A) I DATI REALI
- la fisicità :
a) tipo di telaio, di tela, di chiodi, di pigmento;
b) altri fori di chiodi sul telaio, fori di chiodi sui bordi della tela, cancellatura in alto a destra, rottura della tela in alto a sinistra, misura della tela rispetto al telaio, dimensioni della tela: cm. 46,2 x 64,6;
- l‘esecuzione :
motivi a onde nel cielo, continui, senza interruzione inframmezzati di colore, pennellata impastata con bordi di materia pittorica; le tacche sulla fascia bianca della fiancata; quattro piani longitudinali e paralleli, molte tonalità di verde che ne costituiscono la prevalenza; abbinamento di mezzi toni di verde con gli ocra; in basso il solito motivo di erba quasi sempre a falce e a falcetto; evidenti e ripetute prove di cosiddetti écrasements (schiacciamenti del pigmento) e alcune anche di entrecroisements (cioè le pennellate trasversali al verso del pennello); il primo piano evidenzia fili d’erba color bruno o bianco pallido che non sono colori: possibile eosina; effetto di smalto nella parte pensilina della carrozza; evidente e ripetuto il cosiddetto cloisonnisme; diverse piccole parti non dipinte, tela sottostante.
- il soggetto :
una carrozza a quattro ruote per trasporto di persone e cose, certamente non una carrozza da zingari né tanto meno una diligenza; una lanterna fuori con vetri di colore bianco; la leva del freno dall’altra parte è tirata in alto; la cassetta (il sedile di guida) vuoto e ricoperto invece da un panno bianco che prosegue nell’interno; ruote e stanghe storte e contorte; non si vedono cavalli né alberi né uccelli né case; la carrozza è ferma su un lato della strada; il fianco è percorso da una fascia bianca con tacche.
B) CONSIDERAZIONI E DEDUZIONI :
1) è ben verosimile che il telaio dell’opera è di quelli fatti realizzare da VG dal falegname del luogo costati, stando alle lettere a Theo, un franco l’uno, telai comunque rozzi e di cui V.G. si lamentava: il nostro telaio è certamente di questi, di legno di abete, senza chiavi di tensione, come gran parte dei telai impiegati.
La tela e i chiodi sono quelli in uso normale in Francia nel corso della seconda metà del secolo XIX. Il pigmento impiegato sicuramente per quanto riguarda il rosso conteneva l’eosina. Il tutto francese, il tutto assolutamente d’epoca, senza dubbio alcuno cioè ottocento e fine ottocento. Sostenere epoca diversa, più antica o più recente, è inesatto dal punto di vista antiquariale.
2) l’esame dell’opera porta a costatare che il telaio è stato usato precedentemente per una tela diversa poiché evidenzia, in aggiunta dunque, altri fori di chiodi, il che significa che dal presente telaio è stata schiodata una prima tela e poi al suo posto rimessa un’altra, quella in oggetto; parimenti la nostra tela, affianco ai chiodi che la tengono fissata all’attuale supporto, presenta altri fori. La nostra tela dunque palesemente non è stata montata sul suo telaio originario bensì su un altro, diverso -il presente- leggermente più grande: le attuali misure confermano: cm. 46,2 x 64,6.
Tutte le ipotesi di tale procedura sono una realtà ricorrente del periodo provenzale: qualche esempio analogo preso a caso, si ricordi F 398 del Museo Rodin e F 535 di collezione svizzera che palesano, senza possibilità di dubbio, tale medesima situazione. Ardua la decifrazione della cancellatura o abrasione in alto a destra.
3) palesi prove di écrasements, di entrecroisements, di cloisonnisme.
4) Tutti gli aspetti esteriori che abbiamo elencato rientrano quasi geneticamente nell’opera provenzale e anche di Auvers del Maestro. Nessun artista che non sia VG stesso può ricreare tali aspetti. Infatti un riconosciuto esperto di VG pur se contestato nel caso specifico da qualche collega, ha dimostrato la autenticità e originalità di un dipinto (F 438) in collezione prestigiosa con queste parole : “its handling, its palette, its complete comprehension of the local topography, and even the flattening of parts of the impasto caused by rolling the canvas or packing it against another, all attest to its utter authenticity” (Fondation P.Gianadda, Martigny: Van Gogh, mostra 21.6.2000/26.11.2000 a cura di Ronald Pickvance, p.305). Cioè, ci ricorda il Pickvance, tali particolarità sono così tipiche e uniche di VG da costituire una incontestabile firma di paternità. Cioè in VG la presenza o meno di tali particolarità facilita in maniera decisiva l’esame di un’opera, sono così vincolanti che tutto il resto diventa perfino insignificante. Nel nostro quadro di tali elementi ve ne sono ancora, in più:
a)non è possibile né credibile che tali elementi esteriori e fisici si possano rinvenire contemporaneamente e tutti assieme in un pittore che non sia VG.
b)L’esistenza terrena del Maestro ha necessariamente conferito anche a tali elementi un qualcosa, una specie di marchio, che è impensabile possa essere vissuto e quindi realizzato da altro artista.
5) La carrozza nella sua forma di roulotte gitana o di diligenza o di carro agricolo o di barroccio o, come in questo caso, di un mezzo di trasporto di persone e cose, ritorna decine di volte nel canone delle opere del Maestro. Una carrozza analoga alla nostra la troviamo nel disegno F1610r JH2090 e nella lettera nr.552 dove parla del quadro della diligenza di Tarascona. Ma, aspetto fondamentale e determinante, la carrozza, con o senza cavalli, è anche uno degli ingredienti della sua concezione della vita: gli uomini sono i cavalli e ognuno di essi tira e porta in giro la propria carrozza: lui stesso si definisce un ‘traveller’ permanente della vita: “I always feel I am a traveller, going somewhere and to some destination” (lett.518, 6.VIII.88). La carrozza è, appunto, fonte di molte suggestioni per VG, da sempre, dalla sua infanzia alla fine. Jo Bonger, la cognata, nelle sue annotazioni su Vincent, ci narra un episodio della di lui fanciullezza in cui, di già, la carrozza gioca un ruolo determinante e cioè allorché essa diventa un mezzo di riappacificazione tra la madre e la nonna che erano cadute in attrito proprio a causa sua. L’epistolario, inoltre, ricorda più di una volta le visite che lo zio dallo stesso nome, mercante d’arte ritiratosi ormai dagli affari, periodicamente rendeva al fratello Theodorus, padre di Vincent, allorché a bordo della propria carrozza entrava fragorosamente nel cortile della pieve a Zundert: e quante leccornie ne venivano scaricate per i nipoti : frutta candita, dolci, frutti vari, ghiottonerie e fiori. Anche questo ricordo del barroccio fragoroso portatore di squisitezze e di buona ventura è rimasto indelebile nella memoria di Vincent, contribuendo alla assimilazione del concetto della carrozza quale ingrediente della esistenza umana, del cavallo che tira la carrozza portatrice di felicità o di infelicità. Senza ricordare la esperienza terribile del viaggio da Arles a Saint-Rémy il 23 aprile 1890, esanime, sulla carrozza del manicomio mandata dal dr Peyron con due inservienti e, ancora, senza menzionare l’altro, sicuramente pure sul medesimo veicolo da Saint-Rémy ad Arles e ritorno, del 7 luglio 1889 assieme ad un dipendente dell’asilo.
Già il soggetto, parlando di VG, equivale ad una firma di paternità.
6) Uno degli scrittori che VG menziona continuamente nel suo epistolario, è Alphonse Daudet e più esattamente il romanzo “Tartarin di Tarascona” e la pagina che più lo affascina uesto romanzo què quella del cosiddetto “lamento della diligenza” il cui succo è una realtà cruda della esistenza umana: quando si sta bene e si è utili, si viene curato e coccolato; quando non sei più utile, resti solo e vieni abbandonato. Il paesaggio è senza vita, la carrozza è vuota, dismessa, dimenticata su un lato della strada, col freno tirato; anche il mondo circostante è senza accensioni cromatiche, tutto è, al contrario, espresso sulle amate tonalità dei mezzi toni di verde e degli ocra. Solitudine. Anzi di più: morte, poiché nella carrozza si vede chiaramente il sudario. Anche il fanale è morto, reclinato su un lato, senza luce. “Il lamento della carrozza” avrebbe detto l’amato Daudet.
C) SINTESI CONCLUSIVA
7) Per assurdo non può essere un falso posteriore a VG come cronologia poiché antiquarialmente telaio e tela e altri aspetti sono dichiaratamente seconda metà XIX secolo e non altro. E questo è un punto di riferimento fondamentale. Va anche considerato che un falsario professionista non è certamente un soggetto così vangoghianamente poco canonico e poco tipico come questo che avrebbe realizzato. Né si sarebbe potuto inventare/riprodurre i contrassegni fisici più sopra elencati (fori, écrasements, elementi Pickvance, ecc.).
Non potendo essere un falso posteriore come detto sopra, allora può essere:
- un falso d’epoca,
- un quadro ‘ispirato’: si tratta di un nuovo modo di analisi di un’opera pittorica, almeno per quanto riguarda VG.
In effetti il falsario d’epoca o l’’ispirato’ -lasciando da parte mille altre considerazioni- razionalmente e ragionevolmente non potevano, tra l’altro, servirsi nel loro ‘falso’ o nella loro ‘ispirazione’ di quelli che più sopra abbiamo definiti “elementi Pickvance” o di parte di essi, per molte ovvie ragioni tra le quali la completa assenza di notizie e di informazioni sulla vita e l’opera del Maestro e quindi la ignoranza della esistenza di tali ‘elementi’!! Chi conosceva le sue opere ? Chi il suo modo di asciugarle ? Chi il suo modo di spedirle a Theo ? Chi sapeva in che modo le conservava Theo? Chi la sua vita di ogni giorno? Chi le sue lettere?
8) In effetti abbiamo di fronte una realtà che già a priori esclude la pur minima possibilità di una spersonalizzazione o di una contaminazione: il soggetto medesimo del quadro ! Cioè la carrozza anzi la carrozza sanitaria! Il soggetto è così personale e tipico e così storicizzato nella esistenza non solo intellettuale ma anche fisica ed esistenziale di VG da renderlo semplicemente unico e personale e come tale congeniale: non può esistere un altro individuo al mondo che avesse o vivesse le medesime suggestioni e sensazioni e esperienze in merito! Epperciò già tale fatto -vale a dire la assoluta originalità del soggetto- non può aprire varchi a illazioni o quant’altro: nessuno al mondo era in grado di interpretare anzi di vivere quel veicolo così banale nella maniera in cui lo ha fatto VG: nessuno aveva la possibilità tecnica -ed esistenziale- di profondere nell’opera quelle sensazioni e suggestioni che essa in effetti evidenzia poiché gli sarebbe mancato l’ingrediente principale: una esperienza di vita semplicemente orribile.
9) In aggiunta una ulteriore realtà è che è arduo, se non impossibile, voler ritenere che un falsario o un imitatore abbia potuto servirsi di quelle tonalità di verde e di ocra -e di questi due colori in accoppiata- che troviamo nel quadro, che sono colori risultato di ricerche e di sperimentazioni personalissime di VG, di una data epoca, di un dato momento della sua esistenza, ved. § 13,14.
10) Un’altra ragione che rende tale soggetto unico e tipico di VG, e quindi impensabile una qualsivoglia ipotesi di imitazione o di ispirazione, è il fatto che l’eventuale falsario o l’eventuale ‘ispirato’ o chi altro si vuole, avrebbe dovuto aspettare l’anno 1914, l’anno cioè in cui la vedova di Theo pubblicò le lettere di Vincent dirette al marito, se voleva conoscere il ruolo della ‘carrozza’ e del ‘viaggiare’ nella concezione esistenziale dell’artista e principalmente la vita del Maestro ad Arles prima e a St Rémy e Auvers dopo. Avrebbe dunque dovuto conoscere, in aggiunta, la iniziativa editoriale di Jo Bonger, leggersi i tre volumi dell’epistolario e…conoscere l’olandese, lingua in cui Jo pubblicò effettivamente le lettere. Inoltre, avrebbe solamente potuto immaginare il contenuto -pur esso fondamentale- delle lettere dirette agli altri destinatari in quanto assenti nella edizione del 1914. Ma anche ammesso possibile tutto ciò, comunque ci troveremmo ugualmente nell’anacronismo, per la semplice ragione che il nostro quadro, in aggiunta, è antiquarialmente, XIX secolo e non, in questo caso, post 1914 !
Il quadro in oggetto connota una individualità perfino prorompente e imponente ed è estremamente caratterizzato e connotato. Tali caratteristiche non sono così facilmente imitabili né, in aggiunta, il falsario o l’imitatore sono così sprovveduti da ricorrervi.
L’analisi fatta dal Pickvance per confermare la bontà del dipinto “Les débardeurs” F438 ribadisce che sarebbe fuorviante non prendere nella dovuta considerazione l’evidenza scientifica e tecnica dell’opera, anzi va sottolineato che il Pickvance è così consapevole che quegli elementi esteriori del quadro sono tipici e unici solo di VG che nemmeno è sfiorato dall’idea di esaminare il quadro sotto altri profili e cioè quelli diciamo convenzionali e tradizionali, stilistici, ecc.
11) Vi è un ulteriore aspetto del nostro quadro a proclamarne la assoluta originalità e cioè la sua aderenza, la sua simbiosi, con la esistenza quotidiana dell’artista in quella data circostanza: il quadro illustra veramente la morte e la disperazione: ”my pictures….are almost a cry of anguish”. Non mi sembra che gli studi su VG registrino la presenza di un falsario o di un ‘ispirato’ o di un ‘imitatore’ che abbia avuto la possibilità (a parte l’interesse o cos’altro) di immedesimarsi così perfettamente nella personalità e nella esistenza di VG. Il più volte citato Schuffenecker era solo un eccellente copista, se il caso.
Mille persone che conoscono VG, tutte e mille riconoscono il quadro senza avere alcun dubbio. Tutto nel nostro quadro rientra normalmente e perfino elementarmente nel canone delle poche opere importanti di VG. Il quadro non presenta alcun elemento chepossa dar adito a perplessità.
D) STORIA DEL QUADRO: IPOTESI
12) Ma da dove viene l’opera? Dove è stata tutto il tempo? Possiamo solo rammentare che proviene da vendita cosiddetta “non catalogata” di Drouot quindi non di facile individuazione: è ben possibile che il Commissaire Priseur che l’ha offerta in vendita non conosca nemmeno chi gli ha affidato il quadro.
Il quadro evidenzia, tra gli altri, due aspetti esteriori fin troppo tipici dell’opera di VG che convalidano certe conclusioni:
-)l’écrasement
-)lo schiodamento dal proprio telaio originario
tali elementi, escludendo gli altri quali gli entrecroisements e il cloisonnisme, e anche altri quali la tela, il pigmento, i chiodi, il telaio ed analoghi perché troppo generici, e ovviamente la pennellata e lo stile, lasciano dedurre che la tela ha subito senza possibilità di dubbio il medesimo trattamento della maggior parte delle opere di VG di Arles e di St-Rémy:
- è stata spedita aTheo senza o con telaio; quindi restata arrotolata o, col telaio, impilata sotto il letto o sopra gli armadi o in qualche angolo dell’appartamento oppure accatastata nel “trou à punaises” di Tanguy, con conseguenti schiacciamenti, così tipici in certe opere del periodo. Si rammenti che a causa della pennellata così ricca e fluida, VG lamentava ripetutamente problemi di essiccamento delle opere. Scriveva a Theo che era necessario all’incirca un mese per l’asciugatura. Quindi spedire tele arrotolate ancora fresche o non ancora asciugate, è da prendere in normale considerazione.
- è stata schiodata dal telaio originario dall’artista stesso appena finita di dipingere e quindi spedita a Theo che l’ha conservata arrotolata o, rimessa su altro telaio, e poi impilata in qualche parte del suo appartamento o da Tanguy; oppure schiodata dall’artista stesso, poi messa ad asciugare, successivamente rimontata su un telaio diverso da lui stesso e poi mandata a Theo rimasta nella sua stanza a St-Rémy: quello che è successo in questo momento è purtroppo indecifrabile. E’ interessante ricordare che ancora il 10 giugno 1890 lett.881 raccomanda a Theo che Tanguy schiodi le tele dai telai e ne faccia rotoli e pacchi e lo stesso le opere sotto il letto da parte di Theo che sarebbe opportuno ritoccare.
Nel caso della prima ipotesi, l’opera ha seguito le vicende delle altre opere in mano a Jo Bonger-Van Gogh. E’ possibile che sia capitata tra le centinaia affidate a Tanguy per la vendita e rimaste da lui qualche anno; e forse fu venduta da Tanguy; è possibile che facesse parte del lotto delle centinaia di opere che Jo affidò a Vollard per la vendita o per qualche esposizione. Forse è menzionata nell’inventario originale redatto da Jo e dal fratello alla morte di Theo. Forse menzionata nel registro delle vendite di Jo o del figlio.
Nel caso della seconda ipotesi, come detto più sopra, il destino del quadro diviene imperscrutabile ed indecifrabile. Sicuro è che non viene menzionato dall’artista nelle sue lettere che di lui conosciamo, quindi necessariamente fa parte delle 400/500 opere (oli e disegni) originali di VG, di cui però non è traccia nell’epistolario ma che sono state a lui assegnate oppure di quelle andate disperse.
ALTRI ASPETTI
MATERIA, COLORE, PENNELLATA
Nell’epistolario non si menziona che più di una volta impiegava gli stracci da pavimento o le salviette da tavola per dipingere non disponendo delle tele né tanto meno vi si accenna ai miscugli di pigmenti fuori di ogni regola da lui operati per sue ragioni contingenti né tanto meno alla presenza, come è il caso, di qualche cadavere di cavalletta o di grani di sabbia in mezzo ai pigmenti. E’ motivo anche di attenzione il fatto che è fuori di dubbio che si procurasse o ricavasse empiricamente sostanze pigmentarie anche da terre e sabbie che individuava nelle sue sistematiche e quasi quotidiane scorribande nella natura: senza riferirci specificatamente ai suoi dipinti sulle cave di pietra e analoghe, tutta la sua opera è sostanzialmente un inno alla natura: ”I’m going off for a long hike in the mountains to look for sites” (MVG 809 del 8.X.89). “…and often going on long walks in all directions..”(MVG 829 del 19.12.89): non poche evidenze di laboratorio da parte del Museo VG oggi documentano presenze pigmentarie non ancora ben chiarite. Nella tesi di dottorato di Johanna Salvant, esaminatrice Ella Hendriks già del VGMA, si legge: Van Gogh ajustait peut être les propriétés des peintures en tube en ajoutant ses propres ingrédients [9, 13](PAG.44). A confermare e a rammentare che l’artista con riferimento all’uso dei pigmenti pittorici, poteva ricorrere anche a quanto la natura era in grado di mettergli a disposizione, gesso, rutilio, sabbie e rocce titaniche, ecc.: in effetti la sua sensibilità nonché la sua pratica artistica maturate supplivano alla lontananza da Parigi e quindi alla frequentazione dei colleghi artisti e alle nuove tecniche e composizioni che affluivano sul mercato a cadenze ravvicinate. Da qui la sua inclinazione a non rifuggire da mescolanze e miscugli di sostanze coloranti più o meno eterogenee per conseguire certi risultati o per supplire a certe mancanze contingenti di materiali: come ha illustrato qualche ricercatore, esempi illustri non mancano come Sargent che già nel 1882 si serve in un dipinto dell’ancora poco diffuso bianco di titanio o come il povero Modigliani obbligato a servirsi addirittura del gesso degli imbianchini quale pigmento bianco. In aggiunta è notorio, come è stato autorevolmente documentato, che probabilmente Van Gogh è stato l’unico artista ad impiegare in uno stesso quadro sia il bianco di piombo sia il bianco di zinco, valorizzandone al massimo le peculiarità specifiche come nessun altro, come pure ad impiegare in un certo modo e in certe pratiche anche il misterioso lithopone. E’ anche notorio che il rosso impiegato contenesse l’eosina come pure che certi miscugli e mescolanze stanno creando il rischio di degradare il cromatismo originario.
13)La nostra opera rientra perfettamente nella personalità artistica di VG rispecchiandone fedelmente anche i criteri programmatici di quei mesi 1889:
-la semplificazione dei colori (lett. 613, XI-89),
-“the somber greens go well with the ocher tones” (lett. 607, IX-89),
-“I have never worked with more calm than in my last canvases” (lett. 622, 4.I.90).
Nell’autunno e inverno ‘89 si propone di evitare quello che lui chiama ‘impasto’, cioè una caratteristica dell’amato Monticelli, di cui VG si è servito nella realizzazione delle sue opere: la corposità materica della esecuzione. Ora invece, autunno ’89, sentendosi in una situazione più calma e rilassata ritiene di poterlo essere anche nella pennellata. E in effetti nelle opere possiamo riscontrare un tocco più liquido e meno denso e corposo come osserva A.Distel a pag.59 del catalogo della mostra sul dr Gachet al Grand Palais del 1999: ”les touches à la brosse…montrent una matière fluide s’accumulant sur leurs bords…” (p.59), anche se già da febbraio incontriamo di nuovo opere ‘impastate’. Gli ingrandimenti fotografici della pennellata evidenziano la visione eccezionale della materia e un raffronto, per esempio, tra la digitale scolorita del Gachet del Museo d’Orsay e il nostro quadro è sbalorditivo, poiché uguali per tutto.
14) E’ nota la importanza che VG assegna alla funzione del colore nei suoi quadri. I rossi e i gialli che esprimono le passioni -ved. Italienne.Agostina del M. d’Orsay- i blu, i viola, le centinaia di verdi, il colourless gray, i quadri almost colourless, addirittura ci dice che vi è un rapporto con la bevanda: se beve molto è portato a dipingere più colorato, se beve poco “a peindre plus gris”. Proprio in quel periodo del febbraio 90 parla perfino di ‘musician in colours’: i princìpi cromatici e l’armonia gli sono chiari da sempre: “To my mind the somber greens go well with the ocher tones” (607, 19.XI.89).”I am trying as much as possible to simplify the list of paints -therefore I often use the ochres as I did in the old days” (lett.613, XI-89). Tali affermazioni programmatiche come pure la loro epoca collimano alla perfezione con l’epoca e le caratteristiche del nostro dipinto parimenti a quel concetto di “green skies” di cui nella lettera 610 ottobre 89, che trova la sua realizzazione nel cielo del nostro quadro. Settembre 1889! .
15) Anne Distel del Museo d’Orsay osserva: ”la touche s’allonge sensiblement durant la période d’Auvers” analogamente ai mesi precedenti di Saint-Rémy. Un altro critico rileva che già “during the winter of 1889 a number of paintings…reveal a remarkably careful and regular touch” cosa che l’artista spiega nelle sue lettere 617 e 618 del dic. 89. Il medesimo concetto si ritrova nel catalogo: Vincent Van Gogh und die Maler des Petit Boulevard, mostra a Francoforte 8 giugno-2 settembre 2001: caratteristico dello Spaetwerk, dell’opera tarda, è la “Vielfalt unterschiedlicher Pinselstriche. Neben Parallelschraffuren finden sich die typischen sichelfoermige Striche. Hinzukommen wellenfoermige Linien, ecc. Possiamo dire di più: il quadro in esame non evidenzia alcun particolare che possa dar origine a considerazioni negative o dubbi poiché ondulamenti, pennellate lunghissime, le tonalità del verde, lunghe curve intere li riscontriamo non solamente in moltissime opere ma, in aggiunta, perfino negli acquarelli frequentemente e tratti sinuosi e lunghi come nel cielo in oggetto anche nei disegni, p.e. F 1573 Group of pine trees near a house. Altro qui appresso.
MONOCROMIA
I quadri che rispecchiano la tendenza di VG alla semplificazione cromatica, all’uso prevalente di certi colori solamente, ricordando che nel periodo St-Rémy/Auvers la tonalità predominante è il verde, allora si può concludere:
-l’autoritratto F 627 “almost colourless”, “blau auf blau”, particolarmente pertinente, sett.1889;
altre opere della medesima qualità cromatica sono numerose e cito a caso :
-F 632, I-90 Campo con aratro ed erpice,
-F 702, V-90 Alle soglie dell’eternità,
-F 611, VI-89 Mountainous landscape behind St-Paul Hospital,
-F 617, VI-89 Wheatfield with Reaper and Sun,
-F 721, XII-89 Meadow in the Mountains : Le Mas de St-Paul,
-F 582, IV-89 Clumps of Grass,
-F 584, IV-89 Field of yellow Flowers.
Tale lista si potrebbe arricchire di molto.
TACCHE E TRATTINI
Un ulteriore aspetto tecnico del quadro in oggetto sono quelle tacche o trattini che si evidenziano sul lato inferiore della fascia bianca in modo così evidente e nervoso, realizzate, non è escluso, con la punta del manico del pennello: nella lettera 801 del 10 sett.89 scrive:”….I’m working furiously…” ecco perché quella tacche speciali!! Ecco la sua firma!! Possiamo andare oltre e pervenire alla conclusione incontestabile che nessun pittore ha mai avuto la esigenza di esprimersi con quel dettaglio in quel posto particolare. Ed esso è anche il dettaglio che -eventualmente- nessun falsario o nessun ispirato avrebbe potuto eseguire autonomamente con tanta naturalezza in quel luogo specifico della fascia. La presenza dei trattini o delle tacche nei contesti più disparati: sui cigli delle strade, sui displuvi delle capanne, sulle falde dei cappelli, nei tronchi degli alberi, nelle sopracciglia dei ritratti, nei granchi, nelle corolle dei girasoli e in tanti altri luoghi è una realtà ricorrente pur se espressa in maniera tecnicamente più convenzionale.
ESAMI SCIENTIFICI
Il legno del telaio è stato esaminato e testato dal Museo della Scienza di Milano ed è cronologicamente corretto e positivo. Il Prof. Igor Berezhnoy Maastricht Univ. Dept of Computer Science dopo l’esame delle pennellate del dipinto ha scritto: ”Your painting is interesting and a ‘hard nut to crack’. I did a number of tests on the set of ‘believed to be genuine’ VG paintings. Your painting was included into the test as well……From what I have so far I can say that this work shows that author X is not sticking out of the ‘crowd’ of the genuine paintings by VG”. “These believed to be genuine paintings by Van Gogh” sono quelli del VGMA! Se si ricorda che il VGMA era strettamente coinvolto e partecipe della iniziativa scientifca della Univ.di Maastricht, allora disponibile è anche la prova scientifica incontestabile della autenticità dell’opera!!
“Il vostro dipinto è interessante ma avrete difficoltà. Ho svolto una serie di tests con opere di VG ‘ritenute genuine’ e il vostro quadro incluso in tali tests….Da quanto in mie mani sono in grado di affermare che questa opera non si è distinta dalla folla di tali Van Gogh genuini”. Tali Van Gogh genuini sono quelli del VGMA.
SITUAZIONE PSICOLOGICA
In alcune pagine abbiamo documentato lo stato d’animo di VG nel periodo di St.Rémy. Consigliabile una distinzione tra stato fisiologico e stato psicologico.
VG in questo periodo estate 89 e inverno 89-90, è fisicamente a pezzi poiché ha subito diverse crisi, ha perfino autoalimentato lo stato di infermità tentando il suicidio più di una volta, cade preda di una lunghissima crisi nel febbraio 90: da luglio 89 a fine aprile 90, salvo sett. ott. nov. si può sostenere che fisicamente VG è tenuto assieme dalla frequente idroterapia, dalle droghe che sicuramente gli somministrano e dai tranquillanti: tale terapia suscita in lui ovviamente l’impressione della calma, della rilassatezza, della ‘pent-up fury’, dell’’ardeur calme et contenue’. E nelle sue lettere ci documenta tale stato fisico: già in quella a Theo del 28.1.89 nr.574 aveva parlato di “bromuro di potassio”. Dopo il lungo periodo di oltre due mesi obbligato a lavorare in casa e cioè da tutto luglio fino ai primi di settembre dell’89, quasi tutte le lettere che scrive sono lettere di disperazione, di angoscia, di autocommiserazione e autolesionismo, e tali sentimenti trovano il loro corrispettivo anche in molte opere realizzate. Non è credibile che la situazione nella quale si trova VG sia perfino stata anche lontanamente immaginata dalla letteratura: un uomo sano, geniale, coltissimo, spaventato dagli uomini e dal mondo, sceglie di convivere e convive coi dissennati e gli alienati cioè con coloro che dell’essere umano incorporano solo la animalità perfetta. Lui, proprio VG, convive con gli animali! Scrive lui stesso: ‘beasts in a menagerie’. Si tenga a mente, tra l’altro, il suo continuo vittimismo se non masochismo vero e proprio: paragona le sue opere alle cromolitografie di basso conio, ecc. dice chiaramente di non valere nulla, di essere un peso morto, di essere un ‘broken pitcher’, un naufrago. L’autoritratto di Oslo F 528, già di per sé estremamente drammatico ed eloquente, ci introduce solo parzialmente in questo mondo di disperazione massima in cui è prigioniero. uesto mondo di disperazione massima in cui è prigioniero.questoUna sola cosa in effetti gli rimane: l’emozione, la gioia del dipingere. L’unico punto di riferimento vero, fonte continua e fedele di gratificazione. Lo dice chiaramente: “ce n’est que devant le chevalet en peignant que je sens un peu la vie” (lett. W14, 19.IX.89). E in questo processo di immedesimazione nell’oggetto del suo quadro, si astrae, dimentica se stesso, si autorigenera. Epperò, allo stesso tempo, saranno anche le opere medesime quasi sempre ad esprimere il suo stato d’animo: “my pictures are…almost a cry of anguish” (lett. W20 c.20.2.90). Tale è il terreno ideologico ed esistenziale dove è nato il quadro.
L’OPINIONE DEGLI ESPERTI E SPECIALISTI
16) Nel nostro caso ci ha colpito, anche, la reticenza da parte degli esperti ad esaminare fisicamente l’opera non appena si pronunciava la ipotetica paternità. Quasi all’unanimità: “si rivolga al Museo di Amsterdam” oppure: “mi mandi una fotografia” che è come dire : non mi interessa. Una specie di timore, perfino di paura, di esaminare de visu il quadro e quindi dover esprimere un parere era superiore alla scientifica curiosità di averlo tra le mani!
17) Per primo invio una foto ad un qualificato commerciante londinese che mi risponde così: ”the handling of the paint looks rather good” e poi però mi informa che al Museo VG di Amsterdam l’opera è già stata esaminata ed è stata ritenuta non buona. Tale informazione da me appresa per via del mercante londinese per la prima volta, al primo impatto mi delude non poco poiché non immaginavo tale esito. Certo è che questo qualificato commerciante ed esperto, pur avendo tra le mani una veramente modesta fotografia -quella da me speditagli- ha comunque intuito qualcosa di buono nell’opera tanto che ha sentito la curiosità di rivolgersi al VGMA per maggiori lumi e tale curiosità, ai fini della mia ricerca, ha un significato molto positivo. Si deduce quindi che il Commissaire Priseur parigino, prima di mettere all’asta il dipinto, ha avuto le medesime positive intuizioni sulla possibile paternità del quadro e parimenti il suo esperto e quindi ha inviato la foto ad Amsterdam, con esiti negativi: notoriamente le loro sensazioni ed intuizioni non sono certamente quelle dell’ultimo arrivato!! Anche la iniziativa del Commissaire Priseur ai miei occhi è un consistente reale contributo positivo alla conferma della bontà del quadro: in effetti le sensazioni di un Commissaire Priseur e del proprio esperto come pure quelle di un qualificato e consolidato mercante, già capo dipartimento degli Impressionisti e Post Impressionisti alla Christie, che di quadri di VG tra le mani ne ha avuti non pochi, non sono le intuizioni e le sensazioni di principianti o di dilettanti! Imbarazzante, al contrario, non tanto su che cosa si fondi tale autopromosso monopolio di autenticatore del VGMA, “illogico e oserei dire protervo in modo provocatorio” quanto l’atteggiamento a mio avviso arrogante del medesimo nei confronti di due qualificatissimi operatori, senza dunque sentire almeno il dovere professionale di documentare le proprie affermazioni per più attendibile presa di posizione; e ciò non in segno di rispetto verso due cultori che di arte e di quadri hanno molta più competenza del Museo medesimo bensì solo per risparmiare loro la lettura della, a mio avviso, ridicola ‘opinione’ che il VGMA esprime di norma sulle foto sottoposte, quale risposta! E quindi meccanicamente il pensiero ci va al concetto espresso da Mme Distel del Museo d’Orsay proprio a proposito di siffatto modo di procedere del MVGA: “è facile dire che un quadro è falso, arduo e difficile è dimostrare che è buono”. E’ comunque certamente poco stimolante per gli studi e per la ricerca essere pervenuti a tal punto: forme di totalitarismo artistico, mancando le garanzie e lo scambio delle informazioni e dei risultati. Il vantaggio, apparente e contingente -ma reale- è solo quello commerciale! “Lo ha detto, ma non garantito!!, il VGMA!”.
18)19)20) Un giorno decido di andare personalmente a Zurigo da un esperto molto considerato che avevo cercato più volte di contattare inutilmente. Lo trovo che sta uscendo dalla galleria con una
cornice in mano: accetta di accogliermi e appena toglie il quadro dall’involucro in cui era stato da me riposto, subito dice : “io conosco questo quadro, il Museo VG mi ha chiesto in merito il mio parere anni fa”. Grande è la mia sorpresa nell’apprendere tale particolare. Epperò, ora che ha il quadro medesimo tra le mani, mi avvedo che le sue convinzioni cominciano a vacillare: lo guarda, lo rigira, lo guarda ancora, se lo fa lasciare. Quando ripassiamo dopo 3-4 ore lo troviamo seduto su una cassapanca circondato da una pila di volumi: “questo dettaglio è stato ripreso da qui, quest’altro da un’altra opera, ecc. … è un pastiche del 1925-30”. Questo è il responso ma mi informa che lui non è esperto di VG bensì di Cézanne e perciò mi indirizza ad un suo collega esperto specifico del Maestro e che abita nella medesima città e ci sta aspettando. E’ l’esperto che redasse la scheda dei 14 girasoli venduti qualche anno fa dalla Christie alla società assicuratrice giapponese. Allorché nella sua abitazione, prese il quadro in mano, dopo alcuni secondi così si espresse: “prendo atto che qualcuno vi ha assicurato che il quadro è originale e autentico, ma secondo me è una ‘ispirazione’ di uno dei giovani artisti che videro la mostra personale di VG nel 1901 e ne rimasero grandemente impressionati e che io sto studiando: Matisse, Derain, de Vlaminck, Marquet e altri”. A mia domanda conferma che il quadro è fine 1800 e nulla a che vedere con epoche posteriori.
Deduciamo da quanto sopra che l’esperto interpellato dal Museo VG di Amsterdam intorno al 1999 in merito al nostro quadro, a noi dichiara di essere esperto di Cézanne e non di VG, ci indirizza ad un suo amico esperto specifico di VG al quale palesa evidentemente le sue vere sensazioni che sono diametralmente opposte a quelle espresse al Museo VG e a quelle espresse anche a noi stessi e che cioè il quadro in realtà è buono!
21)22)23) La realtà è chetali autorevoli pareri non fanno che confermare che siamo a pienissimo titolo nel contesto “stile e personalità di VG” , a parte l’opinione del VGMA.
CRONOLOGIA DELL’OPERA
24) Una ipotesi di genesi dell’opera in oggetto nel periodo febbraio-marzo-aprile-1890, in un contesto esistenziale dell’artista molto pertinente e consonante, è veramente suggestiva e, soprattutto, non molto agevolmente contestabile. Eppure stilisticamente, e non solo, la nostra opera non si inserisce nel contesto artistico suddetto, cioè il periodo della grande crisi di febbr.-aprile 90.
25) E’ più probabile in effetti rinvenire il contesto esatto della origine del nostro quadro alcuni mesi prima e cioè nell’autunno 89, soprattutto in settembre, cioè subito dopo la lunga crisi precedente durata quasi tutto luglio e agosto: la nostra opera si inserisce in modo programmatico e logico, nonché stilistico, biografico e psicologico in tale momento.
26) Certo è che l’idea di carrozza come correlata alla esistenza dell’essere umano è un concetto sul quale VG è tornato sovente, certo è altresì che quando parla di carrozza e di cavalli (per esempio lett. 489, 20.V.88) è quasi sempre il medesimo contesto in cui parla esplicitamente di morte e di solitudine oppure viene toccata una qualche nota attinente, come nella lettera 891, 10.IX-89 in cui esprime il desiderio di rifare una copia della diligenza di Tarascona e allo stesso tempo confessa che “to live with these queer patients here- it is upsetting”. Ripetutamente si registra tale relazione tra carrozza ed angoscia.
Inoltre in questo periodo più sopra individuato autunno 89 tocchiamo tutto un altro mondo nel quale il nostro quadro si inserisce naturalmente e cioè la visione calma delle situazioni, un movimento ondulatorio tranquillo in tutti gli elementi: nel cielo, nel terreno, sulle montagne, nell’erba: “calm objectivity gave way to the expression of intense feeling”. E si evidenziano tratti lunghi che man mano ci si inoltra nel periodo, più aumentano e si impongono. Si cominciano a vedere i cieli vaporosi e ondulati come F 611 Mountainous Landscape behind St-Paul Hospital e F 613 Cypresses. Per non parlare di F 724, di F 712 Olive Trees with the Alpilles. La furia e la foga e la passionalità vengono tenute sotto controllo, la “emotional turbulance” repressa.
Un altro elemento che rende giustificata tale collocazione cronologica alla metà del soggiorno di St-Rémy è che gran parte delle opere di tale periodo evidenziano in generale anche la medesima consistenza materica e la medesima pennellata del nostro, come p.e. F 725 Le Mont Gaussier ecc. secondo quanto osservato da Mme Distel (§ 13).
27) Nelle opere della fine di St-Rémy -come regola dal febbraio ‘90– e in quelle di Auvers, non si nota l’evenienza del cosiddetto écrasement e, in aggiunta, l’erbetta in primo piano quasi scompare, laddove nel periodo in questione di St-Rémy, specie in settembre ed ottobre 1889 -il nostro quadro- tali elementi sono ricorrenti e, in aggiunta, predominano assolutamente i verdi e le connesse tonalità nonché, quasi sempre in abbinamento, gli ocra e si evidenzia regolarmente e normalmente l’espediente del cloisonnisme.
28) Il VG di St-Rémy maggio 89-maggio 90 è notoriamente differente dagli altri VG precedenti. Ora siamo nel regno della “emotional turbulance” “nel segno dei sentimenti” come si esprime il commentatore del Louvre. La esistenza nel manicomio, la solitudine, le giornate intiere trascorse senza dire una parola, gli smarrimenti, gli scoraggiamenti, le emozioni che gli provoca continuamente lo spettacolo della natura, tutto ciò lascia tracce e condizionamenti nella sua opera, quando più, quando meno evidenti. Per esempio è documentato che in luglio e agosto 89 è obbligato a lavorare nella stanza a lui assegnata come studio senza poter uscire. E infatti nelle lettere scritte a settembre a Theo e alla sorella Wil si lamenta del fatto che sono due mesi che non mette piedi fuori della stanza e quindi la necessità per lui di lavorare solo al cavalletto, sia ispirato dallo spettacolo naturale che può godere attraverso la finestra e sia “a memoria”: ancora di più si configura un rapporto tra esistenza e pittura, tra momento psicologico e pittura, stato d’animo e espressione. Perciò molta parte della sua pittura è marcatamente ‘psicologica’ perfino ‘umorale’ cioè lo stato mutevole dell’artista condiziona la sua produzione da un giorno all’altro e sicuramente anche da un’ora ad un’altra e solo alla luce di tale marcata componente ‘psicologica’ e ‘umorale’ si possono spiegare le a volte abissali differenze, per esempio, tra un ritratto del postino Roulin e un altro nell’arco delle medesime giornate, tra un ritratto di Mme Roulin and her baby ed un altro, ecc.
29) E dopo il precedente periodo buio, la natura circostante esuberante, i fiori e gli odori, il paesaggio, gli olivi, il cielo, creano uno stato d’animo più disponibile, una felice parentesi. E nel periodo individuato, settembre/ottobre, la introspezione psicologica, la carica sentimentale, la qualità medesima delle opere fino alla fine imminente, sono grandemente significativi e rappresentativi, più che in tutti gli altri periodi.
La nostra opera è una prova inconfutabile di tale forza emotiva in tale periodo e l’imponenza del soggetto e il cromatismo del momento sono il parallelo esatto, pur cronologicamente distanti, della imponenza e relativo cromatismo della Chiesa di Auvers, due esempi strettamente collegati e irripetibili della intiera opera di Van Gogh e entrambe rivolte alla medesima direzione!
30) In ultimo, ma altrettanto rilevante, va ricordato che dal luglio 89 fino ad ottobre 89 realizza opere unicamente nel formato 10-12-15 (ved. la monografia di VG di Rizzoli) cioè quello del nostro quadro, se si esclude F 617 del Kroeller-Mueller che è 72×92 ma di cui si conosce la incertezza della datazione. Inoltre è notorio che di questo periodo si sono perse le tracce di non poche opere ! Il Pickvance, per esempio, rammenta che tra il 7 e 19 settembre, l’epoca del nostro quadro, VG realizza sette opere di cui però nulla si conosce!uesto periodo si abbandona la equable balance dell’impressionismo e tocchiamo tutto un altro mondo nel quale il nostro quadro si inswrisce naturalmente e cioè la visione calma della situazione, un movimento ondulatorio tranquillo in tutti gli elementi dell’opera pittorica e cioè nel cielo, nel terreno, nelle montagne, nell’erbetta. E si evidenziano tratti lunghi che man mano ci si inoltra nel periodo più aumentano e si impongono.
Si cominciano a vedere i cieli vaporosi e ondulati come F 611 Mountainous Landscape behind St-Paul Hospitalq
LA CARROZZA E LA SIMBOLOGIA
31) Il tema della carrozza per non parlare del carro agricolo vero e proprio e delle carriole, ritorna almeno venti volte sia negli oli, sia nei disegni, sia negli schizzi. Le opere certamente più significative del periodo provenzale e di Auvers possono essere il “Ponte di Langlois” (F 397), “L’accampamento degli zingari” (F 445), “La diligenza di Tarascona” (F 478a) e “Strada con cipresso sotto il cielo stellato” (F 683). Ma non è tale iconografia, pur se consistente, a giustificare nel quadro oggetto della presente relazione, il protagonismo della carrozza o la carrozza come protagonista, pur se in almeno due opere la F 445 (“Accampamento degli zingari”) e F 478a (“La diligenza di Tarascona”) esse in effetti sono protagoniste e l’artista quasi le fotografa, senza coinvolgimenti emotivi. Nel caso invece del nostro quadro come pure analogamente nella “Chiesa di Auvers” l’impostazione è un’altra e ben diversa: oltre che nella personalità dell’artista e nella sua vicenda esistenziale, si entra nella simbologia, quasi nell’arcano. In un contesto senza vita, e sono poche le opere dove non si noti una casa o un albero o un uccello, si impone e prorompe la presenza di una carrozza: le stanghe abbandonate al suolo, vangoghianamente distorte e deformate, senza speranza di essere di nuovo attaccate al cavallo, il fanale piegato su un lato, senza luce. Nell’interno si vede un lenzuolo bianco, simbolo convenzionale della morte, nessuno in cassetta [il sedile di guida]. E poi il profilo gibboso e contorto del tetto del veicolo che ritroviamo tale e quale nei quadri in cui descrive l’andamento delle Alpilles. Il cloisonnisme accentuato della composizione è anche tipico del momento esistenziale come pure quell’eccezionale e raro effetto di smalto nel sedile, pari a vere e proprie firme.
32) Il cielo immenso è percorso da nuvole che con lento moto ondoso scendono verso una direzione. Il medesimo cielo immenso che troviamo, cito a mente, in alcuni capolavori: F 615 Wheatfield with Cypresses, F 778 Wheatfield under a clouded sky, F 779 Wheatfield with crows, F 717 Wheatfield with Cypresses at the Haute Galline, opere che sprigionano una inaudita interiorità, che descrivono con linguaggio perfino biblico nella sua chiarezza, la minaccia, la violenza, la paura, la presenza oscura dell’altro…E se si approfondisse anche superficialmente il suddetto paragone, limitandoci solo all’aspetto puramente materico e stilistico, riscontreremmo tra queste opere e il nostro quadro, delle affinità se non somiglianze vere e proprio perfino incredibili. Ed in effetti, tanto per citare uno di tali aspetti, nel canone delle opere dell’artista si possono contare sulla punta delle dita quelle che promanano forza drammatica e introspezione psicologica quale la nostra in oggetto: non è solo una affinità stilistica o quant’altro ma qualcosa di molto più profondo. Tutto va verso una direzione, quella indicata dalla carrozza: lo stesso i campi, lo stesso la strada. Anche l’erbetta in primo piano contrariamente alla normalità delle opere del Maestro, pare che ondeggi silenziosamente, un pò in un senso, un po’ in un altro. S’impone la solitudine. Epperò quel lenzuolo bianco, quel fanale reclinato, ci fanno pensare a ben altro, a qualcosa di inquietante.
33) La solitudine, il senso della morte, il sentirsi un naufrago, il suo ritenersi un viaggiatore in permanenza, sono sentimenti che incontriamo nell’epistolario già due mesi dopo il suo arrivo ad Arles. Anzi si può sostenere che il periodo provenzale è stato tutta una via penitenziale in ascesa fino al climax di Auvers, una vita di solitudine, di abbandono, di disperazione, di macerazione, di miseria, perfino di fame, di umiliazione. Per assurdo si può sostenere che i momenti felici e spensierati per lui erano quelli delle crisi e delle infermità cioè dell’incoscienza. E quindi ecco perché, anche, non di rado si parla di tentativi di suicidio oppure perfino di pseudoinfermità: la malattia diventa un rifugio, una via di fuga dalla disperazione, un dimenticare se stesso. Si legga quale conferma, quanto rinveniamo nella lettera alla sua arlesiana, ai Ginoux (Nr.622, 30-31-XII-89): “I assure you last year I almost hated the idea of regaining my health…” Lo stesso concetto lo esprime qualche mese prima a Wil: ”….it is with an obstinate ingratitude that I feel my health gradually returning” (W 12, 16.6.89) e ancora: “…the wisest thing to do is not to long for complete recovery” (W13, 2.7.89). La malattia diventa terapia! Ved. la lettera 599 del 6.7.89 a Théo: ”I very much like to think that illness sometimes heals us, that is to say…..it is necessary for the recovery of the body’s normal condition”.
34) Sentiamo cosa pensa di St-Rémy Jo Bonger-Van Gogh: ”It was no longer the buoyant, sunny, triumphant work of Arles. There sounded a deeper, sadder tone than the piercing clarion of his simphonies in yellow during the previous year “. Pur se espresso su un’altra scala, il medesimo concetto di passaggio tra, direbbero i romantici, la forma e la materia, tra la ragione e il sentimento, tra cosmos e caos, lo troviamo nella riflessione dello studioso del Louvre : “the equable balance of Impressionism was replaced by an emotional turbulance. Calm objectivity gave way to the expression of intense feeling”. Tali riflessioni che paiono essere scaturite dal nostro quadro davanti al commentatore, ci avvertono che ormai la direzione è stata imboccata, quella che va sempre giù in discesa, come nel quadro: siamo in autunno 1889 a Saint-Rémy.
35) Nelle sue lettere parla ripetutamente di Alphonse Daudet un pò con tutti i suoi destinatari e con Emile Bernard, con Tersteeg, e sicuramente altri, già nella lettera 107 del 27.8.77. Fino alla fine Tartarin e Daudet sono una continua citazione. VG è particolarmente affascinato dal personaggio Tartarin. E nella lettera 552 del 13.X.88 si sofferma con Theo su una pagina singolare delle avventure di Tartarin e cioè sul cosiddetto “lamento della diligenza”, ricorrente nelle sue lettere.
36) Esaminiamo da vicino il significato che VG attribuisce alla carrozza in generale, dopo aver ricordato le già menzionate esperienze della sua infanzia alla pieve di Zundert.
Nella lettera 585 (già 469) 16.III.88, si legge: “for many reasons I should like to get some sort of little retreat, where the poor cab horses of Paris -that is you and several of our friends, the poor impressionists- could go out to pasture when they get too beat up.” “mi piacerebbe per molte ragioni individuare un piccolo luogo di ristoro dove i poveri cavalli da carrozza parigini -e cioè tu e parecchi dei nostri amici, i poveri impressionisti- potrebbero andare a pasteggiare quando troppo stressati…” .”
Lettera 611 (già 489) all’incirca del 20.V.88: You know you are a cab horse and that it’s the same old cab you’ll be hitched up to again; that you’d rather live in a meadow with the sun, a river and other horses for company, likewise free, and the act of procreation.
The cab you drag along must be of some use to people you do not know. And so if we believe in the new art and in the artists of the future, our faith does not cheat us….we are paying a hard price to be a link in the chain of the artists, in health, in youth, in liberty, none of which we enjoy, any more than the cab horse that hauls a coachful of people out to enjoy the spring. “Tu sai che siamo cavalli da carrozza e che saremo riaggiogati alla medesima vecchia carrozza; e non ne abbiamo piacere, preferiremmo passare il tempo in un prato al sole, con un fiume e in compagnia di altri cavalli, parimenti liberi, e procreare…. La carrozza che ci portiamo dietro dovrà essere di utilità a della gente che non si conosce…E che per poter essere un anello nella catena degli artisti stiamo pagando un prezzo pesante in salute, giovinezza, in libertà senza vantaggio alcuno, parimenti al cavallo di calesse che trasporta uno stuolo di viaggiatori che se ne vanno a godere, essi sì, alla primavera… “
Lettera 656 (già 518) del 6.VIII.88: “…. why should a consumptive or neurotic cab horse like Delacroix and de Goncourt, with broad ideas, be any less immortal ? “….“un cavallo di calesse tubercolotico e nevrotico come Delacroix e De Goncourt…”.
Sempre su questo tema che, come si vede, non è di poco conto nell’ambito del mondo ‘VG’, si legga anche quanto rileva il curatore del Kroeller-Mueller alla pag. 108 del proprio catalogo : “The motif of the horse and carriage and people walking appears repeatedly in drawings known to us from the end of VG’s stay in St-Rémy (incl. F 1587, F 1590, F 1609, F 1610 and sketches in a sketchbook in the collection of the VG Foundation)”.
Lettera 772 (già 591) del 10-15/V/89 prima lettera da St-Rémy: Have you noticed that old cab horses there have large beautiful eyes, as heartbroken as Christians sometimes have ? “hai notato che i vecchi cavalli da calesse parigini hanno occhi grandi e belli, angosciati come talvolta quelli dei cristiani?”
Sarà anche Theo stesso dieci giorni pima della fine in due lettere a Vincent a ratificare e quasi a sanzionare la simbiosi vangoghiana straordinaria di: cavallo-carrozza-esistenza: “noi siamo come il carrettiere che sta per raggiungere la vetta e che poi torna in basso e prende corsa e arriva sulla cima della collina, come te, fratello mio” (Nr.900, 14.7.1890), e venti giorni prima ancora: ”… la tua carrozza è solida e robusta, come la mia grazie a mia moglie. E tu, calma! tieni bene a freno il tuo cavallo onde evitare incidenti e quanto a me ogni tanto un colpetto di frusta non fa male” (Nr.894, 30.6.1890).
Una realtà che ci riporta alla filosofia dell’antico Egitto, alla esistenza intesa come viaggio e come trapasso, perfino come un ‘tuffo’, nell’altro mondo, in un’altra vita.
37) La carrozza, il viaggio, la sintonia di esistenza e viaggio, è un filo consistente che attraversa l’opera e l’epistolario e la vicenda terrena di VG dall’inizio alla fine. Allorché ha deciso ormai di abbandonare St-Rémy -questo assoluto mai abbastanza immaginabile calvario- ci informa che la vita nel manicomio è stata per lui non una esperienza orrenda bensì semplicemente tutto un orribile viaggio : “But then this journey is over and done with”. E più sotto sempre nella medesima lettera 630 2.V.90 : “I think of it as a shipwreck, this journey”.
E, in effetti, è riscontrabile nell’opera di VG un altro soggetto analogo dalla medesima carica filosofica e esistenziale chiaramente personale quale quello del nostro quadro?
38) Non mi pare che fino ad oggi gli studi sul Maestro hanno individuato tale aspetto della sua filosofia esistenziale. Stando così le cose anche la lettura e la comprensione del nostro quadro possono acquistare elementi di maggior difficoltà interpretativa. A questo proposito va rammentato che a parte l’assenza totale degli studi su tale aspetto specifico, anche al VGMA medesimo, a una normale visita al sito web, non esistono documenti né letterari né grafici né di altra natura sulla carrozza in genere né tanto meno ricerche e/o indagini pertinenti: cioè fino ad oggi non si è sentita la curiosità non tanto di indagare sul mezzo di locomozione del 23 febbraio 1890 da Arles a St-Rémy né sulla relativa e pertinente idea di carrozza sanitaria o perfino di ambulanza, quanto nemmeno sul concetto medesimo di carrozza in generale, sul quale, come ricordato, il Maestro tante volte torna nel suo epistolario.
39) “I no longer see any possibility of having courage or hope”. L’indice indicatore della sua esistenza che bene o male a quell’epoca, ad Arles e prima -pur con notevoli scarti- aveva avuto un andamento quasi diritto, ora la linea dell’indice si è attestata su una unica direzione, quella del dissolvimento: a St-Rémy si compie il destino, quello umano prima di tutto e poi quello artistico. Quello artistico passa attraverso opere d’arte che fanno il godimento e l’ammirazione dell’umanità, quello umano attraverso una serie indicibile di sofferenze e di emergenze.
Alla fine di dicembre 89 -il Natale sarà trascorso nel manicomio- ingurgita, pare, il petrolio della lampada. A Theo, in una lettera, parlerà di una ‘aberration’. Viene salvato. Succedono altre crisi fino al febbraio 90, l’altra ricaduta, la più lunga. Ad Arles dove è andato a far visita ai Ginoux e/o a fare una visita anche al bordello locale, crolla di nuovo, preda dell’epilessia, scriverà il dr Peyron. Arles è a 23 Km da St-Rémy. Il dr Peyron viene avvertito il giorno dopo, 23 febb. 90 e manda immediatamente una carrozza con due infermieri a prelevare il corpo di VG.
Ci siamo di nuovo: la carrozza che interferisce perfino fisicamente con la sua esistenza, non solo dunque ideologicamente. Certamente non è una diligenza né un calesse o un omnibus. E’ la carrozza di cui un asilo per malati di mente poteva servirsi normalmente nell’800, probabilmente non così attrezzata come quella di cui poteva dotarsi un ospedale vero e proprio ma pur sempre una carrozza sanitaria, una specie dunque di ambulanza, perciò riconoscibile da tutti ! La fascia bianca è il contrassegno della carrozza medica per il trasporto dei malati, come pure il fanale dello stesso colore, bianco dunque. Il soggetto del nostro quadro: l’ambulanza di Saint-Rémy !
40) Da Arles viene trasportato a St-Rémy. Magari uno dei due attendenti è Trabuc stesso. Al quale ha fatto il ritratto qualche tempo prima. Ecco che cosa scrive in questo periodo dell’inverno 89-90 :
“And yet very often terrible fits of depression come over me”;
“I am overwhelmed by a feeling of loneliness to such a horrible extent….”;
“l’égarement m’a encore repris…”;
“For the moment I am overcome with discouragement”.
“….my stay here is very wearisome…”.
E molto altro ancora. E perciò la fuga dal presente e perciò, anche, acuta nostalgia: di Nuenen e del Brabante, di un periodo forse meno sventurato. Si sente un ‘broken pitcher’, un naufrago.
41) La nostra, un’opera realizzata nello studio, con grande sicurezza, all’insegna di una ispirazione immediata. E quindi l’imponenza della carrozza. E tutto è rivolto verso una direzione. Espresso con le parole dell’amato Daudet, siamo di fronte al “Lamento della carrozza sanitaria”! Ovviamente il poeta o il letterato o il critico estroverso potrebbero arricchire mirabilmente di contenuti questo episodio e farne il tema di cento ipotesi letterarie.
Il cavallo abbandona la propria carrozza, volutamente, perché ne ha trovata un’altra: Auvers-s.-Oise! Ognuno di noi -ci informa VG nell’epistolario più sopra citato- è legato alla propria esistenza, come il cavallo è legato alla carrozza che è obbligato a portarsi indietro. VG, il cavallo, ora è libero, si è liberato della propria carrozza, della propria esistenza=manicomio di St-Rémy. E l’abbandona sul ciglio di una strada, come faranno con la diligenza di Tarascona in qualche luogo del Maghreb. Anche il suo terribile viaggio a St Rémy è finito, dunque. “But then this journey is over and done with”. “I think of it as a shipwreck – this journey”.
STORIA DEL DIPINTO
Nel 2000 la signora del dipinto col marito erano nelle sale dell’Hotel Drouot, asta Boisgirard 28.IV.2000, come sogliono fare tutti i cultori d’arte quando si trovano a Parigi. La Signora è in particolare appassionata di pittura dell’800. Una delle sale di vendita aveva le pareti letteralmente ricoperte di quadri, vecchi e non, una vendita cosiddetta non catalogata. Quindi già in partenza di modesto o basso livello, come si vuole. In mezzo a quella moltitudine di tele, il quadro lo individuò per prima la Signora che ne rimase affascinata. Il giorno dopo, all’asta, il quadro partì con poche migliaia di franchi. Ci fu aspra lotta -alcuni amatori avevano avuto apparentemente le medesime sensazioni- e alla fine il quadro fu aggiudicato alla Signora che pagò e ritirò il quadro e usci. Fuori della sala lei e il marito si sedettero su un sedile presente, per calmare la emozione della contesa e anche della entità della spesa. Fu curioso costatare la quantità di operatori d’arte che si fermarono ad osservare il quadro e, altrettanto curioso, la uniformità del loro pensiero per quanto riguarda una possibile paternità. Ci colpì in particolare un signore molto distinto che ci disse essere il corrispondente finanziarioeconomico parigino di non ricordo più quale quotidiano belga che aveva assistito all’asta e che avrebbe desiderato essere informato per primo sul destino del quadro, lasciandoci il suo biglietto da visita.
© Mr Michele Santulli
La carrozza sanitaria, 46,2×64,6, Parigi