcomino quali Atina ed Alvito principalmente, ha goduto nell’800 di intenso fervore culturale e di atmosfera stimolante: essa infatti ha dato i natali a personaggi che pure essi sono stati in grado di dare un contributo alla cultura e alla civiltà. Ricordo Ernesto Capocci (1798-1864), scienziato astronomo dell’800 di fama europea vissuto a Napoli e Giustino Ferri (1857-1913) giornalista insigne oltre che facondo scrittore di successo vissuto sempre a Roma, per non menzionare altre personalità che si sono distinte nelle varie professioni. Fu sicuramente quest’aura di cultura e di amore per l’arte che si respirava, come detto, a Picinisco nel corso dell’800 che fu possibile il fatto che Michele Cammarano (che qui lavorò ai bozzetti per la “Presa di Porta Pia” oggi al Museo di Capodimonte a Napoli) non disdegnò di soggiornarvi a lungo e di lavorarvi. Un autentico maestro del colore e squisito disegnatore fu Eurisio Capocci, figlio del menzionato Ernesto. Si formò a Napoli e a Firenze dove abitò diversi anni partecipando alla vita artistica della città toscana, in quel particolare momento storico -metà dell’800- molto intensa e feconda. Poi ritornò a Napoli dove anche qui partecipò intensamente alla vita artistica e alle iniziative espositive. Non venne mai meno ai suoi ideali accademici e alla sua predilezione per i temi storici. I cataloghi delle esposizioni ci ricordano i titoli di alcune sue opere : “Una famiglia di contadini”, “Un costume di Venafro”, “Luisa Sanfelice condotta in carcere”, “Primavera”, “Contadini a Picinisco”. Diverse sue opere si trovano in alcune istituzioni pubbliche napoletane quali l’Amministrazione Provinciale, l’Ufficio Erariale, la sede Rai. Anche l’opera di questo pittore è pressoché assente dal mercato antiquario.

Ora ci spostiamo a Sora per far la conoscenza con un artista che ebbe molti riconoscimenti ma di cui si è persa un po’ la memoria storica non solo perché la sua opera è disseminata letteralmente un po’ in tutto il mondo ma perché mancano gli studi critici e scientifici in merito che ne tengano desta l’attenzione. Ed è un artista, uno scultore, che può dare grosse sorprese. Stiamo parlando di Pasquale Fosca (1852-1928) nato infatti a Sora. Fornisce sue brevi notizie Egidio Ricci nel suo “Almanacco di Ciociaria” ed accenna ad una infanzia difficile ed a una precocità di ingegno che purtroppo non doveva alleviargli la vita. Irrequieto, in cerca di pace e di serenità, viaggiò un po’ dovunque, ininterrottamente, fino ad arrivare in Argentina dove visse quasi quindici anni e altrettanti in Brasile dove trovò finalmente la pace. Pare che si formasse dapprima alla Accademia di Napoli e poi si trasferisse a Roma dove oltre ad una scultura della “Madonna delle Grazie” che donò a papa Leone XIII, realizzò anche i busti di R. Bonghi, di Garibaldi e di Vitt. Em. II. Uno particolarmente pregevole del collezionista Auguste Dutuit, di qualità eccelsa, è presente al Petit Palais a Parigi. A Sora vi sono delle opere: dei busti quali quelli di C.Baronio e un S.Giuseppe col Bimbo all’Ospedale Nuovo. Una sua opera è nel Museo statale di Copenhagen e una scultura in bronzo alta due metri della Vergine col Redentore è nella cattedrale S.Cecilia di San Paolo del Brasile. Lo incontriamo a Londra dove lasciò diversi lavori ed ebbe non pochi riconoscimenti. Lavorò molto e la sua produzione si può dividere in due parti : una, diciamo, di rappresentanza che ha prevalentemente per oggetto la ritrattistica e le opere sacre e una squisitamente commerciale, di genere, consistente di piccole sculture in bronzo e terracotta realizzate con grande facilità e maestria.

Ad Alatri si spense nel 1890 un eclettico artista nato a Napoli nel 1806, Filippo Balbi che abbiamo ragione di considerare un ciociaro acquisito poiché gran parte della sua esistenza fu trascorsa in Ciociaria ed essenzialmente nella Certosa di Trisulti a Collepardo e successivamente ad Alatri. Personaggio singolare che alcuni anni fa due studiosi della zona fecero conoscere attraverso una esposizione personale e la pubblicazione di una monografia che contribuì non poco a chiarire ed illuminare la personalità molto complessa dell’artista. A Napoli, come il Mancinelli, si formò   all’Accademia di Belle Arti e assimilò alla perfezione gli insegnamenti accademici e neoclassici impartiti. Successivamente si trasferì a Roma dove incontrò numerosi consensi e plausi. Oggi ammiriamo la sua arte in S. Maria sopra Minerva dove affrescò i medaglioni dei benefattori; nella basilica di S.Paolo fuori le Mura dove sono due suoi quadri sulla vita dell’apostolo; nella chiesa di S.Onofrio sono esposti un Torquato Tasso e un San Girolamo; la decorazione del chiostro di Santa Maria degli Angeli e numerose altre opere in altre chiese e all’estero. Malgrado molto successo ed ammirazione, ad un certo momento dovette abbandonare la città poiché la sua mentalità si rifiutò di sforzarsi di capire le nuove idee di indipendenza, di lotta, di liberalismo, di democrazia che cominciavano a circolare. E perciò si ritirò nella Certosa di Trisulti dove in parecchi anni di permanenza eseguì una gamma molto vasta di opere pittoriche e di altre realizzazioni che ancora oggi qui si possono ammirare. “La strage dei Certosini”, “Il martirio dei Maccabei”, “Mosé che fa scaturire le acque” e “San Bruno”. Qui nella tranquillità della Certosa, incoraggiato e sostenuto dai monaci, trovò la sua pace e diede libero sfogo al suo genio eclettico. Non solo dipinse ad affresco ma scoprì anche un modo di dipingere ad olio su intonaco dai risultati veramente strepitosi, realizzò piccoli mobili finemente intagliati, dipinse i quadri della farmacia della certosa, realizzò divani e poltrone che successivamente decorò a pittura, dipinse acquarelli e pastelli. Di prettamente ciociaro realizzò più opere tra cui un quadro con ‘Pifferari’ che presentò ad una mostra di Roma nel 1846, poi “Una ciociara con le uova” e “Una ciociara con le   colombe”. Quando le forze cominciarono a venirgli meno si ritirò, o fu costretto a ritirarsi, coi suoi quadri da cui non volle mai separarsi, ad Alatri, dove passò gli ultimi scorci della sua esistenza in condizioni molto tristi.

Analogamente a Filippo Balbi possiamo considerare artisti ciociari quasi a pieno titolo anche Juana Romani e Alberto Barnekow.

Juana Romani (1869-1924) pseudonimo di Carolina Carlesimo modella originaria di Casalvieri. Modella a Parigi di straordinaria sensibilità che assimilò così profondamente il mondo dell’arte da divenire lei stessa, quasi naturalmente, una valente pittrice, le cui opere sono ancora oggi molto apprezzate e ricercate dagli amatori e collezionisti. Bei ritratti della pittrice ci ha lasciato il suo primo maestro, il pittore Ferd. Roybet (1840-1920).

Alberto Barnekow (1820-1889) artista svedese. Fu così preso dal fascino particolare della Ciociaria che si installò ad Anagni, vi prese moglie e vi rimase fino alla fine dei suoi giorni. Ancora oggi sul corso principale si ammira l’antica costruzione che abitò e che porta il suo nome. Un affresco e delle lapidi in marmo da lui murate all’esterno della sua abitazione contenenti intimazioni e invocazioni cristiane molto originali scritte in latino, in italiano e perfino in svedese ne ricordano la presenza e la esistenza.

La rassegna dei pittori anagraficamente ciociari ottocenteschi si può considerare chiusa, a mio parere, con Ernesto Biondi di Morolo, Egidio Coppola di Ripi e Anacleto N. della Gatta di Sezze, Romeo Cavi (1862-1908) da Terracina, acquarellista e pittore, vissuto maggiormente, pare, in Romania.

Ernesto Biondi (1855-1917), dopo i primi rudimenti artistici ricevuti a Morolo, si trasferì a Romaua” dove seguì i corsi presso l’Istituto di Belle Arti ma molto di più la pratica esperienza presso le famose botteghe artigiane. E qui poco più che ventenne iniziò la sua produzione artistica che fu molto articolata sia nei generi e sia nei materiali impiegati. Venne il momento della verifica della sua professionalità e quindi l’immancabile viaggio oltralpe soprattutto in Belgio. Ritornato a Roma ancora più sicuro dei propri mezzi espressivi, si buttò a capofitto nell’attività realizzando numerosi lavori pubblici (le fontane di Gorga, di Cisterna, di Montelanico) e privati. Scolpisce e modella dei veri capolavori : la statua del San Francesco, i bronzi ‘Ciccillo’ e “Povero Cola” e poi il gruppo di “Nicola Ricciotti e i martiri della Ciociaria” antistante la Prefettura di Frosinone e le dieci figure in grandezza naturale chiamati “I saturnali” che trovasi, preclusa alla vista dei visitatori da almeno cinquantanni, nel chiostro sinistro della Galleria Naz.d’Arte Moderna sempre a Roma.

Egidio Coppola (1852-1929) nacque a Ripi. Per seguire le sue inclinazioni artistiche trovò sistemazione a Roma dove seguì i corsi all’Accademia di Belle Arti soprattutto gli ammaestramenti di Francesco Podesti di cui assimilò insegnamenti e prescrizioni. Dopo l’Accademia, favorito e indirizzato anche dal Podesti che era marchigiano, si trasferì ad Ascoli Piceno dove iniziò la sua attività quasi esclusivamente nella realizzazione di pittura a fresco nelle chiese. Ed è in tale contesto che rifulsero le sue qualità che furono molto apprezzate tanto che la sua opera è disseminata in tutte le Marche sia in chiese e sia in edifici privati. Lavorò in effetti molto poco dal cavalletto per cui la sua opera sul mercato è pressoché inesistente. Due suoi autoritratti sono nella Pinacoteca Civica di Ascoli.

Anacleto Nino della Gatta (1865-1932) da Sezze. Dopo i primi rudimenti nell’arte pittorica conseguiti a Roma, si trasferì a Firenze dove rimase quasi per tutta la vita. Fu allievo di Odoardo Borrani. Assimilò pienamente gli insegnamenti del maestro. Si espresse molto nella tecnica della tempera. Le vedute cittadine e gli scorci urbani erano il suo ambito preferito.

Amleto Cataldi (1882-1930): anche lui come Domenico Mastroianni, che presenterò qui appresso, era figlio d’arte poiché sia il padre e sia i parenti svolgevano tutti il medesimo lavoro di intagliatori e di scultori, originari di Roccasecca e di Castrocielo ma poi dispersi per tutta l’Europa. Il nostro Amleto, infatti, nacque a Napoli dove il padre si era trasferito un paio di anni prima ma ben presto, in cerca di miglior fortuna, si mosse con la famiglia a Roma, in quegli anni fatali tutto un gigantesco cantiere. Qui Amleto, malgrado pesanti condizionamenti familiari -orfano in giovanissima età- ed economici, riuscì ugualmente a scolarizzare e a disciplinare attraverso l’insegnamento ricevuto in una consolidata scuola specializzata di Via di Ripetta, la propria inclinazione e la propria predisposizione per la scultura, fino al primo riconoscimento ufficiale che venne con il superamento del concorso per una delle quattro “vittoria alata” in bronzo sul Ponte Vitt. Em. a Roma. Da allora fu tutta una ascesa e un successo strepitoso. Anche lui dotato di passionalità e capacità lavorative fuori del comune, senza menzionare la sua padronanza possiamo dire: completa, della materia, cosicché la sua produzione sia di opere monumentali (alcune di proporzioni grandiose come il Monumento in marmo ai Caduti a Lanciano) sia di ritrattistica come pure di oggetti di carattere più decorativo (statue, bronzetti) a dispetto di una esistenza di soli 48 anni, è semplicemente immensa, grazie anche all’aiuto e collaborazione dei suoi numerosi allievi ed aiutanti tra i quali, alla fine, si distinse in particolare il proprio nipote Antonio Cataldi detto Antonetto, anche lui morto in età ancora più giovane e cioè nel 1939 ad appena 29 anni. E, infatti, in particolare, è con il diretto intervento di Antonetto che realizzò il monumento alla Guardia di Finanza, le quattro sculture sportive al Villaggio Olimpico, tanto che difficilmente si potrà mai conoscere veramente la parte avuta da ognuno dei due nella realizzazione di queste opere. Oltre a quanto sopra menzionato a Roma ammiriamo di Amleto Cataldi la “Fontana della ciociara nota come L’anfora” davanti la Casina Valadier al Pincio -una elegante figura di ragazza flessuosamente chinata con la tina ciociara in mano- numerosi busti di uomini politici sono presenti a Palazzo Madama, alla cosiddetta passeggiata del Pincio e al Gianicolo: alla Università La Sapienza si leva il suo monumento agli studenti caduti; innumerevoli i busti e i ritratti realizzati per le famiglie “bene” di Roma come pure le sculture decorative. Altro splendido nudo di ragazza in grandezza naturale in bronzo con brocca, splendidamente modellato, è visibile alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma.

Domenico Mastroianni (1876-1962): una delle personalità più imponenti e più originali del ‘900 europeo. Il fatto che perfino i più diffusi repertori lo ignorino (Bénézit, Comanducci) è prova del grande torto arrecato alla Storia dell’Arte dagli studiosi italiani, specie, anche questa volta nazionali e locali. Fu un rappresentante della sua epoca e come tale ne elaborò e visse le tematiche e le peculiarità in maniera fedelissima e con una interpretazione che rasenta la perfezione e con una versatilità semplicemente eccezionale e con una produttività sempre di altissimo livello anche ora semplicemente immensa. Ecco perché, come detto all’inizio, un grande artista, un grande figlio del suo tempo. La sua enorme produzione consistette essenzialmente di piccole sculture in terracotta o in terracotta invetriata e policroma, in bronzetti, è dispersa nelle case e nelle collezioni letteralmente di mezzo mondo. La sua capacità e la sua perizia nel modellare soprattutto l’argilla è inimmaginabile. Basti pensare che ai primi anni del suo soggiorno a Parigi, che si protrasse per oltre un decennio, soleva accompagnarsi ai disegnatori e ai pittori che a Montmartre o a Notre Dame realizzavano per le strade ritratti o caricature per i turisti: il nostro Domenico nei medesimi tempi del collega caricaturista riusciva a modellare in terracotta il volto perfetto del suo cliente!

A Parigi strinse rapporti amichevoli con un editore, cosa che lo portò ad iniziare un tipo di attività artistica che doveva costituire una sua esclusiva e, allo stesso tempo, originalissima caratteristica: in pannelli di solito 50×70 realizzava in argilla le scene più diversificate (storiche, bibliche, mitologiche, moderne, ecc) con un realismo e perfezione incredibili, in perfetto stile Liberty e poi fotografava tali realizzazioni e consegnava le foto all’editore di cui sopra che provvedeva successivamente a immettere nel commercio queste opere d’arte sotto forma di cartoline illustrate. E’ sicuramente una cifra per difetto ma di siffatte cartoline -alle quali vanno aggiunte quelle che poi continuò a realizzare una volta tornato in Italia- che nelle loro belle confezioni originali si rinvengono ancora oggi sui mercatini dell’antiquariato di mezza Europa, ne esistono molte centinaia se non un migliaio. Quindi si immagini la quantità enorme di opere modellate! Naturalmente appena fotografato, tale piccolo capolavoro veniva, di regola, distrutto! E che fossero necessariamente dei piccoli capolavori lo rileviamo dalle cartoline in nostre mani. Per poi cominciarne un’altra! Una maestria e una sapienza nel modellato semplicemente stupefacente. Ecco perché per Domenico Mastroianni è stato inventato il termine “scultografo” o “fotoscultore”.Tornato in Italia nel 1913 prima nella natia Arpino e subito dopo a Roma dove ebbe ampie possibilità per dare sfogo alla sua verve e alla sua ispirazione realizzando opere in tutti i materiali, con grandissima passionalità e capacità lavorativa. A titolo di cronaca ricordiamo che Alberto, notevolissimo disegnatore umoristico anche del Travaso, morto negli anni ’70, era suo figlio: il suo studio si trovava al primo piano int. 27 del medesimo stabile e esternamente connota ancora la targhetta “Alberto Mastroianmni pittore” che gli amabili nuovi inquilini hanno ritenuto di conservare alla memoria. Lo scultore Umberto e l’attore Marcello Mastroianni erano nipoti di Domenico.

Domenico Bevilacqua (1878-1972) da Gallinaro in Valcomino, la patria dei modelli. Si formò all’Accademia di Belle Arti a Roma. Ancora giovane si trasferì a Parigi. Qui, tra l’altro, frequentò lo studio di Rodin e ne assimilò gli insegnamenti. Al Salone del 1905 ottenne il primo premio per la scultura “La danza sacra”. Fu l’inizio di una carriera ricca di riconoscimenti. Realizzò sia opere importanti quali monumenti ma anche scultura cosiddetta decorativa. Sposò in seconde nozze una nota scultrice francese del tempo. L’ultima parte della vita fu trascorsa nel Principato di Monaco presso le cui vicinanze è sepolto.

Eleuterio Riccardi (1884-1962) da Colfelice. Scultore ma anche pittore ritrattista. Anche lui aperto e sensibile agli orizzonti internazionali, come tutti i ciociari. In una esposizione internazionale avuta luogo a Monaco di Baviera nella prima decade del ‘900 gli fu conferita una medaglia d’oro per una sua opera. Visse in Germania, a Londra, a Parigi, a Roma. All’inizio della carriera fu molto sensibile alle nuove correnti artistiche quali il futurismo, successivamente passò attraverso il cosiddetto fauvismo per poi approdare, ed arrestarsi, ai concetti classici della resa artistica. Operò anche come pittore e come tale fu presente a tutte le Mostre Quadriennali di Roma. Si distinse in particolare per la ritrattistica scultorea. Coetaneo di Domenico Mastroianni, ebbero lo studio entrambi nel medesimo stabile di Via Margutta. Il Comune di Colfelice possiede numerose sue opere visibili al pubblico interessato.

Nati agli scorci dell’800, quindi figli veri del XX secolo, sono altri artisti ciociari che pure sicuramente andrebbero tenuti vivi e studiati ma che sfuggono alla presente indagine. Mi riferisco soprattutto -e le omissioni sono purtroppo inevitabili e ne chiedo scusa- a Umberto Mastroianni da Fontana Liri (1910-1998) scultore ; a Giovanni Colacicchi da Anagni (1900-1993) pittore; a Domenico Purificato da Fondi (1915-1984) pittore.

Anche lui inizialmente futurista e amico di Marinetti, Boccioni, Balla, successivamente approdato a diffrenti esperienze e possibilità, soggiornò lunghi anni in Germania, Svezia, Austria. Stiamo parlando di Arturo Ciacelli (1883-1966) da Arnara, pittore e disegnatore, cosmopolita, dalla produzione varia e ricca.

Per i necessari completamenti e la trattazione degli artisti ciociari vissuti nei secoli precedenti rinviamo gli interessati al libro “CIOCIARIA SCONOSCIUTA”.

Michele Santulli

 

 

 

 

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