UN AMICO DELLA EMIGRAZIONE CIOCIARA

Il Marchese Raniero Paulucci dì Calboli (1861-1931) di antica blasonata schiatta di Forlì, fu un diplomatico italiano in servizio prima presso l’Ambasciata d’Italia a Londra fino al 1894 per circa cinque anni e poi in quella di Parigi dal 1895 per circa quindici anni come segretario di legazione. Successivamente ambasciatore e nel 1922 Senatore del Regno. Personaggio sensibile e ricco di umanità e partecipe consapevole di certi avvenimenti che marcarono la sua epoca. Scrisse poesie, racconti, inchieste particolari, coltivò le arti e gli artisti nutrendo speciale interesse per lo scultore Adolfo Wildt del quale raccolse molte opere che poi donò alla città avita di Forlì. Al momento del famoso ‘affare Dreyfus’ che infiammò la Francia -l’ufficiale ebreo dell’esercito francese ingiustamente e scientemente accusato e condannato per certe colpe pur essendo innocente- anche lui prese parte in suo favore convinto della innocenza e scrisse un energico e veemente intervento in suo favore, alla stessa epoca in cui anche lo scrittore Emile Zola redigeva il suo celebre contributo dal titolo ‘J’accuse’. Questi fatti succintamente ricordati vogliono aiutare a inquadrare la figura di un personaggio di non comune valore e umanità al quale l’Italia e maggiormente la Ciociaria, molto devono grazie al suo impegno e opera a favore della emigrazione dei propri figli per le vie del mondo: invero personaggio da ricordare e da onorare, come pochi.

E il mondo che lo colpì fu quello degli artisti girovaghi principalmente che in quell’epoca erano specialmente numerosi non solo a Londra ma in tutta l’Inghilterra e Scozia: suonatori di organetto o di piffero, ballerini o dando spettacolo col cane ammaestrato o con la scimmia talvolta anche con il povero orso. E pervenne ad un loro censimento arrivando a individuarne oltre duemila in tutto il paese, in prevalenza suonatori di organetto, molti di piffero, poche decine di arpa e qualcuno di altri strumenti quali il mandolino o il violino. E pur non menzionando la Valcomino (nessuno a quell’epoca conosceva questo angolo appartato dell’Alta Terra di Lavoro) riuscì ad individuare la localizzazione della massima parte di questa umanità nomade, ‘sui monti degli Abruzzi e nella Campania’ cioè, sappiamo, a San Biagio S., a Cardito di Vallerotonda, a Picinisco e certe sue frazioni, a Vallegrande di Villalatina e a Cerasuolo e a Mastrogiovanni di Filignano.

Ma il mondo ovattato e dorato nel quale viveva e operava a Londra non gli impedì di guardarsi attorno con sguardo attento e rilevare anche le storture e ingiustizie e crudeltà che vi si perpetravano, se si aprivano veramente gli occhi. Ma non erano i suonatori girovaghi in gran parte giovani sparsi per il paese che lo colpirono bensì gli adolescenti e i bambini in giro per le vie della città. La Storia ci ricorda che a Londra, i piccoli, avevano trovato il loro paladino già una cinquantina di anni prima in Charles Dickens che ne aveva descritto la terribile condizione in pagine memorabili divenute patrimonio della umanità e in prosieguo gradualmente salvaguardati dall’intervento delle private istituzioni e dello Stato. Paulucci di Calboli invece quelli che vedeva in giro erano gli sfortunati venuti da fuori, senza protezione alcuna, dall’Italia, alla sua epoca o pochi anni prima e che in prevalenza esercitavano il mestiere di sciuscià o lucidatori di scarpe e di stivali per le vie delle città o quelli che vendevano statuette di gesso o fiammiferi o erano sguatteri o lavapiatti nei ristoranti o spazzacamini. Ma come erano arrivati questi bimbi/adolescenti/ragazzi in questi luoghi così remoti e lontani? Venivano letteralmente dati in fitto quando non venduti, dai genitori, a personaggi che facevano di mestiere quello di farsi dare in affidamento queste creature in cambio di indennizzi periodici e sottoporle poi ai lavori più duri e più pericolosi, a condizioni esistenziali inimmaginabili, nella promiscuità, nella sporcizia, nella malattia, nell’ignoranza. Sporchi e laceri e affamati si aggiravano per le strade chiedendo la elemosina quando possibile altrimenti ballando o saltellando o vendendo immagini sacre o terrecotte e altro. E guai per chi la sera non consegnava abbastanza soldi al ‘padrone’, così veniva identificato anche nei registri della polizia la umanità spietata che li gestiva e sfruttava. Stiamo parlando della ‘tratta dei bambini’, pagina terribile della letteratura che si occupa della emigrazione italiana, ancora non dovutamente studiata ed esaminata, come tutta la emigrazione ciociara. Naturalmente già dal 1850 furono emesse leggi e provvedimenti a favore della infanzia abbandonata e sfruttata e l’Italia dal 1873 ma dovranno passare molti anni prima che la piaga almeno nelle linee generali si estinguesse, pur se la situazione durò, anche se in modo meno crudele che nel passato, fino agli anni ’50 e 60’ del secolo scorso allorché anche allora era abbastanza frequente che dei genitori ‘affidassero’ i figli, maschi o femminine, a parenti o amici all’estero per farli lavorare e guadagnare e rimettere soldi. Tale mondo terribile dello sfruttamento feroce e spietato di queste piccole creature messe al mondo inconsapevolmente a dir poco certamente per farle patire, offerte dunque in pasto alla miseria e alla abiezione nonché la tratta dei bimbi e la situazione degli emigrati, sono stati fatti oggetto di un libro-inchiesta divenuto pietra miliare della storia della emigrazione italiana in Inghilterra: “I girovaghi italiani in Inghilterra ed i suonatori ambulanti” edito nel 1893. Due momenti dunque: prima quello della tratta dei bimbi e poi quello dei giovani che guadagnavano il loro pane come artisti girovaghi, quasi tutti originari dai paesetti della Valcomino e alcuni bambini anche da Belmonte Castello.

Ma è la emigrazione a Parigi che maggiormente tenne occupato Paulucci dì Calboli, dopo la esperienza e gli scritti in Inghilterra. A Parigi e in Francia trovò una situazione molto più vasta e articolata che si distingueva per tre fenomeni sociali specifici: le modelle e modelli di artista, i bimbi anzi la ‘tratta dei bimbi’ -in Francia molto più vasta e sconvolgente che in Inghilterra- occupati principalmente in certe fabbriche o sulle strade o come spazzacamini e gli artisti girovaghi. Da una ricerca sul campo effettuata da Paulucci dì Calboli abbiamo la conferma che di 23 località da lui individuate di provenienza di questi, per limitarci a loro, bambini/fanciulli occupati in varie attività alla fine del 1800, 20 si trovavano nel cosiddetto distretto borbonico di Sora cioè, noi sappiamo, nella Valcomino e nelle Mainarde Molisane già ricordate…Cioè sempre, di nuovo, tutto, dalla Valcomino, luogo dunque di massima sofferenza ma anche luogo di grande bellezza e di grazia dei suoi figli, binomio sicuramente come nessuno al mondo. In un prossimo intervento ricorderemo la situazione in Francia come indagata da Raniero Paulucci dì Calboli.

Qui dunque ci arrestiamo e rimandiamo chi ne vuol sapere ancora al libro: “MODELLE E MODELLI CIOCIARI nell’arte europea a Roma, a Parigi, a Londra nel 1800-1900”.

Michele Santulli

 

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