MODELLE E MODELLI

‘Mondiale’ non significa, come sovente invece significa, che parliamo di un tema o di una  ‘scoperta’ che, in realtà, interessa e riguarda solamente chi la fa e chi la scrive e i soliti  presenzialisti: qui invece ‘mondiale’ significa unicamente quanto il termine esprime: universale,  planetario, una realtà che investe il mondo, che ogni anno almeno cento milioni di persone  vivono e sperimentano: i visitatori che nei musei ammirano certi quadri e certe sculture particolari,  quelle opere la cui ispirazione  si deve a modelle e modelli in posa sulla pedana:  al Museo d’Orsay di Parigi c’è  ‘Agostina’ di Van Gogh, lo stesso ad Amsterdam; al Louvre c’è la ‘Dame en bleu’ di Corot,  a New York e a Washington  ci sono il ‘Ragazzo dal panciotto rosso’ di Cézanne e ‘Laurette in a Green Robe, black background’ di Matisse, a Zurigo c’è la ciociara ‘Italienne’ cubista di Picasso,  al Museo di Belle Arti di Boston c’è ‘Carmelina’ di Matisse, alla Tate di Londra ci sono lo ‘Sluggard’ di Leighton e il ‘Bacio’ di Rodin; al Beaubourg trovi la fantastica ‘Laurette à la tasse de café’ di Matisse mentre al Museo  pure di Parigi e in altre decine di musei del mondo si vedranno Eva, il San Giovanni Battista, la Donna accovacciata, la Cariatide, sempre di Rodin, capolavori universali visitati e ammirati ogni anno, un anno  dopo l’altro, ripeto, da almeno cento milioni di visitatori. Senza parlare dei milioni che ammirano le opere d’arte all’aperto quali l’Eros’ a Piccadillly Circus o il ‘Peter Pan’ a Kensington o il ‘Sower’ a Kew Gardens sempre a Londra o la ‘Giovanna d’Arco’ a Place des Pyramides a Parigi, tutte opere che raffigurano e ritraggono le modelle e i modelli ciociari originari in gran parte dei medesimi luoghi emarginati della Valle di Comino, un lembo di terra tra i fiumi Liri e Garigliano, scoperto geograficamente solo nel 1911.  

E’ così: le cinquanta opere di Matisse con Laurette sono Loreta Arpino da Gallinaro, il San Giovanni Battista di Rodin è il modello Cesidio Pignatelli pure da Gallinaro, l’Italienne di Van Gogh al Museo d’Orsay è Agostina Segatori da Subiaco, la cariatide caduta di Rodin è Adele Abbruzzese da Gallinaro, la Carmelina di Matisse, gloria del Museo di Boston, è Carmela Caira detta Carmen da Gallinaro: significa che se non ci fosse stata Agostina non ci sarebbe potuto essere nemmeno quel quadro specifico che affascina milioni di persone, lo stesso per Adele, per Cesidio, per Carmela…. Se non ci fosse stato il ciociarello di Atina Michele de Rosa, col panciotto rosso sfavillante incontrato a Montmartre, Cézanne non avrebbe potuto regalare alla umanità quattro incredibili oli e due acquarelli dal titolo: ‘Il ragazzo dal panciotto rosso’:  sono i modelli stessi che hanno ispirato e dato vita alle emozioni dell’artista… e sono stai immortalati per sempre!  

Ora sappiamo chi era la  ciociarella  che diede il corpo allo scultore Roty per i franchi d’argento delle prime decadi del secolo, per i francobolli e per l’Euro,  la Semeuse, cara a tutti i francesi. C’è Maria Antonia, dal corpo turgido e morbido, la modella della cosiddetta ‘Eva Incompiuta’ di Rodin, divenuta perfino baronessa scozzese, c’è la giunonica disinibita modella immortalata da Whistler, da Pascin, da E.Bernard, da Matisse, già ricordato, Carmela Caira detta Carmen da Gallinaro, la Venere di Montparnasse.  Ora ci sfilano davanti per la prima volta le quattro sorelle Abbruzzesi, tutte e quattro eternate nel bronzo o nel marmo o sulla tela. E per la prima volta ci sfilano davanti le tre sorelle Arpino, eternate da Matisse nel quadro ‘Les Trois Soeurs’ all’Orangerie di Parigi e le tre sorelle Caira pure da Gallinaro modelle e fondatrici della celebre Académie Vitti di Parigi. E poi quella Carolina Carlesimo di Casalvieri, minuta e dal corpo  flessuoso come un giunco  al vento,  divenuta ella stessa celebrata e ancor oggi acclamata  pittrice.  E sempre a Parigi  quello che possiamo considerare il decano dei modelli ciociari vista la sua carriera durata fino alla fine della lunga esistenza, questa volta di Casalattico, che lo fu per sessantanni  e che rivediamo, in verità ormai vecchio, in uno splendido quadro addirittura di Tamara de Lempicka e, più tardi, in qualche veramente intrigante scultura di Germaine Richier: stiamo parlando di Libero Nardone che nella agenda personale di Rodin troviamo presentato e individuato, unico caso tra i suoi numerosi modelli,  con questa annotazione:  ‘admirable’ e con due +!!  

 

Adele e la sorella Anna Abbruzzese vanno considerate le modelle predilette del massimo artista Rodin: lavorarono per lui per almeno venticinque anni. Adele posò per sculture scaturite e ispirate dai suoi movimenti e posizioni semplicemente inaudite e inimmaginabili davanti all’artista:  ‘La cariatide caduta che porta la pietra’, ‘Iris la messaggera degli dei’, ‘Il Torso d’Adele’ che è l’unica scultura, delle centinaia da lui realizzate, alla quale l’artista ha dato il nome di una modella, in questo caso quello della amata modella ciociara. La sorella Anna posò per altre opere tra cui ‘La toletta di Venere’ e ‘Cibele’ e la ‘Faunessa’ che fanno intuire  le forme e la grazia  del suo corpo. Altro modello prodigioso fu Nicola d’Inverno da Atina che funse da modello, da segretario, da factotum per circa 23 anni, di John Singer Sargent, massimo artista americano: anche lui letteralmente eternato in  numerosi disegni, acquarelli, pitture e anche negli affreschi  della Biblioteca Civica di Boston. Per rimanere ancora con Sargent non possiamo omettere di ricordare un suo quadro tra i più conosciuti  per il quale è arduo trovare le parole idonee e che effigia anche  un volto suggestivo di ragazza:  Carmela Bertagna, in realtà,  anche ora  una  stupefacente modella di Gallinaro, Carmela Bevilacqua.

E ecco qualche giudizio su una di loro, per esempio Rodin: “un incantesimo degli occhi talmente bella, come una venere, come un apollo…” oppure su Alesandro de Marco “La personificazione di una statua classica” oppure Burne-Jones sulla sua modella Antonia Caira: “Come Eva e Semiramide….ebbe splendore e solennità: la sua gloria durò dieci anni” e si continuerebbe non poco.  Anche questo della perfezione fisica di queste figlie e figli della Valcomino è un tema a dir poco affascinante: si direbbe perfino che la natura, avara anzi avarissima con loro di tanti beni, si sia voluta sdebitare conferendo loro la perfezione del corpo e dei lineamenti, realtà che nessuno meglio di un artista era in grado di valutare e apprezzare.  E la cosa è talmente autentica che ci fu un grande pittore, primo presidente della Scuola d’arte Slade di Londra,  che nel suo discorso inaugurale, il primo concetto che espresse fu quello di impegnarsi a fare il massimo per mettere a disposizione degli studenti, modelle e modelli italiani  -ciociari!!-  grazie alla perfezione dei loro piedi e delle loro mani! E’ ben noto che piedi e mani rappresentano un notevole impegno pittorico  per gli artisti.

I modelli quale stato sociale, quale professione e/o mestiere, quale stereotipo, non dunque quale prestazione episodica o precaria o casuale, sono una invenzione vera e propria  dei ciociari nelle vie della loro  permanente emigrazione. E questo è il termine che incontriamo anche nel libro di Susan Waller, uno dei primissimi testi sulla vicenda delle modelle e dei modelli: L’invenzione dei modelli. E in tale contesto di scoperte e di creazioni di cui sono protagonisti i modelli di artista ciociari è bello poter comunicare al lettore, e per la prima volta, che strettamente connesso con la ‘invenzione’ del mestiere della modella e del modello da parte della umanità ciociara, è anche la ‘invenzione’ del termine stesso ‘modella’: anche la ricerca etimologica e la storia della lingua italiana confermano che questa parola, al femminile,  è nata e documentata per la prima volta solo a partire dagli inizi del 1800, affianco dunque e in contemporanea  alla apparizione e alla evoluzione, sulla scena della storia, della figura della ‘modella’ professionista e certamente non a livello episodico o nicchia bensì quale fatto sociale consolidato: è un grande privilegio e vanto costatare che anche il termine ‘modella’ è dunque parte costitutiva degli apporti alla civiltà forniti dalla Ciociaria, per non menzionare la professione medesima della modella assurta a livelli sociali elevati in tutto il mondo, come ben si sa. E pur se non necessaria  -è anche questa una ulteriore riprova che la figura della modella come attività professionale, come mestiere, è prerogativa ciociara sin dagli albori del 1800- va evidenziato e sottolineato il ruolo squisitamente di modella esercitato con sommo successo, pur se nella circoscritta cerchia dei Tedeschi, anche da Vittoria Caldoni da Albano dal 1820 al 1839, data del suo matrimonio e emigrazione in Russia, che ovviamente non poco contribuì alla evoluzione e conformazione della nuova professione.  E per tornare alla nascita anche della parola ‘modella’ le situazioni dei secoli precedenti nelle quali si evidenziava il ricorso a modelle e a modelli, erano da considerare episodi o nicchie isolate, fuori da quella struttura sociale ed umana al contrario creata dalla umanità ciociara: a quell’epoca infatti il solo termine che si conosceva era quello maschile: oggi ancora nelle lingue europee il femminile non esiste: in Francia e in Inghilterra usano il maschile per i due sessi, nella lingua tedesca addirittura il neutro per entrambi. Solo oggi dunque, in questi due ultimi secoli, e solo in lingua italiana, possiamo impiegare la espressione: la Fornarina fu modella di Raffaello: prima del 1800 e giù di lì, non era possibile perché non si conosceva il termine! E si ricorreva dunque ad altre espressioni.

In effetti la nascita del modello quale professione, quale stato sociale, anche dunque quale atto amministrativo e burocratico, si registra  inizialmente a Roma tra i ciociari ivi immigrati, già tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800, momento storico decisivo corrispondente all’inizio di una migrazione lenta ma costante e persistente dei ciociari di Terra di Lavoro settentrionale soprattutto, verso il latifondo romano e, ancora di più, verso la Città Eterna medesima, per fame e miseria grandi  -oggi diremmo ‘clandestini’ o ‘sans papiers’- attratti e spinti anche dalla palingenesi sociale che i nuovi padroni di Roma, i Napoleonidi, avevano diffuso la speranza di voler realizzare e che anche perseguivano col più grande impegno e capacità amministrativa e gestionale.

 E di conseguenza non poche di queste creature iniziano a rendersi  conto di poter guadagnare il loro sostentamento semplicemente facendosi ritrarre dai pittori. E così gradualmente, come ricordato altrove, l’abito si cominciò a curarlo e a mantenerlo sempre uguale, le calzature, informi e insignificanti, si evolsero divenendo cioce, quelli che all’inizio erano dei ritratti veri e propri e dunque documenti di un personaggio in una determinata epoca, a poco a poco cominciarono a diventare delle pose, degli atteggiamenti, persino delle ambientazioni.

A Roma già alle prime decadi del 1800 era ormai consolidata e riconosciuta la categoria delle modelle cioè di quelle ragazze, ciociare, per la massima parte provenienti dai territori di Terra di Lavoro settentrionale, vale a dire, per semplificare,  dai territori compresi tra il fiume Liri e il fiume Garigliano  che ormai svolgevano solo il lavoro di modella d’artista. Si erano consolidati, come regola, dei luoghi di ritrovo, quali Piazza Farnese, la Scalinata di Trinità dei Monti, Villa Medici, Fontana di Trevi dove le modelle e i modelli si assemblavano e dove gli artisti venivano a contrattare la seduta: si trattava di centinaia di persone che svolgevano la professione di modelli! Da notare altresì che ormai la realtà sociale che stiamo descrivendo era così consolidata e riconosciuta  che le autorità ecclesiastiche, stando a qualche fonte, imposero che tutte le modelle per poter esercitare la loro professione dovessero munirsi di una particolare autorizzazione  e che il luogo di posa solo consentito, almeno ufficialmente, doveva essere l’Accademia di Francia cioè Villa Medici. Veniva dunque anche formalmente riconosciuta e sancita la professione del modello come uno stato sociale, come un mestiere: siamo intorno al 1820-25. 

Delle circostanze particolari ci mettono in condizione di disporre di alcuni sprazzi di luce in questo mondo ormai lontano, ancora per la massima parte buio e inesplorato. Oggi possiamo avere i nomi e talvolta anche la immagine di celebrate modelle dell’epoca: abbiamo Fortunata modella molto richiesta che andò sposa al pittore inglese Charles Coleman, abbiamo Giustina sorella del celeberrimo brigante Gasparone di Sonnino, c’è Marietta, detta l’odalisca, immortalata in particolare da Corot, vi sono alcune  modelle di Albano e dell’Ariccia qualcuna particolarmente famosa e alludiamo a Vittoria Caldoni già ricordata. Ma senza dubbio alcuno le più conosciute e le più richieste e altresì quelle a mio avviso da considerare le prime modelle professioniste della storia della pittura, quelle dunque presenti sul mercato artistico, vale a dire i simboli e i prototipi, che sono anche quelle per le quali l’autorità pontificia impose, per prima, il possesso di una autorizzazione specifica ad esercitare il mestiere come detto più sopra, sono le due sorelle Teresina e Maria Grazia da Sonnino. Maria Grazia il cui volto incontriamo  splendidamente reso in diverse opere di Navez, di Schnetz, di L.L.Robert, di H.Vernet, di A.Riedel e di chissà quanti altri pittori, è la modella più richiesta per almeno tre decadi fino all’incirca agli anni cinquanta inoltrati. Pur se la carriera fu più breve, Teresina, si dice compagna del pittore L.L.Robert per alcuni anni, la incontriamo anche lei immortalata in alcune opere eccezionali di Navez, di Schnetz e soprattutto di L.L.Robert che ci regala anche qualche suo splendido nudo. Lunghi legami non solo artistici sono accertati anche tra Schnetz e Maria Grazia. Le informazioni sulle prime modelle a Roma sono dovute in parte ad alcuni attenti studiosi americani che per primi le hanno strappate alle ombre e fatte conoscere qualche anno addietro.   

Le terribili epidemie coleriche scoppiate a Roma e nei limitrofi territori nel 1835, nel 1854-55 e nel 1867 affianco alle altre vicende politiche dell’epoca ebbero notevoli ripercussioni nella accelerazione del movimento migratorio dei ciociari non ultimo anche a seguito del desiderio dei modelli di tentare l’avventura di Parigi al fine di migliorare le proprie condizioni o per seguire gli artisti. Ecco dunque che verso il 1850 e 1860 iniziò il lento e ininterrotto movimento migratorio, questa volta rappresentato anche da famiglie intiere, verso la capitale francese che terminerà, per quanto riguarda i modelli, solamente gli inizi del Novecento. Ed è questo periodo che coincide con la presenza a Parigi, con riferimento ai soli modelli, di almeno un migliaio di soggetti  e poi anche, pur se in entità molto minore, a Londra, fatti che più di tutti ci consentono di seguire da presso il fenomeno delle modelle e dei  modelli ciociari nell’ambito della pittura europea dell’Ottocento.  E’ in questo periodo compreso tra circa  il 1870  e il 1940 che si svolge la scena dei modelli ciociari quasi tutti originari di quello scrigno di ricchezze sconosciute che è la Valle di Comino, su quel palcoscenico fantasmagorico di arte e cultura e civiltà che fu Parigi a partire dal 1870, la fine del secondo Impero, fino ai primi fuochi della seconda guerra mondiale. Le presenti righe sono solo un breve estratto di una delle peculiarità della Terra di Ciociaria bastevole per confermare ancora una volta l’apporto di civiltà e di cultura dato da questa Terra alla umanità e quanto diversificato e multiforme. Chi vuole approfondire l’argomento può ricorrere al mio libro: MODELLE E MODELLI CIOCIARI nell’arte europea a Roma, Parigi, a Londra 1800-1900.

Ma prima di abbandonare tale affascinante tema della cultura occidentale non possiamo omettere di segnalare sulla ribalta parigina la presenza di una bimbetta di 7-10 anni, Maria Pasqua, da Gallinaro, che incantò, sembra incredibile, decine di pittori e che alla fine, alla età di dieci anni, il padre letteralmente vendette, quale un pollo o un coniglio, a una nobildonna inglese che se ne era invaghita e intenerita che, nel corso degli anni, educò e istruì fino al matrimonio con un nobile della vecchia Inghilterra: pittori importanti ne hanno conservato la immagine: Bonnat, Hébert, Jalabert… poi Rosalia Tobia da Picinisco, il cui corpo scultoreo -non è esagerazione- si ammira in molte opere di Bouguereau di cui fu amatissima modella ma che però è passata alla storia anzi alla eternità  -proprio così, anche ora- perché nel suo piccolo ristorante di Montparnasse aperto nella prima decade del 1900, quando ormai era avanti con gli anni e il suo artista protettore era passato a miglior vita, si era seduta la crema intellettuale e artistica dell’epoca ma soprattutto Modigliani, da solo o a bere ferocemente con Utrillo… Rosalia col povero Modigliani ebbe un rapporto particolare, da madre e figlio, ed è per questo rapporto, quasi consustanziale in ogni pagina storica o critica sul grande artista, che essa ha acquisito il diritto alla eternità dei grandi artisti, come Modigliani stesso. Parlando dei modelli ciociari va rammentato chi ne è da considerare una delle stelle e simboli, Agostina Segatori nata per caso ad Ancona nel 1841  da genitori di Subiaco   nella loro migrazione stagionale. Agostina, grazie al suo rapporto con Van Gogh, è da considerare il simbolo e l’epitome della figura del modello d’artista nell’ambito della storia dell’arte occidentale. Infatti fu sua modella di due opere eccezionali, posò per una trentina di quadri di Corot e in particolare per tre capolavori  tra cui ‘La Lecture Interrompue’ al Museo di Chicago, posò  per Manet, per Renoir, per Gérôme ed altri artisti. Anche Agostina una ancora oggi sconosciuta gloria della Ciociaria e dell’Italia.  Altra gloria di cui fino ad oggi si conosceva solo il nome ‘Laurette’ o ‘Lorette’ e della quale abbiamo rintracciato tutte le coordinate anagrafiche, è questa modella che dall’autunno 1916 a maggio- giugno 1917 posò esclusivamente per Matisse nel suo studio lungo la Senna di fronte a Notre Dame. Quasi un anno che rappresentò per la modella una sicura fonte di guadagno  e per l’artista gradualmente il trapasso dal mondo del fauvismo, del cézannismo, del cromatismo abbagliante che aveva caratterizzato la sua espressione artistica fino a quell’anno, verso un nuovo modo di vedere e di interpretare la realtà e un nuovo cromatismo e anche nuovi soggetti e  ambientazioni: cioè a contatto con Laurette l’artista a poco a poco si imbatterà in quel percorso che poi lo guiderà e connoterà per altri quaranta anni e che significò per lui nuovi orizzonti e una nuova espressione. Con Laurette l’artista realizzò circa cinquanta opere, dalla lettura delle quali possiamo leggere anche e dedurre gli stadi e i gradi di armonizzazione e di affiatamento e di fiducia tra il grande artista e la povera modella ciociara man mano che il reciproco impegno si perfezionava e consolidava. E’ certo che quando dopo la sua morte gli eredi fecero l’inventario delle opere lasciate affastellate nello studio, tra di queste ne rinvennero, con loro stupore, due risalenti a quaranta anni prima e che entrambe raffiguravano un medesimo personaggio, la modella Laurette. Una di queste opere ‘Laurette in a Green Robe. Black Background’ -oggi al Metropolitan di New York- l’artista la presentò qualche volta in qualche esposizione e quindi era abbastanza nota ma l’altra ‘Laurette à la tasse de café’ -oggi al Museo Naz. di Parigi- che mostra la modella distesa avvolta in un abito che da solo è un vero capolavoro pittorico nel suo linguaggio, il tutto meravigliosamente vissuto e presentato, l’artista non lo mostrò mai a nessuno, lo tenne gelosamente custodito per quaranta anni, solo per lui dunque: morirono entrambi nel 1954, a un mese di distanza l’uno dall’altro, lui divenuto uno degli artisti più ammirati del mondo, lei, Loreta Arpino da Gallinaro  -‘la femme italienne’ come ancora oggi, non con molta  simpatia e considerazione, la definiscono i fortunati eredi dell’artista-  ad accudire figli e a raspare la dura terra: di lei non si è conservata neppure una foto o un rigo di lettera. Altra modella presente regolarmente nei libri di storia dell’arte fu la già menzionata Carmela Caira, dal seno prorompente e dal corpo di giunone, secondo la descrizione che ne fece Whistler appena la conobbe quattordicenne o quindicenne. Con Libero Nardone, posò per la versione in marmo del ‘Bacio’ di Rodin, per quattro o cinque oli di Whistler, per numerose acqueforti e disegni. L’artista fondò una scuola d’arte a suo nome, l’’Académie Carmen’ e ne affidò la direzione alla modella: l’iniziativa durò solo tre o quattro anni anche se gli studenti erano numerosi perché Carmela era molto libera e disinvolta nella gestione. Posò per Matisse nel 1903, come ricordato più sopra, per un capolavoro fauve al Museo di Boston, intitolato perfino ‘Carmelina’, posò per Pascin in diversi acquerelli, qualcuno intitolato ‘Carmen’ e in uno in particolare si legge quella personalità sessualmente ambigua che pure caratterizzava la modella e che vediamo confermata anche in un grande quadro di E.Bernard. Altra modella a meritare una menzione più ravvicinata che pure ha dato il suo apporto alla Ciociaria, è Marianna Mattiocco da Cassino: posò anche lei per diversi artisti e anche per Rodin al quale si attribuisce l’affermazione che Marianna era la donna più bella della Francia! Lo scultore Emm. Frémiet ne fece la sua  ‘Giovanna d’Arco’ che si leva maestosa a cavallo, in bronzo dorato, in una piazza vicino al Louvre. Si innamorò di lei un ricco ereditiere australiano, John Peter Russell, anche pittore impressionista, che la sposò e ne ebbe dodici-quindici figli tanto che la povera Marianna morì a poco più di quaranta anni ed è sepolta in un piccolo cimitero di un’isoletta al largo della Bretagna, Belle-Ile, dove il marito si era fatto costruire una specie di castello, tutt’ora sul posto.  

A Londra incontriamo nel 1870 Antonia Caira da Atina di cui un grandissimo pittore inglese dell’epoca scrisse: ”Come Eva e Semiramide ebbe bellezza e splendore: ..la sua gloria durò dieci anni”. E sempre a Londra il modello di Picinisco Alessandro De Marco “la personificazione vivente di una statua classica” talmente perfetto il suo corpo. Ancora a Londra il corpo apollineo di Gaetano Valvona di Picinisco eternato ormai nello ‘Sluggard’ (Il neghittoso o Nato stanco) di Fed.Leighton e quello perfetto di Angelo Colarossi pure da Picinisco eternato anche lui  nel ‘Lottatore col serpente’ di Leighton. A Londra in prevalenza modelli quasi tutti di Picinisco ai quali tra l’altro dobbiamo, incredibile che possa sembrare, alcune delle sculture pubbliche di Londra più celebrate e più conosciute, a partire da quell’Eros o Angelo che svetta etereo nel centro della fontana di Piccadilly Circus, il cosiddetto ombelico del pianeta, dal Peter Pan che si leva  nei Giardini di Kensington, da quel fenomenale Physical Energy di Hyde Park  e da tante sculture nella chiesa di Westminster e nei Musei. Di Picinisco anche Orazio Cervi che posò quasi esclusivamente per lo scultore Thornycroft e la sua effigie e corpo sono visibili nel ‘Seminatore’,  nel ’Falciatore’ e altre sculture.

Pur se completamente inconsapevole e inconscio del destino di cui ha goduto, questo paesino che si leva nel centro della Valcomino, Gallinaro  è stato il vero olimpo dei modelli di artista,  una specie di Barbizon, di Pont-Aven, di Castiglioncello,  delle modelle e modelli e dunque, incredibile, uno dei simboli e punti di riferimento dell’arte occidentale del 1800 e 1900. Non è molto rilevante che le istituzioni sia locali sia quelle provinciali o regionali o statali, non si rendano conto -né lo vogliono- di tale realtà anche perché non avrebbero probabilmente né i mezzi intellettuali né tanto meno quelli gestionali per affrontare e possibilmente valorizzare tale incredibile fenomeno, stando ai fatti. Rilevante invece dal punto di vista storico che da questo paesino sono fioriti uomini e donne che grazie alla perfezione incredibile dei loro corpi e dei loro sembianti, occupano ora una pagina fondamentale della Storia dell’Arte e che grazie, molti di loro, agli artisti che hanno ispirato, si sono eternati nelle opere d’arte che arricchiscono i musei del pianeta e questo è magnifico, sufficiente a promuovere  e a portare in alto il nome della Ciociaria e, anche in questo caso, ad evidenziarne il ruolo di civiltà. 

E a proposito della presenza esuberante di modelle e modelli a Parigi, Raniero Paulucci di Calboli, un attento funzionario dell’ambasciata italiana a Parigi  -prima  a Londra-  che ci ha lasciato una rara documentazione sugli emigrati a Londra e a Parigi, riportò in una delle sue pubblicazioni degli inizi del 1900 espressa da  uno scrittore dell’epoca, la osservazione: «L’Italia che un tempo era un modello di paese, si ritrova ad essere oggi il paese dei modelli». Ma noi più che la componente polemica e forse derisoria dell’affermazione  -così fu interpretata da Paulucci di Calboli- è più interessante il contenuto vero e proprio della medesima e cioè il ruolo sociale riconosciuto e pubblico dei modelli, cioè la loro visibilità a Parigi, tanto più interessante quanto più argomento chiaramente negletto e ignorato sia dagli artisti stessi come regola sia dai critici e studiosi.

                                                                                              © Michele Santulli

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