La Ciociaria non e’ un concetto amministrativo o politico o geografico o di altra natura: essa si chiama in questo modo poiché era il territorio dove si indossavano un certo modello di abito, un certo tipo di cappello, un certo modello di busto e soprattutto un certo tipo di calzatura, in un arco di tempo che abbraccia quasi due secoli e cioè da circa il 1750 fino agli anni venti-trenta del ‘900. Esso è dunque un concetto esclusivamente folklorico! Perciò in merito faccio intieramente anche mie le parole di quell’appassionato e profondo conoscitore della Ciociaria che fu il Prof. Dario De Santis che nel discorso inaugurale nel novembre 1991 della costituzione della Casa della Cultura a Frosinone non potendo esimersi dal non affrontare questo aspetto pronunciò le seguenti parole: “La Ciociaria riveste una dimensione spirituale più che territoriale…”
A seguito del particolare costume che vi si indossava, quella regione definita Ciociaria occupava, nel 1700 e nel 1800, in gran parte due territori politici ed amministrativi ben contraddistinti: gran parte della cosiddetta Campagna di Roma o, anticamente, Latium Novum, -appartenente allo Stato della Chiesa- e la Terra di Lavoro settentrionale, appartenente al Regno di Napoli. Il confine tra i due Stati era rappresentato grosso modo dal fiume Liri e poi dal prolungamento ideale Aquino- Pico-Fondi e fino a Terracina, città di frontiera.
Quindi i confini completi della Ciociaria, sempre dal punto di vista della comunanza folklorica – ovviamente dove più, dove meno accentuata e documentata- sono rappresentati dai Monti delle Mainarde e dal loro prolungamento ideale fino alla città di S.Germano/Cassino, da qui verso Aquino, Pico, Itri-Fondi e quindi le cittadine sulla Via Appia antica fino a Velletri poi fino a Palestrina e quindi Tivoli e infine la Valle dell’Aniene e i Monti Simbruini, quindi giù verso i Monti Ernici fino a Sora e Isola, poi la Valroveto fino a Civita d’Antino e quindi di nuovo indietro a Sora e poi verso la Valcomino e quindi di nuovo S.Germano/Cassino che può essere considerata quindi la porta del Sud della Ciociaria. Di conseguenza la Ciociaria, che possiamo connotare ancor meglio come Ciociaria Storica, si estendeva su un territorio all’epoca appartenente a due Stati differenti, sottolineando la realtà apparentemente inusitata che tutti i grandi fenomeni migratori che si registrano già a partire dagli inizi del 1800 e quindi, con loro, il successo del costume ciociaro, la nascita dei modelli d’artista e la rappresentazione dei pifferari e zampognari, sono principiati, e massicciamente, dai territori di Terra di Lavoro settentrionale e qui, essenzialmente, da alcuni paesetti della Valcomino e delle Mainarde molisane: S.Biagio Saracinisco, Cardito di Vallerotonda, Mennella e Cerasuolo frazioni di Filignano e Vallegrande frazione di Villalatina. Ma ecco l’aspetto inusitato: pur nascendo e iniziando nel Regno di Napoli, il fenomeno migratorio -un flusso umano permanente e massiccio- è verso lo Stato Pontificio principalmente ma anche verso l’estero, che trovò le sue mete e i suoi destini.
L’aspetto anche da ricordare è che la glossa ‘Ciociaria’ era quasi sconosciuta in tutto l’Ottocento per la semplice ragione che nessuno aveva reale interesse a conoscerla e, in aggiunta, a conoscere il luogo di origine dei poveri ciociari sia a Roma e sia a Parigi e a Londra. Quando qualcuno, o i ciociari stessi, volevano localizzare geograficamente la loro terra di origine, si limitavano a esprimere un vago: Roma o Abruzzi, a seconda se originari dallo Stato della Chiesa o dalla Terra di Lavoro napoletana, che però per l’ascoltatore rappresentavano entrambi due concetti noti. Da qui la serie di errori e di equivoci che inquina ancora oggi sia la dottrina del folklore e sia la Storia dell’Arte. Si aggiunga a tale disinteresse aprioristico anche il fatto della difficoltà di pronuncia del termine medesimo: si immagini in che modo lo potevano pronunciare un francese o un tedesco o uno scandinavo o un inglese. Quindi il termine ‘Ciociaria’ entrerà a far parte della cultura italiana solamente verso la fine del 1800 e se ne parlerà scientificamente nel 1929 nella Enciclopedia Treccani, ma con pesanti e perfino gravi lacune ed inesattezze se non distorsioni vere e proprie. Da tenere a mente infatti che il Gregorovius, settanta anni prima della Treccani, nelle sue lunghe e ripetute peregrinazioni nel territorio a Sud di Roma aveva perfettamente individuato e acquisito le peculiarità folkloriche uniche e tipiche nonché topografiche che qualificano l’ambiente: infatti fu lui che per primo parlò e connotò il cappello a punta, il corsetto delle donne, la esuberanza cromatica degli abiti indossati, per primo descrisse le cioce, il costume, il territorio dove si riscontrava tale uniformità folklorica che lui chiamò Ciociaria. In un saggio apposito evidenziò tutte le comunanze e affinità sia linguistiche e sia folkloriche e di altra natura che caratterizzavano la Marsica e il territorio di Sora principalmente. Tutto fu esaurientemente e chiaramente descritto nei suoi ‘Saggi’ del 1850-55 in lingua tedesca che ebbero una decina di edizioni e che furono tradotti in tutte le lingue principali. La prima traduzione in italiano apparve solo nel 1906, cosicchè si può sostenere che al di là delle Alpi la Ciociaria era ben nota e circoscritta già dalla metà del 1800 mentre da noi restava ancora un concetto vago e indistinto: la riprova venne con l’intervento dell’illustre geografo Almagià nella Treccani del 1929 come detto. Quindi corretto e scientificamente doveroso definire Ferdinand Gregorovius il primo, e solo, etnografo della Ciociaria fino ad oggi.
Il termine ‘ciociaro’ al contrario e anche il termine ‘ciocia’ -ferme le difficoltà di pronuncia e anche le differenti grafie- erano abbastanza noti, e ricorrenti già dal 1809. Si consulti anche “CIOCIARIA SCONOSCIUTA” il solo testo che affronta tali realtà storiche.
Anche se è difficile a rendersene conto, spostandoci sul livello successivo, invero la Ciociaria oggi è un concetto spirituale, quasi ideale. E’ come dire: la Terra di Utopia, la Terra Promessa, la Isola delle Sirene, l’Antartide: si sa o immagina dove è, ma non si sa quale è. E tale osservazione è di rigore particolarmente ai nostri tempi allorché in territori e città una volta puramente ciociari quali Fondi, Itri, Priverno, Sonnino, Sezze, Cori, e tutte o quasi tutte le cittadine sul percorso della antica Via Appia come pure Olevano e Subiaco e i paesini dei Simbruini e di Valleroveto specie Civita d’Antino, oggi qualsivoglia traccia degli antichi legami di fratellanza e di comunanza vengono, o sono, dimenticati ed ignorati e nessun tentativo, nemmeno a livello di barlume, viene intrapreso per tenere non dico sveglia ma quanto meno per ricordare una comunanza di radici e di eredità. Quindi parlare oggi di Ciociaria e far riferimento solo alla provincia di Frosinone è oltremodo riduttivo e soprattutto erroneo, quanto più lo è se ci si rende conto della totale e completa assenza di qualsivoglia spunto di reattività da parte delle istituzioni frusinati, in tutta la loro storia, fino ad oggi, nei confronti di tale gloriosa eredità di cui si sta parlando.
Michele Santulli