Il 20 novembre 2014 il Corriere della Sera era presente nelle edicole con un ricco inserto di 48 pagine intitolato: “Una regione da rivalutare: il Lazio”. La prima pagina era occupata da una presentazione del noto scrittore Aurelio Picca il quale in un linguaggio scintillante e avvincente ha tracciato un excursus suggestivo e poetico delle peculiarità della regione Lazio ed è grazie a tale contributo che, per quanto riguarda la sistematicamente vilipesa e ignorata Ciociaria, il lettore apprende che il primo libro stampato in Italia lo è stato in Ciociaria e non a Milano o Firenze, che le prime parole apparse e scritte in lingua italiana sono state registrate in Ciociaria e non a Napoli o a Venezia, che l’inventore della punteggiatura quale oggi conosciamo e del carattere corsivo e della eleganza formale della pagina scritta sono dovute ad un altro ciociaro, che alle Forche Caudine il condottiero dei Sanniti era un atinate, che Innocenzo III e Bonifacio VIII erano di queste contrade, come pure Cicerone e il Cavalier d’Arpino. In verità delle 48 pagine di cui consta l’inserto, alla Ciociaria e cioè alle province di Latina e di Frosinone sono dedicate circa nove pagine, mentre alle tre rimanenti (Viterbo, Rieti, Roma) le altre quaranta circa. E già questo fatto aiuta a comprendere e la dice lunga. E delle due province ciociare si menziona l’agricoltura pontina e i latticini e i carciofi e i kiwi e i vigneti e qualche agriturismo, l’acqua di Fiuggi, la reindustrializzazione della Valle del Sacco, le considerazioni, coraggiose e puntuali, del presidente della Unione industrie laziali M.Strpe, le cartiere una volta ad Isola del Liri e ora scomparse e due o tre società imprenditoriali attive sul territorio. E tutto il resto zero!! E’ un modo quanto meno bizzarro per incentivare e ‘rivalutare’ il territorio. E quindi gratitudine solo allo scrittore Aurelio Picca che ha fornito certe indicazioni sulla Ciociaria che da sola, grazie ai propri contributi e apporti alla civiltà occidentale, avrebbe meritato trenta di pagine almeno.
Non sono assolutamente solo i carciofi o il pecorino o un certo vino che richiamano veramente un forestiero e se l’inserto osserva che dei dieci e passa milioni di turisti che visitano Roma ogni anno, la quasi totalità rimane a Roma, non sarà per carciofini o formaggini romani: allora ancora più incomprensibile rimane la ignoranza o la mancata citazione, almeno embrionale, delle attrattive vere e autentiche, nel nostro caso, della Ciociaria. Cioè che cosa si propone detto inserto? Stimolare il turista cinese o giapponese o americano ad andare in Ciociaria perché vi sono i carciofi o la stanno re-industrializzando? Oppure perché non serve andarci in quanto queste province sono satelliti di Roma senza vita propria? Come pure incomprensibile, se non dovuto a banale ignoranza come di tante altre realtà, il fatto che si passa sotto silenzio che ogni anno almeno settecentomila pellegrini e visitatori salgono le balze di Montecassino, cioè più di quanti entrano nei musei statali di Roma messi assieme e certamente non per bere il vino dell’agro pontino o i latticini, a significare dunque e a dimostrare che in Ciociaria vi sono attrattive e motivi di interesse e di richiamo di ben altra natura che non sia la provoletta o il salamino. E Montecassino non è certamente il solo. Epperò nell’inserto si dedicano pagine intiere agli studi particolari della Luiss, alle Banche, alla esportazione, alla Via Francigena, alle indutsrie di Pomezia ma assolutamente nulla delle peculiarità e attrattive storiche della Ciociaria che non sono sicuramente la cementificazione -selvaggia- o una industrializzazione che, invero, ha degradato e sconvolto la natura e il paesaggio e, in compenso, ha seminato disoccupazione e indigenza. E sul tema delle attrattive enogastronomiche e imprenditoriali e produttive che da sole, dovrebbero costituire -ammettiamolo pure- motivo di ‘rivalutazione’ di un territorio secondo detto inserto del ‘Corriere della Sera’, è quanto meno motivo di perplessità dover costatare che nessuna menzione viene fatta del ‘Grattacielo Edera’ di Frosinone, questo simbolo e inno al coraggio e alla imprenditoria, a suo tempo il secondo più alto di tutta l’Italia centro meridionale. In detto inserto della Ciociaria si dicono tre parole: vi si indossano le cioce e della Vacomino che vi si trova Atina, “cinta da sette cerchi di mura” e che era a “controllo per secoli delle miniere di ferro della Meta”. Queste informazioni ricordano pure quelle che si trovano in qualche altra parte dove s legge “Roma è nata avanti Cristo, il Lazio dopo” che fanno dedurre pedisseque copiature/citazioni, senza verifica e controllo alcuni. La lettura di queste nove pagine da parte del lettore curioso non gli consentirà affatto di capire se si sta parlando della Ciociaria o di un’altra contrada italiana o slava. Ad analisi immediata sappiamo che, in verità, si parla di Ciociaria perché si menzionano l’acqua di Fiuggi e i carciofi cynara e i palloncini, effettivamente unici e tipici di questa terra. E tali contrassegni saranno mai così stimolanti da indurre il turista a lasciare Roma e venire in Ciociaria? La conclusione è sempre la medesima: o esiste, anche se a livello d’inconscio, un disegno occulto per cui si ritiene a priori che in Ciociaria non vale la pena andare perché non vi è nulla o quasi nulla da ammirare e quindi è opportuno e meglio restare a Roma oppure la ignoranza e inesperienza sono tali per cui il risultato è il medesimo. E in questo secondo caso si evidenzia e viene alla luce ancora più vistosamente la inettitudine e la incompetenza crasse e congenite soprattutto degli uffici e istituzioni ciociari preposti per legge e per statuto alla diffusione intelligente della conoscenza della Ciociaria che per anni e anni hanno vegetato e gestito loro stesse a spese dei cittadini, con siffatti conseguimenti e risultanze: oggi ancora dire ‘ciociaro’ equivale a dire ‘vaccaro di castelliri’ o analoghi, senza contare il particolare infame e imperdonabile che la maggior parte nemmeno sa dove si trovi la Ciociaria. E oggi 2014 le istituzioni di ogni ordine e grado che operano in questa terra, ancora nulla e niente fanno per iniziare una svolta e una inversione, vale a dire prima di tutto conoscere e far conoscere le proprie radici e, in seconda, diffonderle.
Michele Santulli