La grande Russia pur se nel corso dei secoli sempre in condizioni precarie rispetto alla maggioranza della popolazione: la immensità del territorio, pari a Cina e Stati Uniti assieme, non favoriva protezione e controllo adeguati. Un cambiamento e l’apertura e le iniziative con Pietro il Grande nel corso del 1700 e poi con Caterina II apportarono l’inizio di sensibili mutamenti pur se sistematica protezione e privilegi fossero ancora riconosciuti ai nobili e ai grandi proprietari terrieri tanto che ad una certa epoca fu loro riconosciuta perfino la facoltà di poter disporre in certi casi della esistenza dei propri contadini fino alla carcerazione o alla deportazione, senza alcun intervento della Giustizia! Sarà il fatidico 25 ottobre 1917 che finalmente rovescerà la situazione, questa volta a vantaggio dei contadini e degli operai e la fine dello zarismo e dello sfruttamento feroce e dei privilegi! Allo stesso tempo ampia apertura all’Europa e l’inizio di un vero e autentico processo di occidentalizzazione del Paese: tutto comincia a vedersi a San Pietroburgo sotto Pietro il Grande, all’epoca capitale del Paese.
E’ nel corso del 1800 e prime decadi del 1900 che si assiste al vistoso movimento teso verso l’Europa di imprenditori e di diplomatici e di viaggiatori e di artisti, pittori e scrittori e compositori ecc. e, eccezionale novità europea, delle giovani donne già scolarizzate decise, non consentito in patria alle donne, a proseguire gli studi nelle università svizzere di Zurigo e in special modo di Berna diventate, specie quest’ultima, un vero focolaio di cultura russa; le donne russe nel 1800 e 1900 rivestono un ruolo fondamentale nella cultura del loro paese e ancora più vistoso in Europa, a seguito della loro libertà di pensiero e di azione e della preparazione universitaria nonché delle professionalità acquisite, nella esistenza di ogni giorno e nell’ambito della politica, dell’arte, della filantropia. Tra i pittori più noti in Italia si contano Karl Briullov, Alex.Ivanov, Or.Kiprinskij e più attenzione si deve a Silvester Schedrin (1791-1830) perché più di tutti innamorato di Roma e, più ancora, del Golfo di Napoli, fino alla prematura morte. Cadde anche lui preda felice di quei luoghi, si rammentino le parole di Goethe in quei medesimi anni anche lui a Napoli: “finalmente in Arcadia”, a quell’epoca realmente incantati e di quella natura sfolgorante di verde e di profumi e di colori e poi di Napoli e di Sorrento, Amalfi, Capri, Ischia, Pozzuoli, all’epoca autentici gioielli della natura e Pompei e Ercolano che cominciavano a risorgere e le tante località e siti che percorreva avidamente ogni giorno, mai sazio, alla ricerca degli angoli più sconosciuti, a dorso di un asinello, con la sua cassetta dei colori, il cavalletto e forse anche l’ombrello per le riprese all’aria aperta sotto il sole. Tutte le sue opere, pari alle foto di un artista fotografo, sono la immagine fedele dei luoghi visitati ripresi fino ai dettagli più inverosimili, in uno spirito già moderno, quasi impressionista, non accademico e freddo come l’epoca esigeva, tanto moderno e all’avanguardia da venir considerato (ved.P.Ricci) ispiratore di Pitloo e maestro di Giacinto Gigante, i due grandi maestri dell’epoca, con lui i fondatori della ineguagliabile Scuola di Posillipo. Quelle vedute e scorci napoletani o di Sorrento o di Capri, all’ombra di un Vesuvio fumante e sempre minaccioso, quella ricca umanità impegnata nei propri lavori a riparare le reti o a scaricare il pesce o sulla barca o le bancarelle e i chioschi, quelle donne e quegli spettatori sdraiati per terra, quelle vestiture umili ma sfolgoranti dei monaci cappccini sui quali ama indugiare e anche qualche nobildonna di solito vista sotto la protezione di una veranda a ricamare con affianco un pregiato tavolino antico, quei colori, quella ricchezza cromatica, quella varietà di vestiture rese così fedelmente, le rocce, gli incredibili colori e sfumature del mare nelle varie ore del giorno, il cielo, la luna….quale incanto e soprattutto quale novità tutte quelle persone che popolano le sue scene, dominate dal paesaggio e dalle case e dalle pareti rocciose e dai panorami che incombono. Pur se quelle figurine in realtà elementi quasi sempre secondari del paesaggio imponente, in realtà credo che è la prima volta che vengano offerti all’occhio dell’osservatore in modo così fedele e ricco.
Uno degli spettacoli ricorrenti della sua opera sono le verande, i pergolati, le terrazze e quali
panorami mette sotto i nostri occhi a Sorrento, ai paesetti della costiera sorrentina, ad Amalfi e quanta diversa umanità, sempre vista con attenzione e perfino simpatia e amore!
Naturalmente ci ha lasciato anche splendide vedute di Roma, della fontana del Gianicolo, di San Pietro, del Colosseo e dei Castelli, in particolare del Lago di Albano anche con qualche ciociarella in costume. A Roma Schedrin era ricercato e stimato nella ricca comunità russa di nobili e di artisti e di professionisti che nel 1800, e anche in gran parte del 1900, costituivano la comunità cosmopolita più all’avanguardia e impegnata della Città Eterna.
Un altro autentico innamorato dell’Italia dunque, dell’Italia di altri tempi, Schedrin, andato via da questo mondo così giovane, chissà di quanto e di che cosa ci ha privato!
Andando a Sorrento, assieme alla visita del gioiello di Museo Correale, non si manchi di rendere visita al Cimitero Comunale, alla tomba di Schedrin, arricchita da una scultura dell’artista mentre dipinge realizzata da un amico scultore, dietro incarico dello Zar Alessandro I.
Michele Santulli