A) DATI REALI:
1) la fisicita’ :
- a) tipo di telaio, di tela, di chiodi, di pigmento;
- b) altri fori di chiodi sul telaio, fori di chiodi sui bordi della tela, cancellatura in alto a destra, rottura della tela in alto a sinistra, misura della tela rispetto al telaio, dimensioni della tela: 46,2 x 64,6;
2) l‘esecuzione :
motivi a onde nel cielo, continui, senza interruzione inframmezzati di colore, pennellata impastata con bordi di materia pittorica; le tacche sulla fascia bianca della fiancata; quattro piani longitudinali e paralleli, molte tonalità di verde che ne costituiscono la prevalenza; abbinamento di mezzi toni di verde con gli ocra; in basso il solito motivo di erba quasi sempre a falce e a falcetto; evidenti e ripetute prove di cosiddetti écrasements (schiacciamenti del pigmento a seguito di arrotolamento della tela o di accatastamento del telaio su altri); pur se pochi, evidenti segni di entrecroisements (cioè le pennellate trasversali al verso del pennello); il primo piano evidenzia fili d’erba color bruno o bianco pallido che non sono colori ; effetto di smalto nella parte pensilina della carrozza; evidente e particolarmente ricorrente il cosiddetto cloisonnisme (la pennellata che racchiude e delimita un oggetto o una persona); diverse piccole parti non dipinte, si vede la tela sottostante. Tipico anche, e sovente ricorrente, quel degradare verso sinistra e in declivio, della scena del dipinto, di meno verso chi guarda.
3) il soggetto :
una carrozza a quattro ruote per trasporto di persone e cose, certamente non una carrozza da zingari né tanto meno una diligenza; una lanterna fuori con vetri di colore bianco; la leva del freno dall’altra parte è tirata in alto; la cassetta (il sedile di guida) vuoto e ricoperto invece da un panno bianco che prosegue nell’interno; ruote e stanghe storte e contorte; non si vedono cavalli né alberi né uccelli né case; la carrozza è ferma su un lato della strada; il fianco è percorso da una fascia bianca con tacche.
B) MATERIA, COLORE, PENNELLATA:
La nostra opera rientra perfettamente nella personalità artistica di VG poiché ne rispecchia i suoi criteri programmatici:
-la semplificazione dei colori (lett.MVG 816 del 3. XI.89), “to grasp the essential and to simplify.” (lett.MVG 805 del 20.IX.89);
-“the somber greens go well with the ocher tones” (lett. MVG 805 del 20.IX.89),
-“I have never worked with more calm than in my last canvases” (lett. MVG 836 del 4.I.90).
Nell’autunno e inverno 89 si propone di evitare quello che lui chiama ‘impasto’, vale a dire la corposità materica della esecuzione, secondo lo stile dell’amato Monticelli. Ora invece sentendosi in una situazione più calma e rilassata ritiene di poter essere calmo anche nella sua pennellata. E in effetti in alcune opere possiamo riscontrare un tocco più liquido e affatto denso e corposo. Ma tale proponimento in realtà è riscontrabile solo per un breve lasso di tempo poiché già da febbraio 90 incontriamo di nuovo opere ‘impastate’ o miste. Conferma inconfutabile della presenza di tale ricchezza materica in quel periodo e anche in quello successivo di Auvers la troviamo in quello che si legge in Distel (Un ami de Cèzanne et Van Gogh: le docteur Gachet, catalogo della mostra al Grand Palais del 28 gennaio-26 aprile 1999) ”les touches à la brosse…montrent una matière fluide s’accumulant sur leurs bords…” (p.59). Gli ingrandimenti fotografici della pennellata evidenziano la visione eccezionale della materia. I raffronti e le analogie con il nostro sono ricorrenti .
4) E’ noto il ruolo determinante che VG assegna alla funzione del colore nei suoi quadri. Qualcuno ha notato: “Van Gogh deliberately set about using colors to capture mood and emotion, rather than using colors realistically.”
I rossi e i gialli che esprimono le passioni, i blu, i viola, le centinaia di verdi, il colourless gray, i quadri almost colourless, addirittura ci dice che vi è un rapporto con la bevanda: se beve molto è portato a dipingere più colorato, se beve poco “a peindre plus gris”. Proprio in quel periodo del febbraio 90 parla perfino di ‘musician in colours’ e scrive (lettera MVG 720 del 12.XI.88): “one can speak poetry just by arranging colours well…”. Qui voglio solo richiamare l’attenzione sul fatto che i princìpi cromatici, l’armonia degli effetti, gli sono chiari da sempre: “To my mind the somber greens go well with the ocher tones” (MVG 805 del 20.IX.89) e gli half tones di verde ed ocra di cui qualche giorno prima: lettera MVG 800 del 5/6.IX.89. ”I am trying as much as possible to simplify the list of paints -therefore I often use the ochres as I did in the old days” (lett.MVG 816 del 3.XI.1889). Non è di poco peso rendersi conto che tali affermazioni programmatiche come pure la loro epoca collimano alla perfezione con le caratteristiche del nostro dipinto parimenti a quel concetto di “green skies” di cui nella lettera MVG 810, 8 ottobre 89, che trova la sua realizzazione nel cielo del nostro quadro. .
5) Mme Distel del Museo d’Orsay osserva: ”la touche s’allonge sensiblement durant la période d’Auvers”. Un altro critico rileva che già “during the winter of 1889 a number of paintings…reveal a remarkably careful and regular touch” cosa che l’artista spiega nelle sue lettere MVG 829 del 19.XII.1889 e MVG 824 del 7.XII.1889. Il medesimo concetto si ritrova nel catalogo: Vincent Van Gogh und die Maler des Petit Boulevard, mostra a Francoforte 8 giugno-2 settembre 2001: caratteristico dello Spaetwerk, dell’opera tarda, è la “Vielfalt unterschiedlicher Pinselstriche. Neben Parallelschraffuren finden sich die typischen sichelfoermige Striche. Hinzukommen wellenfoermige Linien, ecc.”. Nella lettera MVG 872 del 13.V.90 leggeremo : “The brush strokes come to me and follow each other logically”. Quel tratto ondulatorio presente nel cielo rientra normalmente e semplicemente nell’opera di VG. Possiamo dire di più: il quadro in esame -pur se il metodo comparativo, come detto, mal si applica al Maestro- non evidenzia alcun particolare che possa dar origine a considerazioni negative o difformi poiché ondulamenti, pennellate lunghissime, le tonalità del verde, lunghe curve intere li riscontriamo non solamente in moltissime opere ma, in aggiunta, perfino negli acquarelli e tratti sinuosi e lunghi come nel cielo in oggetto anche nei disegni, p.e. F 1573, JH 1823 Group of pine trees near a house: “the division of colour into large planes,.. (lettera MVG 809 a E.Bernard 8.X.89), “ … the studies drawn with long, sinuous lines… (lettera MVG 816 del 3.XI.89).
C) MONOCROMIA:
I quadri che in un certo modo rispecchiano la tendenza di VG alla semplificazione cromatica, all’uso prevalente di certi colori, ricordando che nel periodo St -Rémy/Auvers la tonalità predominante in assoluto è il verde, allora tale cosiddetta ‘povertà cromatica’ più o meno accentuata si riscontra essenzialmente nel periodo 89-90: non inficia il fatto che la ‘povertà’ fosse opzione stilistica o invece connessa a contingente mancanza di colori. Qui appresso alcuni esempi:
-F 627, JH 1772 l’autoritratto famoso, “almost colourless”, “blau auf blau”;
-F 585, JH 1758, VI-89, Olive Grove,
-F 791, JH 1995, V/90 The House of Père Pilon,
-F 794, JH 2002 The House of Père Eloi,
-F 632, JH 1882, I-90 The Plough and the Harrow (Millet),
-F 611, JH 1723, VI-89 Mountainous landscape behind St-Paul Hospital,
-F 617, JH 1753, VI-89 Wheatfield with Reaper and Sun,
-F 721, JH 1864, XII-89 Meadow in the Mountains : Le Mas de St-Paul,
-F 733, JH 1845, XI-89 Garden of St.Paul Hospital
-F 582, JH 1678, IV-89 Clumps of Grass.
-F 584, JH 1680, IV-89 Field of yellow Flowers.
Tale lista si potrebbe arricchire di molto.
D) TACCHE E TRATTINI:
Un ulteriore aspetto tecnico del quadro in oggetto della più grande rilevanza e individualità sono quelle tacche o trattini che si evidenziano sul lato inferiore della fascia bianca. Pur se abbiamo riscontrato che VG mostra cento stili, cento modi di esprimersi tutti differenti, riscontriamo però degli elementi tecnici, degli espedienti pittorici che rileviamo uguali e tipici in molte opere e in certi periodi. Uno di questi è la presenza dei trattini o delle tacche nei contesti più disparati: sui cigli delle strade, sui displuvi delle capanne, sulle falde dei cappelli, nei tronchi degli alberi, nelle sopracciglia dei ritratti, nelle barbe, nei granchi, nelle corolle dei girasoli… tale espediente pittorico è -si può sostenere- un modo di firmare il dipinto, cioè è anche esso uno degli aspetti inconfondibili della personalità artistica di VG. Possiamo andare oltre e pervenire alla conclusione incontestabile che nessun pittore ha mai avuto la esigenza di esprimersi con quel dettaglio in quel posto. VG non ama i particolari: i dettagli e gli elementi della sua opera assolvono tutti ad una funzione ben determinata ma ama le tacche e i trattini e li ha messi un po’ dovunque specie nel periodo di St-Rémy. Nessun pittore presenta tale caratteristica. Ed esso è anche il dettaglio che -eventualmente- nessun falsario o nessun imitatore o nessun ispirato avrebbe potuto eseguire autonomamente con tanta naturalezza e, soprattutto, inserirlo in quel luogo specifico della fascia, alla luce anche del fatto tipico e solo dell’artista che la stesura della materia pittorica quale nella tradizione è in molta parte sostituita dal giuoco spettacolare della pennellata. Ved. per esempio anche nel “Trasher” da Millet al Museo VG F692, JH 1784 sull’architrave.
E) SITUAZIONE PSICOLOGICA:
VG in questo periodo estate 89 e inverno 89-90, è fisicamente a pezzi, ha subito diverse crisi, ha perfino autoalimentato lo stato di infermità tentando il suicidio più di una volta, cade preda di una lunghissima crisi nel febbraio 90: da luglio 89 a fine aprile 90 si può sostenere che fisicamente è tenuto assieme dalla frequente idroterapia, dalle droghe che sicuramente gli somministrano e dai tranquillanti: tale terapia suscita in lui ovviamente l’impressione della calma, della rilassatezza, della “pent-up fury”, dell’”ardeur calme et contenue”. E nelle sue lettere ci documenta tale stato fisico come per esempio nella lettera MVG 743 a Theo del 28.1.89 dove parla di “bromuro di potassio”. Dopo il lungo periodo di oltre due mesi obbligato a lavorare in camera e cioè da tutto luglio fino alla prima decade di settembre dell’89, quasi tutte le lettere che scrive sono lettere di disperazione, di angoscia, di autolesionismo, di autocommiserazione e tali sentimenti trovano il loro corrispettivo anche in molte opere realizzate. Non è credibile che la situazione nella quale si trova VG sia perfino stata anche lontanamente immaginata dalla letteratura: un uomo sano, geniale, coltissimo, spaventato dagli uomini e dal mondo, sceglie di convivere e convive coi dissennati e gli alienati cioè con coloro che dell’essere umano incorporano solo la animalità perfetta. Lui, proprio VG, convive con gli animali! Scrive lui stesso: “beasts in a menagerie”. I suoi vittimismo e autocommiserazione se non masochismo vero e proprio tali da ritenersi, per esempio, indegno che si possa scrivere positivamente delle sue opere, si ritiene al di sotto di un contadino, paragona le sue opere alle cromolitografie di basso conio, ecc. Dice chiaramente di non valere nulla, di essere un peso morto, di essere un broken pitcher, un naufrago. L’autoritratto di Oslo F 528,JH 1780, già di per sé estremamente drammatico ed eloquente, ci introduce solo parzialmente in questo mondo di disperazione massima in cui è prigioniero. Una sola cosa in effetti gli rimane: l’emozione, la gioia del dipingere, l’unico punto di riferimento vero, fonte continua e fedele di gratificazione. Lo dice chiaramente: “ce n’est que devant le chevalet en peignant que je sens un peu la vie” (lett. MVG 804 del 19.IX.89). E in questo processo di immedesimazione nell’oggetto del suo quadro, si astrae, dimentica se stesso, si autorigenera. Epperò, allo stesso tempo, saranno anche le opere medesime quasi sempre ad esprimere il suo stato d’animo: “my pictures are…almost a cry of anguish” (lett. MVG 856 del 19.2.90), cioè si verifica una compenetrazione, quasi una osmosi tra animo e pennello, che ricordiamo con concetto già intravisto da qualche attento studioso: “Van Gogh deliberately set about using colors to capture mood and emotion, rather than using colors realistically”. Già nella lett.252 del 31.VII.82 si legge: “…to put his feelings into his work…”.
Questo è il terreno ideologico ed esistenziale dove nasce il nostro quadro. Nello stesso periodo settembre 89 all’incirca produce 3 ritratti che esprimono tre stati d’animo totalmente differenti. C’è il famoso autoritratto d’Orsay F 627, JH 1772 già menzionato che mostra un uomo ormai rassegnato, fiaccato nella volontà, preda inerme degli avvenimenti; c’è F 528, JH 1780, l’autoritratto di Oslo, ancora più eloquente: tutto rattrappito, ripiegato su se stesso e quale espressione del viso: diffidenza ? Terrore ? Follia ? E poi c’è il ritratto di Trabuc F 629, JH 1780 che è la riprova in che maniera il soggetto si impadronisce dell’artista e lo trascende: una pennellata lunga, tirata al massimo, senza nervosismi, una immagine serena, quasi che nulla lascia trapelare della situazione reale di VG nel manicomio.
F) CONSIDERAZIONI E DEDUZIONI :
è ben verosimile che il telaio è di quelli fatti realizzare da VG dal falegname del luogo sia esso Arles sia esso St-Rémy costati, stando alle lettere a Theo, un franco l’uno, che era pur sempre un bel prezzo all’epoca: la paga giornaliera del postino Roulin, padre di tre figli, era di poco più di 4 franchi al giorno. Telai rozzi e di cui V.G. si lamentava (ved. lettera a Théo MVG 800 del 5/6.IX.89): il nostro telaio è certamente di questi, di legno di abete, senza chiavi di tensione, come gran parte dei telai impiegati da VG. Non si esclude che possa averlo inchiodato lui stesso.
La tela e i chiodi sono quelli in uso normale in Francia nel corso della seconda metà del secolo XIX. Nell’intiero periodo: estate 88 di Arles fino a Auvers-s.-Oise, le tele erano quelle di solito acquistate da Tasset e Lhote, già preparate con bianco di piombo o lithopone o con un miscuglio di solfato di bario e carbonato di calcio, secondo le attente risultanze nella tesi di J.Salvant del 2012 (p.254 et passim). Alcune le preparava lo stesso artista, molto elementarmente. Tutto francese, il tutto assolutamente d’epoca senza dubbio alcuno cioè ottocento e fine ottocento e sostenere epoca diversa, più antica o più recente, è inesatto dal punto di vista antiquariale. Le lettere a Théo è ricorrente che contengano le liste dettagliate del materiale pittorico che periodicamente gli necessitava come pure la indicazione non di rado del relativo fornitore. Certamente nell’epistolario non si menziona che più di una volta impiegava gli stracci da pavimento o le salviette da tavola per dipingere non disponendo delle tele né tanto meno vi si accenna ai miscugli di pigmenti fuori di ogni regola da lui operati per sue ragioni contingenti né tanto meno alla presenza, come è il caso, di qualche cadavere di cavalletta o di grani di sabbia in mezzo all’olio. E’ motivo anche di attenzione il fatto che è fuori di dubbio che si procurasse o ricavasse empiricamente sostanze pigmentarie anche da terre e sabbie che individuava nelle sue sistematiche e quasi quotidiane scorribande nella natura: senza riferirci specificatamente ai suoi dipinti sulle cave di pietra e analoghe, tutta la sua opera è sostanzialmente un inno alla natura: ”I’m going off for a long hike in the mountains to look for sites” (MVG 809 del 8.X.89). “…and often going on long walks in all directions..”(MVG 829 del 19.12.89): non poche evidenze di laboratorio da parte del Museo VG oggi documentano presenze pigmentarie non ancora ben chiarite. Nella già citata tesi di dottorato di Johanna Salvant, esaminatrice Ella Hendriks già del MVGA, si legge:Van Gogh ajustait peut être les propriétés des peintures en tube en ajoutant ses propres ingrédients [9, 13](PAG.44). A confermare e a rammentare che l’artista con riferimento all’uso dei pigmenti pittorici, poteva ricorrere anche a quanto la natura era in grado di mettergli a disposizione, gesso, rutilio, sabbie e rocce titaniche, ecc.: in effetti la sua sensibilità nonché la sua pratica artistica maturate supplivano alla lontananza da Parigi e quindi alla frequentazione dei colleghi artisti e alle nuove tecniche e composizioni che affluivano sul mercato a cadenze molto ravvicinate. Da qui la sua inclinazione a non rifuggire da mescolanze e miscugli di sostanze coloranti più o meno eterogenee per conseguire certi risultati o per supplire a certe mancanze contingenti di materiali: come ha illustrato qualche ricercatore, esempi illustri non mancano come Sargent che già nel 1882 si serve in un dipinto dell’ancora poco diffuso bianco di titanio o come il povero Modigliani obbligato a servirsi addirittura del gesso degli imbianchini quale pigmento bianco. In aggiunta è notorio, come è stato autorevolmente documentato, che probabilmente è stato l’unico artista ad impiegare in uno stesso quadro sia il bianco di piombo sia il bianco di zinco, valorizzandone al massimo le peculiarità specifiche come nessun altro, come pure ad impiegare in un certo modo e in certe pratiche anche il misterioso lithopone. E’ anche notorio che il rosso impiegato contenesse l’eosina come pure che certi miscugli e mescolanze stanno creando il rischio di degradare il cromatismo originario di non poche opere.
6) L’esame anche superficiale dell’opera porta a costatare che il telaio è stato usato precedentemente per ospitare una tela diversa poiché evidenzia, in aggiunta dunque, altri fori di chiodi, il che significa che dal presente telaio è stata schiodata una prima tela e poi al suo posto rimessa un’altra -quella in oggetto- senza tener conto dei fori già esistenti. Parimenti, la nostra tela, affianco ai chiodi che la tengono fissata all’attuale supporto, presenta altri fori: la nostra tela dunque chiaramente e palesemente non è stata montata sul suo telaio originario bensì su un altro, diverso -il presente- leggermente più grande, dopo essere stata schiodata dal telaio suo di appartenenza. Chi l’ha inchiodata al presente telaio non ha tenuto conto ovviamente dei fori già esistenti sulla medesima. Tutte le ipotesi di tale procedura sono una realtà ricorrente del periodo provenzale e contribuiscono pure esse alla bontà del dipinto: qualche esempio analogo preso a caso, si ricordi F 398, JH1366 del Museo Rodin e F 535, JH 1467 di collezione svizzera che evidenziano tale medesima situazione; nella lettera MVG 792 del 16.VII.89 come pure in quella successiva MVG 793 del 29.VII.89 viene da Theo ben descritta la procedura di smontaggio e rimontaggio. Ardua la decifrazione della cancellatura in alto a destra.
7) Palesi prove di écrasements, di entrecroisements, di cloisonnisme. Quest’ultimo, il cloisonnisme evidente e ripetuto quasi in ogni elemento della carrozza, nel contesto e nella individualità artistica di Van Gogh rappresenta anche esso una firma inequivocabile e perfino inoppugnabile. Innumerevoli, limitandoci al periodo di St.Rémy, le conferme, tra cui a caso F610 JH1702, F725 JH1744, F703 JH1832, F623 JH 1873, senza bisogno di andare indietro ad Arles o avanti a Auvers-s.-Oise.
8) Tutti gli aspetti esteriori che abbiamo elencato rientrano normalmente anzi geneticamente, in tutto o in parte, nell’opera provenzale e anche di Auvers del Maestro. Nessun artista che non sia VG stesso evidenzia e può evidenziare tali aspetti. E se comunque tali aspetti fossero presenti, perciò artificiosi, pensati, quindi falsi, si riconoscerebbero. L’analisi qui appresso conferma tutto questo. Infatti un riconosciuto esperto di VG ha dimostrato la bontà e quindi la autenticità e originalità di un dipinto (F 438, JH 1571) presente in collezione prestigiosa con queste parole : “its handling, its palette, its complete comprehension of the local topography, and even the flattening of parts of the impasto caused by rolling the canvas or packing it against another, all attest to its utter authenticity” (Fondation Pierre Gianadda, Martigny: Van Gogh, mostra 21.6.2000/26.11.2000 a cura di Ronald Pickvance, p.305). Cioè, ci ricorda il Pickvance -l’esperto di cui sopra- tali particolarità fisiche sono così tipiche e uniche solo di VG da costituire senz’altro anche una incontestabile firma di paternità. Vado oltre: in tal modo si rende perfino superfluo l’esame critico del quadro ai fini della originalità e autenticità! Cioè in VG la presenza o meno di tali elementi facilita in maniera decisiva l’esame di un’opera: cioè il significato degli aspetti esteriori riferito per esempio ad altri pittori, potrebbe equivalere a gravi lacune, laddove nel caso specifico di VG si conferma attendibile. Infatti tali elementi esteriori riscontrati dal Pickvance sono così vincolanti che tutto il resto diventa perfino inutile e insignificante! Nel nostro quadro, di tali elementi Pickvance ve ne sono molti altri ancora, in più, tipici e unici di VG, impensabili perciò in altri artisti.
9) La carrozza nella sua forma di roulotte gitana o di diligenza o di carro agricolo o di barroccio o, come in questo caso, di un mezzo di trasporto di persone e cose, ritorna decine di volte nel canone delle opere del Maestro. Una carrozza analoga la troviamo nel disegno della lettera MVG 703 del 13.10.1888 dove parla del quadro della diligenza di Tarascona anche con la fascia laterale. Ma, aspetto fondamentale e determinante, la carrozza, con o senza cavalli, è anche uno degli ingredienti della sua concezione della vita. Gli uomini sono i cavalli e ognuno di essi tira e porta in giro la propria carrozza carica di gente oppure vuota. Lui stesso si definisce un ‘traveller’ permanente della vita: “I always feel I am a traveller, going somewhere and to some destination. If I tell myself that the somewhere and the destination do not exist, that seems to me very reasonable and likely enough” (lettera MVG 656 del 6.VIII.88). Come viene esaustivamente dimostrato nel paragrafo: la carrozza e la simbologia, la carrozza è, appunto, fonte di molte suggestioni per VG, da sempre, dalla sua infanzia alla fine. Jo Bonger, la cognata, nelle sue annotazioni biografiche, ci narra un episodio della di lui fanciullezza in cui, di già, la carrozza gioca un ruolo determinante e cioè allorché essa diventa un mezzo di riappacificazione tra la madre e la nonna di Vincent che erano cadute in attrito proprio a causa sua. L’epistolario, inoltre, ricorda più di una volta le visite che lo zio dallo stesso nome, mercante d’arte ritiratosi ormai con successo dagli affari, periodicamente rendeva al fratello Theodorus, padre di Vincent, allorché a bordo della propria carrozza entrava fragorosamente nel cortile della pieve a Zundert: e quante leccornie ne venivano scaricate per i nipoti: frutta candita, dolci, frutti vari, ghiottonerie e fiori. Anche questo ricordo del barroccio fragoroso portatore di squisitezze e di buona ventura è rimasto indelebile nella memoria di Vincent, contribuendo alla assimilazione del concetto della carrozza quale ingrediente della esistenza umana, del cavallo che tira la carrozza portatrice di felicità o di infelicità. Senza ricordare la esperienza terribile del viaggio da Arles a St-Rémy il 23 aprile 1890, esanime, sulla carrozza del manicomio mandata dal dr Peyron con due inservienti e, ancora, senza menzionare l’altro, sicuramente pure sul medesimo veicolo da St-Rémy ad Arles e ritorno, del 7 luglio 1889 assieme ad un dipendente dell’asilo. Già il soggetto, parlando di VG, equivale ad una firma di paternità. Ma si veda appresso.
10) Uno degli autori che VG menziona continuamente nel suo epistolario è Alphonse Daudet e più esattamente un suo romanzo specifico “Tartarin di Tarascona”. E la pagina che più lo affascina e lo attira di questo romanzo è quella del cosiddetto “lamento della diligenza” di cui alla lettera MVG 703 del 13.X.88, il cui succo è una realtà cruda della esistenza umana: “quando si sta bene e si è utili, si viene curato e coccolato; quando non sei più utile, resti solo e vieni abbandonato”. Il paesaggio è senza vita, la carrozza è vuota, dismessa, su un lato della strada, col freno tirato; anche il mondo circostante è senza accensioni cromatiche, tutto è espresso nelle amate tonalità dei mezzi toni di verde e degli ocra, di half tones, come scrive nella lettera MVG 800 del 5/6.IX.89.
Solitudine. Anzi di più: morte, poiché nella carrozza si vede chiaramente il sudario. Anche il fanale è morto, reclinato su un lato, senza luce. “Il lamento della carrozza”, avrebbe detto l’amato Daudet.
G) STORIA DEL QUADRO, IPOTESI:
Possiamo solo rammentare che proviene da vendita cosiddetta “non catalogata” di Drouot, Parigi.
Il quadro, come stato di fatto, evidenzia, tra gli altri, due aspetti esteriori che convalidano certe conclusioni:
-)l’écrasement
-)lo schiodamento dal proprio telaio originario
tali elementi, escludendo gli entrecroisements e il cloisonnisme, e anche altri quali la tela, il pigmento, i chiodi, il telaio ed analoghi perché troppo generici, lasciano dedurre che la tela ha subito senza possibilità di dubbio il medesimo trattamento della maggior parte delle opere di VG di Arles e di St-Rémy e cioè:
- è stata spedita aTheo senza o con telaio; quindi restata arrotolata o, col telaio, impilata sotto il letto o sopra gli armadi o in qualche angolo dell’appartamento oppure accatastata nel “trou à punaises” di Tanguy, con conseguenti schiacciamenti, così tipici in certe opere del periodo. Si rammenti che a causa della pennellata così ricca e fluida, VG lamentava ripetutamente problemi di essiccamento delle opere: era necessario all’incirca un mese per l’asciugatura. Quindi spedire tele arrotolate ancora fresche o non ancora asciugate, è da prendere in normale considerazione.
- è stata schiodata dal telaio originario dall’artista stesso appena finita di dipingere e quindi spedita a Theo che l’ha conservata arrotolata o, rimessa su altro telaio, impilata in qualche parte del suo appartamento o da Tanguy; schiodata dall’artista stesso, poi messa ad asciugare e quindi successivamente rimontata da lui stesso su un telaio diverso e poi mandata a Theo o rimasta nella sua stanza a St-Rémy: quello che è successo in questo momento è purtroppo indecifrabile.
Nel caso della prima ipotesi, l’opera ha seguito le vicende delle altre opere in mano a Jo Bonger-Van Gogh. E’ possibile che sia capitata tra le centinaia affidate a Tanguy per la vendita e rimaste da lui qualche anno; e forse è possibile che facesse parte del lotto delle 400/500 opere che Jo affidò a Vollard per la vendita o per qualche esposizione. Forse è menzionata nell’inventario originale redatto da Jo e dal fratello alla morte di Theo. Forse menzionata nel registro delle vendite di Jo o del figlio. Ai fini di una eventuale ricerca nei citati documenti, quale connotazone o nome dare all’opera? Forse, forse….con Van Gogh le certezze sono sempre a metà!
Sicuro è che non viene menzionato dall’artista nelle sue lettere che di lui conosciamo in numero di 902 (ma ne mancano secondo gli studiosi almeno 550 indirizzate a lui e almeno 290 da lui scritte), quindi necessariamente fa parte delle 400/500 opere (oli e disegni) originali di VG, di cui però non è traccia nell’epistolario ma che sono state a lui assegnate oppure di quelle andate disperse. Non va tenuto in disparte quale potesse essere la sua esistenza dal primo gennaio 89 al maggio 90 a contatto quotidiano con gli altri infelici e anche quanto agevole e indisturbata potesse essere la scomparsa o sparizione di sue opere in quel contesto!
H) ORIGINE DEL DIPINTO:
Nel 1999 o 2000 la signora col marito era nelle sale dell’Hotel Drouot, come sogliono fare tutti gli amanti d’arte quando a Parigi. Una delle sale di vendita aveva le pareti letteralmente ricoperte di quadri, vecchi e non: una vendita cosiddetta non catalogata, come ricordato più sopra. Quindi già in partenza di modesto o basso livello, come si vuole. In mezzo a quella moltitudine di tele, il quadro lo individuò per prima la signora, che ne rimase affascinata. Il giorno dopo, all’asta, il quadro partì con poche migliaia di franchi. Ci fu aspra lotta, decine e decine di rilanci, alla fine il quadro fu aggiudicato alla signora. Pagò, prese il quadro e uscì fuori della sala: per calmare la emozione della contesa e anche della entità della spesa non prevista, col marito si sedette su un sedile presente. Fu curioso costatare la quantità di operatori d’arte che si fermarono ad osservare il quadro e, altrettanto curioso, la uniformità del loro pensiero per quanto riguarda la possibile paternità. Colpì in particolare un signore molto distinto che disse essere il corrispondente economico parigino di un quotidiano belga che aveva assistito all’asta e che avrebbe desiderato essere informato per primo sul destino del quadro, lasciando il suo biglietto da visita.
I) CRONOLOGIA DELL’OPERA:
L’ipotesi di genesi nel periodo febbraio-marzo-aprile-1890 dell’opera in oggetto, inquadrata in un contesto esistenziale dell’artista molto pertinente e consonante -l’epoca della grave crisi- è veramente suggestiva e, soprattutto, non molto agevolmente contestabile.
Eppure stilisticamente nonché geneticamente la nostra opera non si inserisce nel contesto artistico dell’epoca suddetta e cioè il periodo della grande crisi del febbraio-aprile 90.
11) E’ più logico in effetti rinvenire il contesto esatto della origine del nostro quadro alcuni mesi prima e cioè nella estate-autunno 89! In tale contesto sia stilistico sia psicologico sia biografico ecc. la nostra opera si inserisce in modo programmatico e logico. Mancherà forse la esperienza fisica del trasporto sulla carrozza, sanitaria o meno, da Arles a St -Rémy, come avverrà notoriamente qualche mese dopo, il 23 febbraio 90 anche se tale esperienza è stata vissuta il giorno 7 luglio 1889 allorché un inserviente del manicomio lo accompagnò ad Arles: immaginiamo che tale dislocazione di soli 23 Km sia avvenuta a mezzo della carrozza, sanitaria o non, dell’asilo in andata e ritorno, dal momento che l’artista oltre alle varie commissioni che si era proposto di fare, doveva ritirare anche i quadri giacenti ad Arles. L’artista ha dunque vissuto e non solo visivamente, la esperienza di una carrozza, sanitaria o non o entrambe, in dotazione all’asilo di St-Rémy o all’ospedale di Arles: in effetti trattandosi di ospedali, si è quasi obbligati ad aspettarsi che il mezzo di trasporto consueto fosse una carrozza specificamente sanitaria o almeno munita di requisiti visibili.
12) Certo è che l’idea di carrozza come correlata alla esistenza dell’essere umano in generale è un concetto sul quale VG è tornato sovente nei pochi mesi precedenti. Certo è altresì che quando VG parla di carrozza e di cavalli nelle sue lettere (per esempio lett. MVG 611 del 20.V.88) è quasi sempre il medesimo contesto in cui parla esplicitamente di morte e di solitudine oppure di qualche nota attinente. Come per esempio nella lettera MVG 801 del 10.IX.89 in cui esprime il desiderio di rifare una copia della diligenza di Tarascona e allo stesso tempo confessa che “to live with these queer patients here- it is upsetting”. Ripetutamente si registra tale relazione tra carrozza ed angoscia.
13) Inoltre nel periodo estate-autunno 89 si abbandona la “equable balance” dell’impressionismo e tocchiamo tutto un altro mondo nel quale il nostro quadro si inserisce naturalmente e cioè, pur se solo in apparenza, la visione calma delle situazioni, un movimento ondulatorio tranquillo in tutti gli elementi delle creazioni dell’epoca: nel cielo, nel terreno, nelle montagne, nell’erba. E si evidenziano tratti lunghi che man mano ci si inoltra nel periodo, più aumentano e si impongono. Si cominciano a vedere i cieli vaporosi e ondulati come F 611, JH 1723, Mountainous Landscape behind St-Paul Hospital e F 613, JH 1746, Cypresses. Per non parlare di F 712, JH 1740, Olive Trees with the Alpilles. La furia e la foga e la passionalità vengono tenute sotto controllo, vengono quasi represse:… the studies drawn with long, sinuous lines (lettera MVG 816 del 3.XI.89).
Un altro elemento che rende giustificata tale collocazione cronologica alla metà del soggiorno di St-Rémy è che gran parte delle opere di tale periodo evidenziano in generale la medesima ricchezza materica e la medesima pennellata del nostro, come p.e. F 725, JH 1744, Le Mont Gaussier ecc.
14) Qualche altra considerazione che mi induce a confermare alla metà del soggiorno di St-Rémy la origine del nostro quadro è che in generale nelle opere della fine di St-Rémy -come regola dal febbraio ‘90– e nelle opere di Auvers -ferma la evoluzione stilistica- non si nota l’evenienza del cosiddetto écrasement e, in aggiunta, l’erbetta in primo piano quasi scompare, laddove nel periodo in questione di St-Rémy tali elementi sono ricorrenti e, in aggiunta, predominano assolutamente i verdi e le connesse tonalità nonché, quasi sempre in abbinamento, gli ocra e si evidenzia regolarmente e normalmente l’espediente tecnico del cloisonnisme, nel nostro particolarmente evidente.
15) Va preso in considerazione un ulteriore elemento e cioè che in detto periodo si è compiuto il passaggio stilistico verso il vero VG o per lo meno verso il VG di St-Rémy, che è notoriamente differente dagli altri VG precedenti. Ora siamo nel regno della “emotional turbulance” come si esprime il commentatore del Louvre. La esistenza nel manicomio, la solitudine, le giornate intiere trascorse senza dire una parola, gli smarrimenti, gli scoraggiamenti, le emozioni che gli provoca continuamente lo spettacolo della natura, tutto ciò, e altro ancora, lascia tracce e condizionamenti nella sua opera. Per esempio è documentato che dal luglio al settembre 89 è obbligato a lavorare nella stanza a lui assegnata come studio senza poter uscire. E infatti lui stesso nelle lettere scritte a settembre a Theo e alla sorella Wil si lamenta del fatto che sono due mesi che non mette piedi fuori della stanza. E quindi la necessità per lui di lavorare solo al cavalletto e perciò molto “a memoria” . E tale realtà traumatica si ripercuote e si configura nella sua espressione pittorica: un rapporto tra esistenza e pittura, tra momento psicologico e pittura, una peculiarità contraddistintiva dell’artista: stato d’animo e espressione: ved. anche quanto più sopra.
16) Nel periodo individuato la introspezione psicologica, la carica sentimentale, la ricerca interiore sono sensibilmente evidenti e grandemente determinanti, più che in tutti gli altri periodi.
La nostra opera rappresenta una prova inconfutabile di tale forza emotiva che caratterizza l’artista nel periodo in oggetto, cioè la metà di S.Rémy, all’incirca da estate a settembre 89.
17) In ultimo, ma altrettanto rilevante, va ricordato che dal luglio 89 fino ad ottobre 89 realizza opere unicamente nel formato 10-12-15 cioè quello del nostro quadro, se si esclude F 617, JH 1753 del Kroeller-Mueller che è 72×92 cioè formato 30, ma di cui si conosce la incertezza della datazione. Inoltre è notorio che di questo periodo si sono perse le tracce di non poche opere ! Il Pickvance, per esempio, rammenta che solo per il periodo 7-19 settembre VG realizza sette opere di cui però nulla si conosce! In questo periodo si abbandona la equable balance dell’impressionismo e tocchiamo tutto un altro mondo nel quale il nostro quadro si inserisce naturalmente e cioè la visione calma della situazione, un movimento ondulatorio tranquillo in tutti gli elementi dell’opera pittorica e cioè nel cielo, nel terreno, nelle montagne, nell’erbetta. E si evidenziano tratti lunghi che man mano ci si inoltra nel periodo più aumentano e si impongono.
Si cominciano a vedere i cieli vaporosi e ondulati come F 611 Mountainous Landscape behind St-Paul Hospital.
L) ESAMI SCIENTIFICI:
La manifesta bontà dell’opera in verità ha quasi portato alla esclusione della opzione ‘esami scientifici’ del dipinto con riferimento alle tecnologie che oggi accompagnano di solito l’esame di un’opera d’arte. Comunque si è provveduto all’esame della datazione del telaio a cura del Museo Arte e Scienza di Milano che conferma (2007) la età del legno agli anni attorno al 1880 e successivamente a sottoporre l’opera al Maastricht Univ. Dept. of Computer Science nella persona del Dr. Igor Berezhnoy che dopo l’esame ha scritto (2006): ”Your painting is interesting and a ‘hard nut to crack’. I did a number of tests on the set of ‘believed to be genuine’ VG paintings. Your painting was included into the test as well……From what I have so far I can say that this work shows that author X is not sticking out of the ‘crowd’ of the genuine paintings by VG”. “These believed to be genuine paintings by Van Gogh” are those from MVGA.
Abbiamo già ricordato che nel periodo luglio-ottobre 1889 il formato dei quadri realizzati si conforma solo alle dimensioni 10-12-15 (quelle del dipinto in esame) salvo pare una sola eccezione (ved.nr. F 617, JH 1753 già citato). A proposito di tali esami è corretto inserire anche la opinione di certi antiquari di Rue Rossini che con riferimento al solo telaio e alla sola tela (l’opera coperta e invisibile) hanno unanimamente espresso il medesimo parere: metà o fine ottocento.
M) L’OPINIONE DEGLI ESPERTI:
Ha colpito la reticenza da parte degli esperti ad esaminare fisicamente l’opera non appena si pronunciava la ipotetica paternità. Quasi all’unanimità: si rivolga al Museo di Amsterdam oppure: mi mandi una fotografia che è come dire: non mi interessa. Esprimere un parere diviene motivo di imbarazzo, se non timore vero e proprio, a discapito della scientifica curiosità di avere il quadro tra le mani! In effetti tutto è inutile, tutto dipende solo dal MVGA!
18) Per primo invio una foto ad un qualificato conoscitore e commerciante londinese che mi risponde così : ”the handling of the paint looks rather good” e poi però mi informa che al Museo VG di Amsterdam l’opera è già stata esaminata ed è stata ritenuta non buona. Tale informazione da me appresa per via del mercante londinese per la prima volta (sua lettera giugno 2000), al primo impatto mi delude non poco poiché non immaginavo affatto che il quadro fosse stato sottoposto all’attenzione degli esperti del Museo VG di Amsterdam. Certo è che questo qualificato commerciante ed esperto specifico, pur avendo tra le mani una veramente modesta fotografia -quella da me speditagli- ha comunque intuito qualcosa di buono nell’opera medesima tanto che ha sentito anche lui la esigenza di rivolgersi al MVGA per maggiori lumi in merito. E tale fatto non è da poco. Si deduce quindi -così parrebbe- che il Commissaire Priseur parigino, prima di mettere all’asta il dipinto, ha avuto le medesime positive intuizioni sulla possibile paternità del quadro -e parimenti il suo esperto- e quindi hanno ritenuto opportuno inviare la foto ad Amsterdam per conoscerne il parere, con esiti negativi, come ora ben sappiamo. Notoriamente le loro sensazioni ed intuizioni non sono certamente quelle dell’ultimo arrivato. Quindi sono stati il Commissaire Priseur parigino assieme al suo esperto che per primi verosimilmente hanno sottoposto il quadro all’esame del MVG di Amsterdam. Le intuizioni di un Commissaire Priseur, quelle del proprio esperto come pure quelle di un qualificato e consolidato mercante, già capo dipartimento degli Impressionisti e Post Impressionisti alla Christie che di quadri di VG tra le mani ne ha avuti non pochi, non sono le intuizioni e le sensazioni dell’ultimo arrivato, eppure l’esperto del Museo VG si esprime negativamente senza nemmeno, per esempio, aver sentito la curiosità professionale di avere il dipinto medesimo tra le mani! E quindi meccanicamente il pensiero ci va al concetto espresso da Mme Distel del Museo d’Orsay proprio a proposito di siffatto modo di procedere del MVGA: “è facile dire che un quadro è falso, arduo e difficile è dimostrare che è buono”.
19) Un altro esperto e consolidato mi dice che l’opera consiste di elementi ripresi da diversi quadri di VG e messi assieme da un falsario nel 1925-30 e quindi trattasi di un ‘pastiche’.
20) Un altro noto esperto scarta come impossibile antiquarialmente questa epoca 1925-30, conferma con convinzione che l’opera è della fine del secolo XIX ma che è stata realizzata da un grande artista che si è ispirato a VG in occasione della mostra del marzo 1901 presso Bernheim-Jeune che molta sensazione a suo dire suscitò tra i giovani artisti.
21) Il grande esperto di cui sopra che ha parlato di “pastiche del 1925-30” appena tolse il quadro dall’involucro in cui era stato da me riposto, subito disse : “io conosco questo quadro, il MVG mi ha chiesto in merito il mio parere”. Grande è la sorpresa nell’apprendere tale particolare che riveste una sua importanza. Epperò, ora che ha il quadro medesimo tra le mani, mi avvedo senza possibilità di dubbio che le sue convinzioni cominciano a vacillare. Sembra avere la conferma di quanto lui stesso dichiara: “Despite of a good relationship with my colleagues in Amsterdam there are cases where our opinion differs.” Lo guarda, lo rigira. Se lo fa lasciare. Quando ripasso dopo qualche ora palesa il suo pensiero: è un “pastiche del 1925-30”. Ma informa che lui non è esperto di VG bensì di Cézanne e perciò mi indirizza da un suo amico che è esperto specifico del Maestro e che abita nella medesima città. E’ l’esperto che redasse la scheda dei 14 girasoli venduti qualche anno fa dalla Christie alla società assicuratrice giapponese. E così facciamo. Trattasi dell’esperto di cui sopra che ha parlato di quadro ‘ispirato’.
Per rimanere nell’ambito della ‘incompetenza’ di detto primo esperto (quello del “pastiche del 1925-30”), va fatto presente che è uno dei due studiosi che hanno provato e dimostrato qualche anno fa che non solo alcune opere esposte in vari musei ma anche due nature morte appese sulle pareti del Museo Van Gogh di Amsterdam medesimo per una ventina d’anni e passa e quindi ritenute opere autografe del Maestro, erano due opere che invece con VG non avevano nulla in comune salvo il fatto che avevano fatto parte della eredità di Jo Bonger! Ma ultimamente uno di questi fiori ritenuto dubbioso dal Feilchenfeldt e messo in deposito, (quello del Museo Wadsworth di Hartford,USA) è stato giudicato originale dal MVG!!
Quindi sempre in tale istanza di correttezza e trasparenza, la presente descrizione dei fatti va completata facendo presente che tale grande esperto (quello della scheda Christie) che ha parlato di ‘ispirazione’ allorché entrai nella sua abitazione e prese il quadro in mano, dopo alcuni secondi così si espresse: “prendo atto che qualcuno vi ha assicurato che il quadro è originale e autentico, ma secondo me è una ‘ispirazione’ di uno dei giovani artisti che videro la mostra personale di VG nel 1901 e ne rimasero grandemente impressionati”.
Deduciamo da quanto sopra che l’esperto interpellato dal Museo VG di Amsterdam in merito al nostro quadro, a me dichiara di essere esperto di Cézanne e non di VG, mi indirizza ad un suo amico esperto specifico di VG al quale palesa evidentemente le sue vere sensazioni che sono diametralmente opposte a quelle espresse al Museo VG e a quelle espresse anche a me stesso e che cioè il quadro in realtà è autentico e buono!
22) Tali autorevoli pareri non fanno che confermare che siamo a pienissimo titolo nel contesto “stile e personalità di VG” cioè siamo nel mondo di VG:
a)il trattamento della materia è corretto, dice uno; però il quadro è cattivo poiché così sostiene il MVGA;
b)il quadro è vangoghiano in tutti i suoi elementi ma è un pastiche poiché è stato realizzato nel 1925-30, dice il secondo esperto. Il suo parere sul nostro quadro era stato richiesto anche dal MVGA. Ma al suo amico esperto al quale mi indirizza dirà che il quadro è buono.
c)un grande maestro ‘imitatore’ che si è ‘ispirato’ a VG (de Vlaminck, Matisse, Derain…) a seguito della mostra del 1901 e poi lo ha rinnegato distruggendo le opere di imitazione, deduce l’altro grande ed affermato esperto.
23) Un grande commerciante parigino ha dichiarato che non riconosce la scrittura di VG nel quadro. “Riconosco la scrittura di VG come riconosco la scrittura di mio figlio” proprio così si è espresso. E questo è un errore di fondo a mio parere: VG, come si sa, non aveva una scrittura: ne aveva dieci, cento; qualcuno ha scritto: “VG change si souvent de style qu’on ne s’y retrouve pas”. Quindi se si esclude questo parere, gli altri tre esperti in realtà non hanno nessuna ragione scientifica quindi come tale verificabile e oggettiva, per escludere la paternità di VG. Uno la esclude solo perché così ha stabilito il MVG, l’altro perché sbaglia l’epoca, l’altro perché preferisce l’imitatore e non il maestro. Il grande commerciante parigino è lo stesso che si era espresso negativamente quando qualche anno prima ebbe tra le mani il famoso olio “Sunset at Montmajour” di collezione norvegese, ultimamente dichiarato buono dal Museo VG, anni prima respinto.
24) Quegli aspetti esteriori che abbiamo elencato nelle pagine precedenti e alcuni dei quali, per il Pickvance, sono perfino i soli sufficienti a stabilire la autenticità ed originalità di un dipinto, nel nostro caso dagli esperti interpellati vengono completamente ignorati o quanto meno non presi in considerazione. Quindi siamo al puro metodo “I know it when I see it” senza cioè tener alcun conto della evidenza esteriore, quindi oggettiva, pur in certi casi decisiva e risolutiva, quale il criterio della attendibilità scientifica che resta ovviamente indefinito. E anche se, nel nostro caso, alcuni esami mancano, come per esempio quello della analisi del pigmento, degli esami luminosi, quello dell’esame dell’abrasione in alto a destra, quello del raffronto del telaio, come pure della tela, del nostro con quelli di altre opere, le peculiarità fisiche esistenti come pure le caratteristiche diciamo interne quali il tema e il soggetto del quadro, la scelta cromatica, il messaggio della raffigurazione, il rapporto con le vicende esistenziali dell’artista, sono sufficienti per pervenire a certe conclusioni.
N) LA CARROZZA E LA SIMBOLOGIA:
Il tema della carrozza per non parlare del carro agricolo vero e proprio e delle carriole, ritorna almeno venti volte nell’opera di VG sia negli oli, sia nei disegni, sia negli schizzi. Le opere certamente più significative del periodo provenzale e di Auvers possono essere il “The Langlois Bridge” (F 397, JH 1368), “The Encampment of Gypsies” (F 445, JH 1554), “The Tarascon Diligence” (F 478a, JH 1605) e “Road with Cypress and Star” (F 683, JH 1982). L’ultimo mese della sua vicenda esistenziale, giugno-luglio 1890, su un medesimo pezzo di carta realizza due disegni magistrali come pochi: il neonato nella culla e la carrozza -simile al nostro quadro- con il cavallo aggiogato F 1610r, JH 2090 e le stanghe storte: non mi pare che fino ad oggi ci si sia soffermati sul profondo a mio avviso, significato e valore testimoniale di questi due disegni: si direbbero la vera ed autentica ultima volontà dell’artista, il suo testamento. Ma non è tale iconografia, pur se consistente, a giustificare nel quadro oggetto della presente relazione il protagonismo della carrozza o la carrozza come protagonista sola dell’opera, pur se in almeno due opere la F 445, JH 1554 (“The Encampment of Gypsies”) e F 478a, JH 1605 (“The Tarascon Diligence”) esse in effetti sono protagoniste. Ma nel nostro quadro la situazione è diversa. Nelle due opere F 445, JH 1554 e F 478a, JH 1605 VG ci descrive quei mezzi di trasporto che lo hanno colpito anzi quasi li fotografa ma senza alcuna sua partecipazione emotiva, senza coinvolgimenti, a differenza che nel disegno succitato F 1610r, JH 2090. Nel caso invece del nostro quadro l’impostazione è un’altra e ben diversa: oltre che nella personalità dell’artista e nella sua vicenda esistenziale, si entra nella simbologia, quasi nell’arcano. In un contesto senza vita, e sono poche le opere dove non si noti una casa o un albero o un uccello, si impone e prorompe la presenza di una carrozza: le stanghe abbandonate al suolo, vangoghianamente distorte e deformate, senza speranza di essere di nuovo attaccate ai cavalli, il fanale piegato su un lato, senza luce. Nell’interno si vede un lenzuolo bianco, simbolo convenzionale e consolidato della morte, nessuno in cassetta. E poi il profilo gibboso e contorto del tetto del veicolo che ritroviamo tale e quale nei quadri in cui descrive l’andamento delle Alpilles. Quelle stanghe deformate e contorte della carrozza ricorrono identiche, per esempio, nel dipinto ispirato da Millet F 632, JH 1882: The Plough and the Harrow: epperò nel dipinto originario di Millet, “Hiver: La plaine de Chailly”, l’aratro è ben regolare e conservato e le stanghe dritte! Il cloisonnisme ricorrente e imponente della composizione è anche tipico del momento esistenziale, nonché sgorgante significati! La carrozza è su un lato della strada, col freno tirato.
25) Il cielo immenso è percorso da nuvole che con lento moto ondoso scendono tutte verso una direzione. Il medesimo cielo immenso che troviamo, cito a mente, in alcuni capolavori: F 615, JH 1755 Wheatfield with Cypresses, F 778, JH 2097 Wheatfield under a clouded sky, F 779, JH 2117 Wheatfield with crows, F 717, JH 1756 Wheatfield with Cypresses at the Haute Galline, opere che sprigionano una ricerca inaudita della propria interiorità, che descrivono con linguaggio perfino biblico nella sua chiarezza, la minaccia, la violenza, la paura, la immobilità, la presenza oscura dell’altro…E, aggiungo, se si approfondisse anche superficialmente il suddetto paragone, limitandoci solo all’aspetto puramente materico e stilistico, riscontreremmo tra queste opere, prese quasi a caso, e il nostro quadro, delle affinità se non somiglianze vere e proprio perfino incredibili. Ed in effetti, tanto per citare uno di tali aspetti, nel canone delle opere dell’artista si possono contare sulla punta delle dita quelle che promanano forza drammatica e introspezione psicologica come quelle più sopra ricordate e quella nostra in oggetto: non è solo una affinità formale o quant’altro ma qualcosa di molto più profondo. Tutto va verso una direzione, quella indicata dalla carrozza: lo stesso i campi, lo stesso la strada: c’è una grande calma, una grande solitudine. Anche l’erbetta in primo piano contrariamente alla normalità delle opere del Maestro, pare che ondeggi silenziosamente, un po’ in un senso, un po’ in un altro. S’impone la solitudine. Epperò quel lenzuolo bianco, quel fanale reclinato, ci fanno pensare a ben altro, a qualcosa di ancora più inquietante. Come già detto, evidente è la relazione tra scelta del pigmento e emozione interiore e tale relazione che si percepisce e coglie in certe sue opere è uno dei tratti assolutamente originali ed unici dell’arte di VG: una voce critica ha registrato: “Van Gogh deliberately set about using colors to capture mood and emotion, rather than using colors realistically.” Ma ascoltiamo l’artista stesso con riferimento al cromatismo e allo stato d’animo collegato: “…to my taste the dark greens go well with the ocher tones, there is something sad in them that’s healthy” (MVG 805 20.IX.89);”…this combination of red ochre, of green saddened with gray, of black lines that define the outlines, this gives rise a little to the feeling of anxiety….”(MVG 816 31.XI.89).
26) Si può sostenere che il periodo provenzale è stato tutta una via penitenziale in ascesa fino al climax di Auvers, una vita di solitudine, di abbandono, di disperazione, di macerazione, di miseria, perfino di fame, di umiliazione. Per assurdo si può sostenere che i momenti felici e spensierati per lui erano quelli delle crisi e delle infermità cioè dell’incoscienza. E quindi ecco perché, anche, non di rado si parla di tentativi di suicidio o di masochismo oppure perfino di pseudoinfermità: la malattia diventa un rifugio, una via di fuga dalla disperazione, un dimenticare se stesso. Dalla solitudine. Si legga quale conferma, quanto rinveniamo nella lettera alla sua arlesiana, ai Ginoux (MVG 842 del 20.I.90): “I assure you last year I almost hated the idea of regaining my health…”. Il medesimo concetto lo esprime qualche mese prima a Wil: ”….it is with an obstinate ingratitude that I feel my health gradually returning” (MVG 780 del 16.VI.89) e ancora: “…the wisest thing to do is not to long for complete recovery” (MVG 785 del 2.VII.89). La malattia diventa terapia! Ved. la lettera MVG 784 del 6.VII.89 a Théo: ”I very much like to think that illness sometimes heals us, that is to say…..it is necessary for the recovery of the body’s normal condition”.
27) Uno dei periodi cruciali dell’esistenza di VG che ha attinenza col quadro in oggetto è quello di St-Rémy. Sentiamo cosa pensa di St-Rémy Jo Bonger-Van Gogh: ”It was no longer the buoyant, sunny, triumphant work of Arles. There sounded a deeper, sadder tone than the piercing clarion of his simphonies in yellow during the previous year: his palette had become more sober, the harmonies of his pictures had passed into a minor key”. Pur se espresso su un’altra scala, il medesimo concetto di passaggio tra, direbbero i romantici, la forma e la materia, tra la ragione e il sentimento, tra cosmos e caos, tra vita e morte, lo troviamo in questa riflessione dello studioso del Louvre: “the equable balance of Impressionism was replaced by an emotional turbulance. Calm objectivity gave way to the expression of intense feeling”. Tali riflessioni ci avvertono che ormai la direzione è stata imboccata, quella che va in basso, in discesa…come molti dipinti di questo periodo effettivamente indicano, in discesa verso il basso o, pochi, verso chi guarda. Questo è lo stato d’animo e questa è la parentesi esistenziale dove è collocata la nostra opera, estate-autunno ‘89 a St-Rémy.
28) Uno degli scrittori preferiti è Alphonse Daudet come già detto. Nelle sue lettere ne parla ripetutamente un pò con tutti i suoi destinatari, non solo dunque con Theo e la sorella Wil, ma con Emile Bernard, con Tersteeg, e sicuramente altri, già nella lettera MVG 128 del 27.VIII.77. Tartarin e Daudet sono una continua citazione fino alla fine. VG è affascinato dal personaggio Tartarin. E nella lettera MVG 703 del 13.X.88 si sofferma con Theo su una pagina particolare delle avventure di Tartarin e cioè sul cosiddetto “lamento della diligenza”. E’ una pagina che lo colpì molto e su cui torna più di una volta nell’epistolario. Questa diligenza che scintillante nei suoi colori, nelle sue decorazioni, nei suoi ferri luccicanti, ben curata e brillantata dai suoi attendenti, festeggiata quando parte e salutata quando arriva, tirata dai suoi ben ammaestrati destrieri, si lamenta della sua attuale situazione. Ora, soppiantata dal treno, se ne sono disfatti e venduta ad un operatore del Maghreb e qui trasportata per continuare il suo lavoro ma in mezzo al deserto, senza più nessuno che la cura e la tiene in ordine, tirata violentemente da giovani cavallucci noncuranti che la trascinano su asperità, su fossi, su pietre. In attesa, quando non più idonea, di essere abbandonata in qualche posto, sul ciglio di qualche strada, ormai inservibile.
29) Esaminiamo da vicino il significato vero che VG attribuisce alla carrozza in generale, dopo aver ricordato le già menzionate esperienze della sua infanzia alla pieve di Zundert.
Cominciamo con la lettera MVG 585 del 16.III.88 a Theo dove ad un certo punto inserisce la presente osservazione : “for many reasons I should like to get some sort of little retreat, where the poor cab horses of Paris -that is you and several of our friends, the poor impressionists- could go out to pasture when they get too beat up”.
Lettera MVG 611 del 20.V.88 : “You know you are a cab horse and that it’s the same old cab you’ll be hitched up to again; that you’d rather live in a meadow with the sun, a river and other horses for company, likewise free, and the act of procreation. I do not know who it was who called this condition -being struck by death and immortality. The cab you drag along must be of some use to people you do not know. And so if we believe in the new art and in the artists of the future, our faith does not cheat us…..we are paying a hard price to be a link in the chain of the artists, in health, in youth, in liberty, none of which we enjoy, any more than the cab horse that hauls a coachful of people out to enjoy the spring”.
Lettera MVG 656 del 6.VIII.88 : “If the kind old mother of a family, with ideas that are pretty well limited and tortured by the christian system, is to be immortal as she believes, and seriously too -and I for one do not gainsay it- why should a consumptive or neurotic cab horse like Delacroix and de Goncourt, with broad ideas, be any less immortal?”
Lettera MVG 772 del 9.V.89 prima lettera da St Rémy: “Have you noticed that old cab horses there have large beautiful eyes, as heartbroken as Christians sometimes have?”
Anche Theo condivide altrettanto icasticamente su questo elemento così fondamentale, idee e concetti del fratello: si ricordi il contenuto delle sue ultime due lettere del 30.VI e 14.VII.90 a Vincent: “..your carriage is steady on its wheels and strong…”, “Take it easy, you, and hold your horses a little, so that there may be no accident, and as for me, an occasional lash of whip would do no harm” e ancora: “We are like wagoners who by the supreme efforts of their horses almost reach the top of the hill, do an about-turn and then, often with one more push, manage to gain the top”. Originando da Theo, le sue parole mettono la parola fine indiscutibile a qualsiasi tentativo di contestazione o critica al ruolo e al significato della carrozza nel mondo di Van Gogh.
Sempre su questo tema che, come si vede, non è di poco conto nell’ambito del mondo ‘VG’, si legga anche quanto rileva il curatore del Kroeller-Mueller alla pag. 108 del proprio catalogo : “The motif of the horse and carriage and people walking appears repeatedly in drawings known to us from the end of VG’s stay in St-Rémy (incl. F 1587, F 1590, F 1609, F 1610 and sketches in a sketchbook in the collection of the VG Foundation)”. Si aggiunga che nel 1890 realizza almeno dieci disegni di soli cavalli.
30) Il motivo dunque della carrozza, del cavallo, del viaggio, del naufragio, dell’esistenza come un viaggio, è un filo consistente che attraversa l’opera e l’epistolario e la vicenda terrena di VG dall’inizio alla fine, con il già ricordato disegno F 1610, JH 2090 del VI-VII 90 che ne rappresenta quasi la sintesi conclusiva. Allorché ha deciso ormai di abbandonare St-Rémy -questo assoluto mai abbastanza immaginabile calvario- ci informa che la vita nel manicomio è stata per lui non una esperienza orrenda bensì semplicemente tutto un orribile viaggio: “But then this journey is over and done with”. E più sotto sempre nella medesima lettera MVG 865 del 1.V.90: “I think of it as a shipwreck-this journey”. Quindi si conferma che la carrozza in connessione col concetto di ‘viaggio’ non solo mezzo è di locomozione e di trasporto ma soprattutto simbolo della esistenza, della vita che ogni uomo deve trasportarsi dietro, un concetto che quasi ci riporta alla filosofia dell’antico Egitto, alla esistenza intesa come viaggio e come trapasso, perfino come un ‘tuffo’, nell’altro mondo, in un’altra vita.
31) Non pare che gli studi sul Maestro abbiano evidenziato tale aspetto della sua filosofia esistenziale e ne consegue che anche la lettura e la comprensione del nostro quadro acquistano elementi di maggior difficoltà interpretativa. A questo proposito va rammentato che a parte, così sembra, l’assenza di studi e ricerche su tale tema specifico, anche al MVG medesimo non esistono documenti né letterari né grafici né di altra natura sulla carrozza in genere né tanto meno indagini pertinenti: cioè fino ad oggi non si è sentita la curiosità non tanto di indagare sul mezzo di locomozione del 23 febbraio 1890 da Arles a St-Rémy né sulla relativa e pertinente idea di carrozza sanitaria o perfino di ambulanza, quanto nemmeno sul concetto medesimo di carrozza in generale, sul quale, come ricordato, il Maestro tante volte torna nel suo epistolario e che una parte così significativa aveva rivestito nella sua filosofia della esistenza in generale e sua in particolare, rappresentando in effetti uno dei topos ricorrenti dell’epistolario.
32) “I no longer see any possibility of having courage or hope”. A St-Rémy si compie il destino, quello umano prima di tutto e poi quello artistico.
Alla fine di dicembre 89 -il Natale sarà trascorso nel manicomio- ingurgita, pare, il petrolio della lampada. A Theo, in una lettera, parlerà di una ‘aberration’. Viene salvato. Succedono altre crisi fino al febbraio 90, l’altra ricaduta, la più lunga. Ad Arles dove è andato a far visita ai Ginoux e/o a fare una visita anche al bordello locale, crolla di nuovo, preda dell’epilessia, scriverà il dr Peyron. Arles è a 23 Km da St-Rémy. Il dr Peyron viene avvertito il giorno dopo, 23 febb. 90 e manda immediatamente una carrozza con due infermieri a prelevare il corpo di VG.
Ci siamo di nuovo: la carrozza che interferisce perfino fisicamente con la sua esistenza, non solo dunque ideologicamente. Certamente non è una diligenza né un calesse o un omnibus. E’ la carrozza di cui un asilo per malati di mente poteva servirsi nell’800, probabilmente non così attrezzata come quella di cui poteva dotarsi un ospedale vero e proprio ma pur sempre una carrozza sanitaria, una specie dunque di ambulanza, perciò riconoscibile da tutti! La fascia bianca è il contrassegno della carrozza medica per il trasporto dei malati, come pure il fanale dello stesso colore, bianco dunque !! Ecco il soggetto del nostro quadro: l’ambulanza di St-Rémy ! oppure, che è lo stesso, come l’artista immagina una carrozza sanitaria.
33) Da Arles viene trasportato a St.Rémy, forse uno dei due attendenti è Trabuc stesso, al quale ha fatto il ritratto qualche tempo prima. Ecco che cosa scrive in questo periodo dell’inverno 89-90:
“And yet very often terrible fits of depression come over me”;
“I am overwhelmed by a feeling of loneliness to such a horrible extent….”;
“l’égarement m’a encore repris…”;
“For the moment I am overcome with discouragement”;
“….my stay here is very wearisome…”.
E molto altro ancora. E perciò la fuga dal presente e perciò, anche, acuta nostalgia: di Nuenen, del Brabante, delle foschie del Nord, dei suoi tetti di paglia, di un periodo forse meno sventurato della sua esistenza. Si sente un ‘broken pitcher’, un naufrago, un peso morto. E appena riacquista un pò le forze dà sfogo alla nostalgia realizzando le sue opere “Reminiscences of the North” e, in aggiunta, ci lascia anche -probabilmente- un documento della sua nuova terribile avventura.
Ed ecco la carrozza, anzi la carrozza sanitaria, anzi l’ambulanza di St Rémy. L’ambulanza diventa carrozza, la carrozza è la vita, ognuno, ogni uomo, deve tirare la propria. Quella sua è abbandonata sul ciglio della strada, col freno tirato al massimo, col fanale bianco reclinato su un lato, il sudario della morte ben presente in cassetta al posto del vetturino, dell’umanità. Lui, il povero cavallo, non c’è più, è naufragato, si sente morto. E tutto intorno nulla indica la vita. Tutto è spento.
34) Un’opera verosimilmente realizzata nello studio, all’insegna solo di una ispirazione immediata e possente, nell’intento principale di dare esclusivo risalto alla carrozza sanitaria e a quello che essa rappresenta. E quindi l’imponenza della carrozza, che prevarica su tutto il resto e lo condiziona. E tutto è rivolto verso una direzione, velocemente. Espresso con le parole dell’amato Daudet, siamo di fronte al “Lamento della carrozza sanitaria” o al “Lamento dell’ambulanza di St-Rémy”!
Altra chiave di lettura pure pertinente è che il cavallo abbandona la propria carrozza, volutamente, perché, per esempio, ormai ne ha trovata un’altra: Auvers-s.-Oise o ne vuol trovare un’altra. Ognuno di noi -ci informa VG nell’epistolario più sopra citato- è legato alla propria esistenza, come il cavallo è legato alla carrozza che è obbligato a portarsi indietro. VG, il cavallo, ora è libero, si è liberato della propria carrozza, della propria esistenza=manicomio di St-Rémy. E l’abbandona sul ciglio di una strada, col freno tirato, come faranno con la diligenza di Tarascona in qualche luogo del Maghreb. Anche il suo terribile viaggio a St Rémy è finito, dunque. “But then this journey is over and done with”. “I think of it as a shipwreck – this journey”.
O) SINTESI CONCLUSIVA:
Per assurdo non può essere un falso posteriore a VG come cronologia poiché antiquarialmente telaio e tela e altri aspetti sono dichiaratamente XIX secolo e non altro. Salvo che il falsario non si sia servito scientemente di telaio e tela di decenni precedenti. Va anche considerato che un falsario professionista non è certamente un soggetto così vangoghianamente poco canonico e poco tipico come questo che avrebbe realizzato, senza evidenziare la sua scarsissima appetibilità commerciale. Né si sarebbe potuto inventare/riprodurre i contrassegni fisici più sopra elencati (fori, écrasements, elementi Pickvance, il cloisonnisme imponente, ecc.) che rappresentano una autentica firma.
Nulla è eccepibile nel dipinto in oggetto, inventarsi o ritenere di individuare elementi di comparazione, in difformità o collisione, con altre opere del Maestro, è opera insignificante e sterile quindi anche elementarmente contestabile in quanto Van Gogh ha mille personalità e mille modi di esprimersi, come solo i massimi artisti connotano.
35) Il soggetto è così distintivo e peculiare e così storicizzato nella esistenza non solo intellettuale ma anche fisica ed esistenziale di VG -i veicoli del periodo olandese in massima parte tradizionali quindi normali- da renderlo semplicemente unico e personale e come tale congeniale: non può esistere un altro individuo al mondo che avesse o vivesse le medesime suggestioni e sensazioni e esperienze in merito. La assoluta originalità del soggetto non può aprire varchi a illazioni o quant’altro: nessuno al mondo era in grado di interpretare quel veicolo così banale, nella maniera in cui lo ha fatto VG: nessuno aveva la possibilità tecnica -ed esistenziale- di profondere nell’opera quelle sensazioni e suggestioni personali che essa in effetti evidenzia poiché gli sarebbe mancato l’ingrediente principale: una esperienza di vita semplicemente orribile.
36) Da tenere a mente che è inimmaginabile che un falsario o un imitatore abbia potuto servirsi di quelle tonalità di verde e di ocra -e di questi due colori in accoppiata- che troviamo nel quadro: in effetti essi sono il risultato di ricerche e di sperimentazioni personalissime di VG, di una data epoca, di un dato momento della sua esistenza: si ricordi la lettera MVG 800 del 5/6.IX.89 dove parla di half tones con riferimento agli ocra e ai verdi impiegati!
37) A parte la congruità economica, se cioè fosse veramente remunerativo in quell’epoca mettere in giro opere falsificate dell’artista, un’altra ragione che rende tale soggetto speciale e peculiare di VG, e quindi impensabile una qualsivoglia ipotesi di imitazione o di ispirazione, è il fatto che l’eventuale falsario o l’eventuale ‘ispirato’ o chi altro si vuole, avrebbe dovuto aspettare l’anno 1914, l’anno cioè in cui la vedova di Theo pubblicò le lettere di Vincent dirette al marito, se voleva conoscere il ruolo della ‘carrozza’ e del ‘viaggiare’ nella concezione esistenziale dell’artista e principalmente la vita del Maestro ad Arles prima e a St Rémy e Auvers dopo. Avrebbe dunque dovuto conoscere, in aggiunta, la iniziativa editoriale di Jo Bonger, leggersi i tre volumi dell’epistolario e…conoscere l’olandese, lingua in cui Jo pubblicò effettivamente le lettere. Inoltre, avrebbe solamente potuto immaginare il contenuto -pur esso fondamentale- delle lettere dirette agli altri destinatari in quanto assenti nella edizione del 1914. Ma anche ammesso possibile tutto ciò, comunque ci troveremmo nell’anacronismo ugualmente e per la semplice ragione che il nostro quadro è antiquarialmente, ripeto, XIX secolo e non, in questo caso, post 1914, senza richiamare alla memoria il fatto incontestabile che il quadro si inserisce in un contesto tecnico e psicologico troppo personale e soggettivo per poter essere in qualche modo imitato o rivissuto da un altro! Infatti il quadro in oggetto connota una individualità perfino prorompente e imponente ed è estremamente caratterizzato e individuato. Tali caratteristiche non sono facilmente imitabili né, in aggiunta, il falsario o l’imitatore così sprovveduti da ricorrervi. Si rammenti che il Pickvance, che fa parte anche della ristretta cerchia degli esperti consolidati del MVG, è così consapevole che quegli elementi esteriori del quadro da lui evidenziati sono tipici e unici solo di VG -tanto da costituire una firma- che nemmeno è sfiorato dall’idea di esaminare il quadro anche sotto altri aspetti ricorrenti nell’esame di un dipinto.
38) Vi è un ulteriore aspetto specifico del nostro quadro a proclamarne la originalità e cioè la sua aderenza, quasi simbiosi, con la esistenza quotidiana dell’artista in quella data circostanza: il quadro illustra la morte e la disperazione: ”my pictures….are almost a cry of anguish”. Non mi sembra che gli studi su VG registrino la presenza di un falsario o di un ‘ispirato’ o di un ‘imitatore’ che abbia avuto la possibilità (a parte l’interesse o cos’altro) di immedesimarsi così perfettamente nella personalità. Il più volte citato Schuffenecker era solo un eccellente copista, se il caso.
Oggettivamente e scientificamente il quadro non presenta nulla che possa dar adito a perplessità. ©MICHELE SANTULLI