Una delle pagine sorprendenti del fenomeno della emigrazione italiana è stata quella riferita ai modelli e modelle di artisti perché avvenuta in un periodo ben determinato e delimitato, perché in massima parte avente per tappe di partenza le medesime due-tre località, perché già era chiara la meta e principalmente il tipo di attività da svolgere, attività che per alcuni era la principale, per altri secondaria. Gli avamposti noti sono stati certamente i fratelli Colarossi verso il 1855 da Picinisco ma la massa si mette in movimento, e non più da soli, ma con le famiglie compresi spesso anche nonni e nonne, dagli anni ’70 del 1800 direzione quasi esclusivamente Parigi, primariamente da Gallinaro e da alcune frazioni di Picinisco, di Villatina, di Atina e anche di Filignano: pur se un esodo considerevole, si trattò pur sempre di una nicchia limitata nel contesto della emigrazione nazionale che esploderà negli anni successivi alla cosiddetta liberazione, cioè a partire dagli anni ‘80. Ad un certo momento a Parigi, all’epoca un crogiuolo irripetibile di umanità convenuta da ogni parte del mondo, stando a quanto riferisce l’unico osservatore attento dell’epoca, dei fenomeni migratori italiani, Paulucci di Calboli diplomatico, i modelli rappresentavano una notevole quantità, intorno a qualche migliaio tanto che un giornalista parigino, secondo quanto riferisce il diplomatico di cui sopra, scrisse: “L’Italia una volta era un paese modello, oggi è divenuto un paese di modelli”. E gli anni compresi tra la fine del secondo impero 1870 e i bagliori della prima guerra mondiale sono anni particolari: l’Europa Occidentale soprattutto è proiettata verso il futuro sotto tutti gli aspetti, laddove l’Italia è oppressa e snervata da sommosse e da tumulti sociali sanguinosi. A Parigi tale momento speciale viene vissuto al massimo e come in nessun’altra città: diviene il punto di convergenza e il fulcro della cultura occidentale nelle sue varie espressioni letterarie, teatrali, giornalistiche; dell’arte, figurativa soprattutto ma anche di quella decorativa, tanto da trasformarsi crogiuolo e punto di incontro e di acculturamento degli artisti provenienti letteralmente da tutto il mondo che, chi più chi meno, trovavano in questa fantastica città cosmopolita in quella entità e maggiormente tenore e qualità come nessuna al mondo, la possibilità di esprimersi e di realizzarsi; non solo industriali, diplomatici, aristocratici e nobili, perfino monarchi ma anche attori, attrici, ballerine, pittrici, cantanti, e avventurieri naturalmente, e poi un mondo inaudito di donne splendide di ogni categoria tra le quali si evidenziavano per numero e modo di vivere le parigine vere e proprie cosiddette ‘insoumises’ arduo a catalogarle e a tradurle: anche quelle italiane seppero giuocare un ruolo rimasto nella storia: la Marchesa Luisa Casati forse la più celebre non fosse per la sua eccentricità e le enormi ricchezze profuse, la principessa Ruspoli di Roma, Maria Brignole Sale de Ferrari duchessa di Galliera dallo spirito filantropico ed artistico insuperabili, le cui tracce visibili sono a Parigi e a Genova, la Marchesa Landolfo Carcano avida collezionista d’arte, Franca Florio la ‘donna Franca’ d’annunziana, anche lei immortalata da Boldini, più tardi Mimì Pecci Blunt il cui salotto di Rue Babylone divenne tra i primari e più ambiti di Parigi, più tardi la regina della moda Elsa Schiaparelli e altre ancora, per non citare le parigine e le straniere, queste ultime un florilegio impareggiabile: Cleo de Mérode, Isadora Duncan, Ida Rubinstein, Natalie Clifford e il suo salotto della Rue Jacob, Romaine Brooks, Peggy Guggenheim, Sara e Gertrude Stein le cognate scopritrici di Picasso e di Matisse e loro ineguagliabili compratrici e promotrici, le sorelle Cone, Louisine Havemeyer, Isabella Stewart Gardner, Tamara de Lempicka, Vita Sackville West e poi, polacca, quella che sarà Madame Curie e poi le russe aristocratiche fuggitive e pittrici e scrittrici: ma quanto è da ritenere la prova più palese e manifesta e evidente e veritiera di un mondo unico e sicuramente senza eguali, ovviamente proiettato e finalizzato all’arte e alla cultura, erano gallerie d’arte e librerie: le librerie, una quantità inaudita, di ogni tipo e di ogni disciplina, un numero incredibile sparse in tutta la città, testimoni taciti e ancora di più documenti clamorosi e sensazionali dell’arte e della letteratura come e in quale qualità e intensità coltivate e vissute a Parigi: i luoghi strategici più appetiti, per esempio agli angoli delle strade, erano solo librerie. Quale spettacolo! E tutte vive, naturalmente, tutte un luogo di vita e di incontri e di scambi. Oggi in tutte, dico tutte, le librerie agli angoli e quelle nei luoghi centrali e più frequentati, e ne erano centinaia e centinaia! vediamo in gran parte banche o locali di ristorazione o mutanderie. E le librerie oggi quasi ogni giorno che passa, tra le poche rimaste in verità, ne chiude sempre qualcuna! Un altro mondo dunque, sta vivendo Parigi.
E per tornare al nostro tema: ricche tendenze pittoriche, la nascita della cartolina postale, la evoluzione fortissima del manifesto pubblicitario, la proliferazione degli studi fotografici, la grande quantità di scuole e accademie di disegno e di pittura che sorgevano un pò dovunque nella città, tutta tale frenetica attività rendeva il ricorso e la necessità del modello in generale una realtà professionale evidente. E in questo mondo palpitante e colorato che si offriva agli artisti in diverse zone della città noi vogliamo fare la conoscenza con una delle modelle da ritenere storicamente tra le più affascinanti: Lorette o Laurette.
Loreta Arpino (anche d’Arpino e anche Lauretana di nome, in qualche registro anagrafico) questo era il suo nome, era nata a Gallinaro in Valcomino, l’olimpo sconosciuto dei modelli di artista, il 16.VII.1885. Verso il 1890 seguendo l’esempio di tanti altri già partiti prima di loro, padre, madre e figli si mettono in viaggio verso la favolosa Parigi. I figli erano sei-sette, a noi riguardano le tre sorelle: Loreta, Rosa e Maria Elena l’ultima nata delle tre. Nella città si erano consolidati dei luoghi precisi dove tutti questi clan ciociari facevano riferimento e si insediavano e si aiutavano l’un l’altro: Rue Delambre, Rue du Maine, Rue Poinsot, Rue des Boulangers, Rue St Victor, e altre, tanto per citare a memoria, vale a dire i luoghi strategici degli artisti: Quartiere Latino e Marais, Montmartre, Montparnasse. Qualche giornalista dell’epoca, vista l’ampiezza ormai del fenomeno, fece uno studio ed una indagine dei luoghi di assembramento e di esistenza di questa umanità tutta originaria in massima parte della Valcomino e i risultati dell’inchiesta, come può ben immaginarsi, furono deprimenti a seguito delle condizioni ambientali ed igieniche che ne vennero fuori.
C’era necessità dei più svariati tipi di modelli, dai vegliardi ai puttini, dalle Madonne ai Cristi, dagli angioletti ai diavoli, ecc. quindi la domanda era variegata e perciò anche le possibilità, per cui Loreta/Lorette e le sorelle iniziarono da subito a inserirsi nell’ambiente. A quindici-sedici anni, 1900-1901, erano già pienamente mature per affrontare ruoli più impegnativi e cioè quelli sulla pedana davanti al pittore o allo scultore. Tra il 1904 e 1907 Rosa, che ha 17-18 anni, inizia, tra gli altri, un rapporto significativo con Matisse per il quale posa per numerosi studi accademici e per un capolavoro famoso dal titolo: La Gioia di vivere e nell’estate del 1906, tanto era l’interesse riscosso da parte dell’artista, la troviamo a Collioure, sul Mediterraneo, dove vive con la famiglia e posa con Marguerite, la figlia dell’artista e con Amélie, la moglie. Non sappiamo invece Lorette per chi svolge il suo lavoro di modella in questo periodo. All’incirca nel 1908 le due sorelle tornano a Gallinaro. Debbono accudire ai loro nonni. Abbiamo rintracciato una casetta ad un piano che si fecero costruire e dove andarono inizialmente ad abitare -oggi in abbandono e degrado- in cima ad una collina. Belle, eleganti, moderne, ovviamente risvegliano interesse da parte dei giovani del luogo per cui molto presto entrambe, non dimentiche delle loro origini e storie, convolano a nozze, Loreta (24 anni) nel 1909, Rosa (23 anni) l’anno dopo. La prole viene una dopo l’altra. Scoppia la guerra. Il marito di Rosa viene richiamato e quasi subito perde la vita, nel 1915. Il marito di Loreta non è ancora richiamato: in effetti la sua taglia, 1,50 di altezza, per questa ragione lo chiamavano ‘fiorello’ ma detto in dialetto gallinarese, non è appetibile per l’esercito, lo diverrà successivamente. Le condizioni economiche sono cattive, la necessità grande: le due sorelle decidono di tornare a Parigi e guadagnare qualche soldo come modelle: Rosa è ormai vedova, ha tre figli, Loreta quattro, il periodo è favorevole in quanto i lavori della campagna sono ridotti: è da tenere a mente che ormai le due sorelle si sono completamente immedesimate nella realtà del luogo per cui entrambe seguono e eseguono anche i lavori dei campi, Loreta più di Rosa il cui marito è anche commerciante di bovini. E così avviene: dopo la vendemmia, a ottobre 1916 le incontriamo a Parigi, dove ancora sono i genitori e gli altri familiari, a Rue du Maine 16, all’epoca una viuzza degradata, a pochi metri dal cimitero di Montparnasse, abitata quasi esclusivamente dai Gallinaresi: infatti allo stesso numero civico oltre agli Arpino, vi incontriamo i numerosi Bevilacqua e i Pignatelli. Rosa a suo tempo, come abbiamo ricordato, ha avuto una bella esperienza con Matisse e famiglia e l’artista ne ha conservato un buon ricordo: è Rosa dunque che ragionevolmente presenta Loreta a Matisse e inizia il rapporto di lavoro: l’artista aveva lo studio in un piccolo appartamento al quarto piano di Quai St. Michel 19 lungo la Senna, di fronte alle due isole e a Notre Dame. La famiglia coi tre figli abita in una cittadina nei sobborghi di Parigi. E’ autunno inoltrato: ottobre, non credo novembre: la temperatura a Parigi non è dolce come a Gallinaro e, in aggiunta, il carbone per la stufa è scarso: siamo in piena guerra! E il primo quadro -la critica è generalmente d’accordo- che Matisse realizza con Lorette davanti a lui è lo specchio fedele della situazione: Lorette ha i lineamenti tirati e intimiditi, gli occhi spalancati, indossa un abituccio liso e modesto tra l’altro completamente inadatto al clima della città, l’artista è anche lui imbarazzato davanti alla modella, non ha alcuna idea di che cosa ritrarre e come, in quale stile, per cui alla fine ne esce un’opera veramente a dir poco sconvolgente: il quadro è intitolato ‘La femme Italienne’ (Museo Guggenheim, a New York) ritrae Lorette come sopra descritta, e riprova l’imbarazzo e la incertezza dell’artista, l’esecuzione e la pennellata sono quelle di sempre: si notano ripetuti ripensamenti e alla fine il quadro termina con Lorette che ha quattro mani! Si badi bene che Matisse all’epoca ha circa 48 anni ed è considerato tra i grandi maestri del momento, ha già dietro di sé risultati e risposte che hanno fatto la storia dell’arte: ecco perché tale quadro è ‘sconvolgente’. Tanto più gli esperti del Maestro rafforzano e avvalorano il ruolo fondamentale che Lorette sta per esercitare nella vita artistica del pittore, per cui molto si soffermano per capire e interpretare: l’artista è diventato quasi un estraneo al proprio mondo, già da parecchio ne sta cercando uno più confacente ed idoneo: è a un bivio, osserva Jack Flam, un bivio determinante per il proprio futuro e Lorette è la guida che lo porterà fuori dall’intralcio artistico e esistenziale: “ la sua pittura stava subendo uno sfalsamento sostanziale sia nello stile e sia nella tematica ….la crisi esistenziale che lo opprimeva e da cui uscì a seguito dei dipinti di Lorette che gli segnarono la via”.
E invero l’umile figlia di Gallinaro pur ovviamente senza avvedersene, riveste una parte di rivoluzionaria rilevanza nella vita del pittore, sia artisticamente sia esistenzialmente, senza tema di esagerazione, come andremo a vedere. Matisse fa parte degli artisti quali Corot, Rodin, Renoir, Sargent e altri per i quali non è possibile fare dell’arte senza la presenza del modello che posa davanti a loro: per loro “la pittura è il modello”, parole ripetute da Rodin da Picasso da Modigliani da Matisse stesso. Matisse aveva necessità professionale del modello, non gli era possibile realizzarsi artisticamente senza la modella davanti a lui: la modella più che un personaggio in posa da ritrarre, era lo stimolo, la ricerca, la trascendenza del soggetto, era il pungolo alla ricerca spasmodica del cromatismo idoneo e dell’atmosfera, era il punto di abbrivio della sua interiorità di artista che si realizzava con enorme impegno e sforzo, era il processo maieutico vero e proprio: tutto questo era la modella, in fondo poco importa se bella o brutta, se alta o bassa. Dopo la maturazione di siffatta esperienza con la modella ciociara, il suo rapporto con le modelle future da lui ingaggiate sarà inteso in modo più completo e diverso, sarà la ricerca della conoscenza la più completa possibile di tutte le possibilità e posizioni e ambientazioni della modella: per lui come per Rodin la presenza e la vicinanza della modella diverrà gradualmente quasi una ossessione, motivo e spunto di ricerca e di sperimentazione continue: un esito è che nelle opere ma ancora molto di più nei disegni, si costata il suo compiacimento palese e il suo indugiare su creazioni anche chiaramente erotiche. Tale più che approfondita, diversificata indagine allo stesso tempo rende meno gravoso e impegnativo il suo approccio iniziale all’opera da eseguire, cioè quelle parole che soleva ripetere secondo le quali quando dipingeva, flirtava con i suoi dipinti, faceva l’amore coi suoi quadri, ora cominciano ad assumere un significato più rilassante e più accademico, meno vincolante; le parole di Modigliani ancora più incalzanti e pregnanti quando dichiarava, secondo le parole di qualche critico: ‘dipingere la modella, è possederla’. A tale proposito della componente erotica in molte opere di Matisse nei quarantanni dopo la parentesi di Lorette ricordiamo che il modello originario in assoluto di questa produzione fu proprio, come diremo meglio qui appresso, il dipinto di ‘Lorette con la tazza di caffè’ rimasto nello studio fino alla fine, sconosciuto a tutti. A guisa solo di promemoria per il lettore sia rammentato che la figura della odalisca che sarà la protagonista indiscussa delle opere dei quarantanni a venire nasce e si consolida a Quai St Michel come pure la rappresentazione seriale della medesima figura o soggetto, inizia con la produzione seriale del volto di Lorette, per la prima volta.
Si spiega come Matisse sin dall’inizio della sua attività -e a costo di notevoli rinunce- fino alla fine abbia fatto sistematico ricorso all’opera delle modelle specialmente, alcune delle quali venivano ad assolvere anche compiti non propriamente specifici -segretaria, assistente, infermiera, governante, ecc.- ci riferiamo ai circa quarantanni del periodo di Nizza. Lorette al contrario senza proporselo ma avendo capito il significato del proprio personaggio in quel particolare momento della vita artistica del Maestro, svolse la funzione virgiliana della guida, con notevole sensibilità e carica psicologica: in effetti Matisse dopo essere passato attraverso veri e propri fuochi quali il Cézannismo, il Cubismo, il Fauvismo, l’Espressionismo di Van Gogh, aveva bisogno -ne sentiva la necessità- di guarire dalle bruciature riportate ed approdare a sorgenti e fonti più miti e dolci, a lui più consoni, dove bagnarsi e attingere. Il furore e quasi violenza, la quasi pedissequa imitazione se non contraffazione vera e propria di qualche amato maestro quali Van Gogh, Cézanne, Gauguin, Rodin e altri che avevano condotto alla dilatazione ed amplificazione se non alla esasperazione vera e propria del suo linguaggio e della sua espressività, senza menzionare il proprio ductus pittorico ancora indefinito ed incerto pur se mallevadore di non pochi capolavori, tale effettiva congiuntura del proprio io artistico lo portava alla ricerca quasi disperata di una via di uscita. E Lorette, come detto, si trovò al momento e al luogo giusto e seppe comprendere e gestire con garbo e intelligenza, per assolvere a tale mansione quasi liberatrice. In effetti questo periodo coincidente con il grande conflitto mondiale aveva avuto come esito anche un certo disimpegno operativo dell’artista rispetto alla sua clientela e alle sue obbligazioni professionali quindi disponeva anche del tempo necessario per tale profondo esame introspettivo e soprattutto di ricerca di nuovi approdi. Va evidenziato che nemmeno i coniugi Stein specie Sarah che come si sa, furono i primi suoi affettuosi collezionisti/compratori e divulgatori appassionati della sua arte in America, a lui legati strettamente per molti anni, riuscirono a individuare ed evidenziare i dubbi e le incertezze che invece lo attanagliavano. Sarah, sensibile e partecipe, pur considerata dall’artista stesso la cultrice più rigorosa ed attenta della sua creazione, non fu in grado, o non se ne avvide, di affrancare il maestro dai suoi dilemmi e ambiguità artistici in questo particolare e delicato frangente. Va detto anche che in questi mesi della presenza di Lorette nello studio, Michael e Sarah, salvo per una breve visita di Michael allo studio verso, parrebbe, ottobre/novembre 1916 per vedere i ritratti, suo e di Sarah, ormai terminati, entrambi abbandoneranno Parigi per il Sud della Francia presso una loro amica: rientreranno solo nel giugno 1917 quando Matisse, grazie ai quadri di Lorette ormai partita, aveva imboccato nuovi sentieri. E gli altri importanti amici e cultori americani, parenti e amici dei suddetti, Gertrude e la sua amica/amante Alice anche loro, rifugiati a Maiorca nel 1916 per un anno, nel 1917 tornano a Parigi a dedicarsi completamente alla assistenza delle truppe francesi. Effettivamente dunque questa parentesi dell’artista anche dal punto di vista relazionale, e pure economico, fu particolarmente quasi scarsamente produttiva: perfino il contratto impegnativo che lo legava all’importante gallerista Bernheim-Jeune era scaduto pur se Matisse consegnava ancora. La prima guerra mondiale è in corso con tutte le conseguenze che comporta, sta per scoppiare la prima rivoluzione russa a febbraio, l’America sta per entrare in guerra, la sua esistenza medesima ne è toccata poiché, oltre a quanto sopra detto, ha perso i contatti coi due clienti facoltosi moscoviti, lo stesso con il mercato americano aperto con successo grazie alla passione di Sarah Stein e del marito, i rapporti con gli influenti galleristi di Berlino e di Monaco sono saltati, come annota il Prof. Flam, quindi salvo poco impegnativi rapporti locali -i ritratti di Sarah Stein e del marito citati, quello dell’imprenditore Pellerin, tre o quattro paesaggi poco impegnativi realizzati in tale periodo per il suo gallerista Bernheim-Jeune come ricorda Jack Flam e qualche altra cosa- il periodo è per lui maturo per dare una risposta definitiva ai dubbi artistici che lo assillano e Lorette può rappresentarne la soluzione e la chiave.
Molti e qualificati sono gli esegeti ed ermeneuti dell’artista e tutti, quando approdano a Lorette, stupiscono e alcuni perfino sbalordiscono nel costatarne influenza e condizionamenti esercitati, direttamente e indirettamente. Ma allorché toccano le corde della sua personalità, della sua relazione col Maestro, anche della sua vera e propria esistenza e perfino della durata della sua permanenza a Quai St. Michel 19, tutti all’unisono parlano perfino di ‘mistero’ , di ‘mistero insoluto’ di Lorette della quale non conoscono nemmeno il nome se non quello di ‘la femme italienne’ dove, anche se non si ammette, si scorge un velato sapore dispregiativo, dovuto a certe motivazioni e conseguenze, presunte o vere, della sua presenza affianco a Matisse. E ognuno ha dato una interpretazione (morta di tifo, immigrata clandestina, rifugiata nel sud della Francia…), e poi la maggioranza degli altri studiosi ripete, per gonfiarle o sgonfiarle. Non solo sconosciuta la durata della sua permanenza quanto anche della sua apparizione: come è entrata in contatto con Matisse? Da dove veniva? E che fu di lei dopo la esperienza di lavoro? E un’altra questione, sottile e delicata, piena di significati e di implicazioni, ha occupato in particolare i due, notoriamente, più profondi e motivati conoscitori dell’artista, Hilary Spurling e Jack Flam: sono stati amanti, hanno avuto rapporti sessuali, come l’intensità e l’espressività di certi quadri specialmente, lascerebbero fatalmente, quasi ‘necessariamente’ congetturare e quindi dedurre? Continueremo nel corso di questo excursus a trovare le risposte ai dubbi adombrati, pur non venendo meno a quella che riteniamo propensione prioritaria, vale a dire evidenziare il ruolo e la importanza di Lorette, anche lei modella ciociara di Gallinaro, nell’ambito del mondo artistico rappresentato da Matisse.
Quanto di inusitato colpisce nel rapporto durato all’incirca otto mesi, da all’incirca ottobre 1916 a maggio 1917 – quindi d’accordo col Museo Metropolitan – che gradualmente si instaura tra questi due personaggi rinchiusi al quarto piano di un antico palazzo con la vista della Senna e di Notre Dame e del Louvre, sono l’armonizzazione dei comportamenti, l’apporto personale delicato e partecipato di entrambi all’ottimale conseguimento dei risultati ricercati, soprattutto consonanza ed affiatamento dei sentimenti e delle finalità. Le rispettive personalità ed esperienze di vita nei circa otto mesi vissuti quasi in comune si sono espresse e manifestate al massimo e al meglio, pervenendo alla simbiosi totale e unica delle due anime: non mi pare che nella storia dell’arte sia possibile rinvenire una sinergia, un rapporto a due così partecipato e intimo e così fecondo di conseguimenti tanto fondamentali per l’artista e la Storia dell’Arte.
Altrettanto straordinario a dir poco, comunque emblematico di Matisse, che nemmeno un rigo o una parola o una menzione o un commento o una traccia egli abbia lasciato di ‘Laurette’ o ‘Lorette’: ne apprendiamo la esistenza solo grazie a questo nome che egli assegna alle sue creazioni, né Lorette stessa -semianalfabeta- o la sua discendenza hanno conservato o tramandato qualche traccia dei suoi soggiorni a Parigi o del suo rapporto di lavoro con Matisse, e non parlo di quadri o di disegni! Non si conserva nemmeno una immagine fotografica della sua esistenza, una lettera, un documento: parrebbe che si sia voluto scientemente cancellare la sua memoria! Solo una centenaria del luogo da me consultata, di quel poco che l’età le consentiva di rammentare, ricordava la figura di una ‘Loreta col cuore nobile’: altrimenti nulla è presente. In effetti raccogliere informazioni è come praticare dell’archeologia: il rifiuto, la ritrosia, perfino il pudore sono sensibili ed evidenti: in queste popolazioni ancora per certi aspetti primitive e rozze, esercitare la professione della modella o del modello equivale per loro tout court a leggerezza di costumi morali, perfino a prostituzione e quindi si tagliano tutti i pur se presunti ponti informativi e nessuno sa niente: grande omertà. E a questa realtà è da ricondurre anche certamente la scomparsa di qualsiasi traccia e prova a testimoniare la sua presenza e i suoi rapporti con il mondo dell’arte a Parigi. I suoi diretti discendenti escludono perfino o ignorano che Lorette sia mai stata o andata a Parigi!
E perciò Lorette grazie alle opere di Matisse la conosciamo e apprendiamo a conoscerla come in un caleidoscopio, come in quel giuoco russo dove togli una statuetta e ne esce una più piccola per dieci venti volte: Lorette ci appare in molti ritratti con le ‘sue ciocche nere come anguille’ detto con Arbasino, oppure col turbante turco oppure con la cuffia persiana oppure affacciata alla finestra con vista di Notre Dame, oppure adagiata su un divano oppure nuda sotto un accappatoio su una poltrona, oppure distesa in una sinfonia di colori di grigio e di ocra con una tazza di caffè posata su uno sgabello orientale oppure nuda sfolgorante nella sua maturità e floridezza. Ma quanto colpisce è la creazione seriale di ritratti, almeno venti, nelle vestiture più differenti ma soprattutto nelle fisionomie e sembianti più divergenti: si direbbe che l’artista abbia voluto quasi in qualche modo trascendere la reale fisionomia della donna e crearne una nuova in conformità ai vestimenti, alla situazione che lui immaginava, infatti più di una volta è arduo riconoscere in un dipinto il medesimo volto. Ad ancora maggiore esaltazione di Lorette l’artista la dipinge affianco ad Aicha nota modella maghrebina e ripetute volte affianco alla sorella Rosa. Qui è opportuno rammentare che Matisse, come detto più sopra, conosceva bene Rosa; che però tutti i critici e studiosi dell’artista quando ne trattano la immagine o la vedono assieme a Lorette, tirano fuori una identità impossibile ‘Annette’ o ‘Anna’ chissà da chi per primo e come messa sul tappeto: in effetti tutte le opere con la presunta ‘Annette’ illustrano in realtà Rosa (nata il 21.5.1887 a Gallinaro di Valcomino), sorella di Lorette. A questo proposito è opportuno anche aggiungere e precisare che Matisse nel suo riferimento, nella propria agenda, a Georgette Agutte -come gentilmente comunicato dalla Signora Wanda de Guébriant e riportato anche da Jack Flam- che gli avrebbe “recommandé un modèle italien, 3 Villa Brune”, non risulta che Matisse alludesse a Lorette non solo perché l’annotazione non fornisce spiragli nemmeno sul sesso del modello quanto perché non menziona esplicitamente il suo nome, pur se in quel momento è possibile che nel suo studio ci fosse solo lei: in effetti da indagini dirette coi referenti di Georgette Agutte non si trova nessuna traccia da nessuna parte di una qualche modella di nome Lorette, quindi di qualche sua implicazione professionale con lei, diretta o indiretta. A ciò vada anche ricordato che Villa Brune, di cui nella annotazione di Matisse, era una piccola via alla periferia di Montparnasse, notoriamente abitata quasi esclusivamente da artisti e che da una verifica negli uffici degli Archivi di Parigi, sempre disponibili e sempre più efficienti, si evidenzia che l’indirizzo registrato da Matisse stesso nella sua agenda ‘3 Villa Brune’, nel mese di novembre 1916 risulta che a quel numero civico sia nel 1916 sia in precedenza sia negli anni successivi non è mai registrata una Loreta Arpino. Che possa poi avervi abitato clandestinamente -come qualche voce critica lascerebbe pure intuire- è anche da ritenere inverosimile e poco ragionevole poiché i genitori notoriamente abitavano sempre a Parigi come pure la sorella Emilia e, in quel momento, anche la sorella Rosa! In aggiunta, da una qualche ricerca delle numerose vie abitate dai modelli ciociari a Parigi, non si incontra mai Villa Brune: sia anche precisato che gli Arpino, assieme a non pochi altri nuclei familiari in massima parte originari di Gallinaro, abitavano a Rue du Maine, sempre nel XIV municipio, come già ricordato più sopra. Anche perché, a evidente e determinante conclusione, Lorette è stata presentata a Matisse da Rosa, la quale come ben si conosce, era stata sua modella per due-tre anni alcuni anni prima e perciò non era necessaria nessuna segnalazione o raccomandazione da parte di chicchessia. E anticipando qui in parte quanto successivamente, il titolo del dipinto ‘Les Trois Soeurs’ del maggio 1917 senza scomodare gli eredi di Bernheim-Jeune, che, interpellati, pur lo confermano, chiaramente e correttamente fu dato dall’artista stesso, a ragion veduta, in quanto grazie a Lorette e a Rosa, la terza ritratta nel quadro è effettivamente Maria Elena (nata 3.3.1890 a Gallinaro di Valcomino) sorella minore di entrambe.
Il critico Jack Flam di cui abbiamo detto più sopra, ha sottolineato e evidenziato il ruolo eccezionale di Lorette sia nella vita artistica di Matisse e sia nella Storia dell’Arte e qualche anno addietro ha curato in un museo conosciuto della Florida una mostra monografica a lei dedicata in cui sono state esposte gran parte delle opere che si conoscono aventi per soggetto Lorette e ne ha redatto un catalogo che in questa sede è altamente raccomandato al lettore curioso: questo del Norton Museum e di Jack Flam è stato il più confacente ed opportuno riconoscimento che poteva offrirsi alla umile creatura di Gallinaro: nessuna modella o modello di artista prima di quella data era stato oggetto di tale testimonianza e di tale riconoscimento. E in realtà ci troviamo di fronte a una lacuna e perfino negligenza ignorare e continuare a ignorare queste creature che, al contrario, e non poche di esse, hanno consentito e funto da veri e propri mallevadori di molti capolavori che si ammirano nel mondo dell’arte. In merito dunque è particolarmente degno di attenzione e di plauso il coinvolgimento e diretto intervento di Montmartre e di Parigi all’affissione di una targa commemorativa in onore di Agostina, altra celeberrima modella ciociara, al Bld. de Clichy il 4 giugno 2015
Matisse era un grande artista e anche un grande lavoratore e le opere si ammucchiavano regolarmente nel suo studio e le sue firme, e raramente le date, venivano apposte senza un criterio preciso anche perché era sua pratica abituale periodicamente di riprendere in mano certe opere e di ritoccarle o modificarle: e questo è il caso anche per le opere su Lorette: per esempio è poco accettabile che ‘Laurette in a Green Robe. Black Background’ rimasto nel suo studio fino alla sua morte e venduto a New York solo nel 1969 dal figlio Pierre, possa essere stato firmato, come si legge sul quadro, nel 1916, quindi necessariamente novembre o dicembre 1916. E malgrado questa data, e io aggiungerei anche il tipo di firma, già Jack Flam ammette che l’opera è più probabile che possa risalire alla primavera 1917 e lo stesso dubbio esprime I.Monod-Fontaine. Questo particolare dipinto viene qui evidenziato in quanto in una cronologia logica e pure sentimentale, quale quella di fronte alla quale ci troviamo, esso con quella data mal si giustificherebbe e adatterebbe nel contesto generale del rapporto tra i due: esso in effetti presuppone una relazione che necessariamente implica e guarda indietro già a un certo decorso e iter operativi e anche professionali/sentimentali, e dunque mal si comprende la medesima epoca di creazione della ‘Femme Italienne’! Quindi primavera 1917 è inappuntabile, vale a dire verso il periodo della massima compenetrazione spirituale e artistica del rapporto: il Prof. Flam nel catalogo della esposizione di Lorette di cui sopra -lui scrive: Laurette- la intitola opportunamente e pragmaticamente: ‘MATISSE IN TRANSITION, around Laurette’! E’ arduo rinvenire una sintesi più icastica e pregnante e anche esaustiva a proposito di questa cesura e ‘transizione’ nella vita di Matisse. Perché fu una cesura vera propria, un taglio, sotto tutti gli aspetti, anche familiari, con la moglie in particolare: mentre noi non facciamo che condividere pienamente le deduzioni espresse e/o sottintese che il Prof. Flam, come pure la Signora Spurling, esprimono su certe realtà, a me preme evidenziare un dettaglio anche esso significativo più sopra già accennato: la signora Amélie, moglie dell’artista, grazie a quel fiuto tipico particolare, atavico e ancestrale, che le donne posseggono, aveva intuito e compreso che qualche cambiamento stava avvenendo nel marito e che la origine e causa ne fosse non Lorette bensì ‘La femme italienne’ e quindi ecco perché quel senso certamente, a mio avviso, non amichevole che si associa quando si pronuncia tale espressione, in contesto matissiano. Ancora un fatto: l’espressione lascia anche sottendere che non ci troviamo di fronte a una ’Jeune fille’ o ‘Jeune femme’ bensì, e Amélie aveva ben visto anche questo aspetto, a donna matura e cosciente e sperimentata, quale appunto era Lorette, in quel momento genitrice di quattro figli! Ecco perché più sopra abbiamo parlato di influenza quasi dirompente di Lorette anche nella esistenza dell’artista. In effetti dopo alcuni anni fu necessario il divorzio. E i due, l’artista e Amélie, si riuniranno dopo la morte, grazie agli eredi, nella tomba comune sulla collina di Cimiez di Nizza.
Assieme al significato nuovo che si legge in certe opere in particolare quali le Lorette vestite alla orientale, le odalische, gli abiti esotici, gli arabeschi, quel cromatismo che in certe opere è perfino rivoluzionario rispetto ai venti anni trascorsi e preludio di pastelli ed ocra e delicatezze cromatiche future, il tripudio di nudi a venire il cui prologo evidente è quella lussureggiante Lorette nuda sul pavimento, ma è Lorette distesa con la tazza di caffè in quel cromatismo così delicato e in quell’aria erotizzante così evidente e raffinata ad annunciare in maniera inequivocabile tutto quello che avverrà a Nizza nei prossimi quarantanni nella vita dell’artista e mai visto prima; così le varie redazioni di Lorette nuda sotto l’accappatoio e quei ritratti che battono corde mai toccate prima e preannunciano la ricca fioritura a venire, in particolare la quantità infinita di odalische future, gli arabeschi, la ricchezza infinita di abiti esotici orientali: i quadri con Lorette dunque rappresentano più che una transizione, una rivoluzione artistica e anche un unicum nella Storia dell’arte e non solo nell’artista. Rispetto al periodo di Nizza che verrà e che sarà quello che al meglio e più distingue e individua Matisse, Lorette, donna mediterranea, dalla pelle bruna, dai capelli corvini, dagli occhi neri, nel mondo nuovo di Matisse a Nizza fatto di pastelli, di ocra, di modelle bionde dagli occhi azzurri, di abiti vaporosi morbidi e soffici, ella che pur ha posto la prima pietra nella creazione di questo nuovo mondo matissiano, ella stessa vi sarebbe stata un anacronismo, un elemento spurio e non vi avrebbe trovato collocazione! E’ un caso certamente non fortuito, un segno palese della volontà di non interrompere quanto già iniziato e conseguito, che la prima modella ingaggiata a Nizza, una diciannovenne di nome Antoinette, fosse bruna e dalla lunga capigliatura nera, tanto che in certe opere a seguito di quel processo di trascendenza e di trasformazione/mistificazione dell’artista, quasi si scambia con Lorette. Lidya Delectorskaya, la modella cara venuta dalla Siberia, dagli occhi azzurri e capigliatura bionda e pelle bianca, che visse affianco all’artista per oltre venti anni, gli ultimi, aveva rilevato che la sua presenza si innestava su un periodo in cui per l’artista erano stati preminenti gli occhi neri, la pelle bruna, i capelli scuri e temeva in effetti per il proprio futuro e possibilità di conservazione del proprio lavoro. Invero la classicità della Grecia era giunta al suo epilogo: ora sulla scena appaiono non tanto Odino e il romanticismo e Ossian quanto ‘la principessa di ghiaccio’ ciocè Lidya Delectorskaya e l’Oriente incantato e misterioso. E analogamente, con Lorette vengono cancellati gli amati Van Gogh e il fauvismo, come pure Cézanne e Gauguin imitati e convissuti e Rodin il classico.
Quindi la convivenza artistica Matisse-Lorette può essere letta anche, come accennato più sopra, sotto una chiave direi artistico/sentimentale suscettibile di rendere superflue le investigazioni cronologiche sulla datazione delle varie opere, e che inizia con ‘La femme italienne’ prosegue coi ritratti e le varie altre realizzazioni e si conclude gradualmente col grande nudo, con Laurette in a Green Robe, con quel capolavoro di Laurette distesa con lo sgabello persiano e la tazzina e si conclude con Les Trois Soeurs nella metà di maggio 1917 all’incirca. Abbiamo detto che il titolo a questo quadro fu apposto dal Maestro stesso perché erano effettivamente tre sorelle e lui ben lo sapeva per diretta scienza. Non voglio entrare nel merito del valore ed essenza della speciale iconografia a tre in oggetto e della sua congruità nell’ambito delle opere in questione, ma mi piace vedere in essa un omaggio personale, un addio, che l’artista ha voluto esprimere a Lorette e a Rosa e a Maria Elena: cioè è ben verosimile che sia stata Lorette stessa a chiedere e a suggerire al Maestro di ritrarre le tre sorelle, delle quali lui conosceva molto bene le prime due. Nell’ambito di quella sequenza ideale cronologico/sentimentale di cui più sopra, ’Les trois soeurs’ è dunque il commiato di Lorette da Matisse e l’addio di Matisse a Lorette: in effetti era arrivato, per lui, il suo tempo perché troppo sensibile ormai e impellente il richiamo e la urgenza di nuova luce e perciò del Sud, di Nizza possibilmente: dopo l’estate trascorsa nel seno della famiglia a Issy-les-Moulineaux e anche a seguito della stimolante e rassicurante riaccensione del contratto di esclusiva con la galleria Bernheim-Jeune dell’ottobre 1917, particolarmente auspicata considerata la situazione economica del momento piuttosto degradata per le motivazioni già ricordate, la partenza per Marsiglia prima e per Nizza dopo, dove inizierà la seconda fondamentale parentesi della esistenza, divenne fatto compiuto. Ma anche per lei, Lorette, era arrivato il suo tempo, la fine del soggiorno parigino: la mietitura del grano era imminente a Gallinaro e, in aggiunta, sapeva che suo marito a luglio, quindi tra due-tre mesi sarebbe pure lui partito militare in guerra: non è escluso che intuisse anche che qualcosa poteva avvenire dentro di sé a rendere necessaria la conclusione al momento accettabile e naturale, della esperienza parigina! A lei dunque attendeva una esistenza all’insegna della precarietà, affianco a un omino manesco e ubriacone, in un contesto sociale e umano primitivo e arretrato che però non riuscirono a cancellare e ad inibire quello che la più sopra ricordata centenaria di Gallinaro confidò sulla sua ‘nobiltà d’animo’, laddove Matisse avrebbe continuato il suo percorso di successo verso la gloria e la eternità in un contesto diametralmente opposto.
A questo punto prima di concludere è doveroso attirare l’attenzione sulla realtà critica per cui si rileva che la parentesi con Lorette, dai più qualificati specialisti di Matisse ritenuta quella fondamentale e determinante per la sua arte, è invece sistematicamente ignorata e negletta: perfino la celebrata manifestazione al Grand Palais parigino in commemorazione della dinastia famosa dei collezionisti ed amatori americani Stein, detto periodo è risultato oscurato! Anche le biografie ufficiali ignorano tale cesura e quindi la figura di Lorette!
A proposito del dipinto ’Les Trois Soeurs’ realizzato come detto aprile maggio 1917, a me piace considerarlo, come già espresso, l’ultimo dipinto di Matisse del periodo di Lorette e allo stesso tempo un omaggio/ricordo a Lorette per cui va collocato aprile-inizi di maggio 1917: in questi medesimi giorni le due sorelle Lorette e Rosa riprendono il treno per l’Italia; subito dopo la loro partenza, l’artista senza indugio alcuno immediatamente cede il quadro al collezionista Pellerin e questi dopo un paio di mesi al gallerista Bernheim-Jeune che, secondo le fonti, in maggio stesso riporta nei suoi registri e fotografa. Tale quadro veramente fondamentale per molte ragioni, ha un omologo, addirittura un trittico di dimensioni gigantesche: 196,6×96,5 cm cioè tre quadri di queste dimensioni ciascuno che illustrano anzi vogliono illustrare sempre le tre sorelle. Il primo quadro del trittico raffigura le tre sorelle quali nel dipinto originario ma mentre Rosa e Maria Elena sostanzialmente sono somiglianti anche negli abiti indossati, Lorette ne diverge completamente, assumendo le sembianze, si direbbe, di un’altra donna: è arduo darne la spiegazione, si direbbe che l’artista in questo dipinto particolare abbia voluto palesamente toglierla alla vista, all’attenzione dell’osservatore o di qualche osservatore in particolare! Gli altri due quadri del pannello illustrano Lorette abbigliata alla turca con un vaporoso turbante e le lunghe ciocche che scendono sul petto ricordando esteriormente un dipinto analogo dell’artista ma con un viso così impersonale e indistinto che è impossibile, anche in questi pannelli in realtà, riconoscervi Lorette, mentre le due sorelle Rosa e Maria Elena sono così differenti anche l’una dall’altra nei due medesimi dipinti vestite anche loro all’orientale, che in aggiunta, nulla hanno a che vedere con le raffigurazioni dell’originale, a dimostrazione che l’artista ha dipinto i due pannelli a fantasia, senza le modelle davanti, inventandosene le raffigurazioni! In aggiunta il primo pannello, quello apparentemente analogo all’originario ‘Les Trois Soeurs’, è stato dipinto ad una data, quando ormai le modelle sicuramente non sono più davanti agli occhi dell’artista, possibilmente, come osserva qualche critico, ma non necessariamente, a data ravvicinata con esso, gli altri due a distanza di mesi e divergenti sia dal primo pannello sia dall’originale: li tiene uniti in qualche modo, pur se non armoniosamente, il cromatismo e la impostazione generale nonché le dimensioni. Oggi, riuniti dal collezionista, si trovano in una prestigiosa collezione americana di Philadelphia.
A guisa di conclusione voglio ricordare che i modelli di cui si servì il Maestro nei primi diciassette anni del secolo sono tutti originari dei medesimi luoghi: dapprima Cesidio Pignatelli che conobbe da Rodin e che ebbe come modello almeno dal 1900 al 1903: il ‘Serf’ è l’opera scultorea più significativa di tale rapporto di lavoro. Matisse chiamava stranamente Pignatelli: Bevilacqua, che è il cognome di altri collaboratori di Rodin; altra modella famosa dell’epoca che pure posò per lui è Carmela Caira detta Carmen: è eternata nella sua imponente nudità nella ‘Carmelina’ del Museo di Boston: peccato che non si sappia come Matisse sia pervenuto all’impiego di quel dolce diminutivo; altra modella da lui pur apprezzata e di cui abbiamo già detto, fu Rosa sorella di Lorette. E questi tre modelli pure essi provenivano da Gallinaro in Valcomino. Epperciò il periodo formativo e creativo dell’artista durato almeno diciassette anni si svolge e si dipana in realtà all’insegna dei modelli ciociari ed è anche il periodo dei capolavori che hanno fatto e continuano a fare la storia dell’arte.
Abbiamo evidenziato che Matisse niente e nulla ha lasciato di scritto o annotato sulla modella Lorette. Ma il Prof. Flam ci ricorda un episodio che apre e fornisce nuove letture e argomenti, nel nostro contesto perfino inconfutabili: Matisse oltre che un grande artista e lavoratore, era anche un fine e intelligente promotore della propria opera quindi succedeva che i lavori in generale in un modo o nell’altro venivano venduti man mano che si realizzavano per cui il suo stock di dipinti nello studio cambiava velocemente. Alla sua morte a Nizza al momento dell’inventario di quanto da lui lasciato venne fuori ‘Laurette in a Green Robe. Black Background’ un’opera di cui abbiamo detto più sopra e che lui aveva occasionalmente esposta o pubblicata. Fu poi venduta dal figlio Pierre a New York nel 1969 e oggi è appesa al Museo Meropolitan di New York come si sa. E può avere un significato il fatto che tale opera con Lorette pur chiaramente appetibile e commerciale, non ne abbia promosso la vendita e quindi conservata per quasi quarantanni. Ma quanto, al momento dello spoglio dell’inventario, piombò tutti i familiari astanti nel più grande stupore fu la scoperta di un quadro che nessuno conosceva, mai apparso in qualche esposizione o pubblicato, che l’artista dunque non aveva mai mostrato ad alcuno, quadro riferito anche esso al rapporto di lavoro con Lorette, dunque anche esso di circa quarantanni prima, un’opera per la quale in effetti è sciocco perfino trovare aggettivi per descriverla, è sufficiente osservarla: ‘Laurette à la tasse de café’, eccezionale anche nelle dimensioni: 94×148 cm, oggi al Centre Pompidou. Di conseguenza, al cospetto di tale quadro, i sospetti di Madame Amélie erano ben fondati come pure il suo tono quando menzionava la ‘Femme italienne’!
Arrivati a questo punto, i commenti e le deduzioni li lasciamo al lettore attento, dopo che ha appreso, in più, che il 19 gennaio 1918 Lorette a Gallinaro mise al mondo Cesidio e che, coincidenza della storia, i due personaggi coinvolti lasciarono questo mondo il medesimo anno 1954, a un mese di distanza l’uno dall’altro, prima lui, poi lei, di novembre, mese del loro incontro.
© Michele Santulli