“Il me fait vivre dans la gratitude que je dois à Dieu et à ses créatures, ses éloquentes envoyées.»… «L’éblouissement d’une femme qui se déshabille fait l’effet du soleil perçant les nuages.»…. «Vénus, Eve, termes faibles pour exprimer la beauté de la femme.»…. «La vie est dans le modèle,….” parole mirabili e inaudite mai percepite con tanta intensità nella storia dell’arte prima di Rodin che le ha pronunciate: la modella di artista, un ingrediente basilare della sua personalità che canterà in ogni momento della sua esistenza, con la massima lealtà e purezza, un inno al corpo della donna e alle sue infinite letture, inno ingigantito dalla possanza della sua sensibilità e fantasia, dalla sua congenita reattività e ricettività: la maggior parte delle migliaia di disegni da lui eseguiti non sono altro che la prova miracolosa del suo totale e assoluto coinvolgimento nell’adorazione del corpo della donna. Ricordare, grazie allo studioso che le riporta, le parole di Picasso ‘la pittura è il modello’ o quelle di Modigliani ‘dipingere una donna è possederla’, nulla aggiunge a quanto più sopra di meraviglioso espresso da Rodin sul ruolo giuocato dalla modella in posa davanti a loro. Dai concetti espressi da questi sommi artisti si evince anche il ruolo invero rivoluzionario assunto per la prima volta nella storia dell’arte dalla figura della modella soprattutto. In effetti quei sessanta/settanta anni tra il 1860 e la prima Guerra Mondiale hanno rappresentato una parentesi storica unica in quanto Parigi specialmente (molto meno Londra e Roma) presentò, quasi sfoggiò, sul palcoscenico dell’arte occidentale e per la prima volta nella Storia, la figura, qui ormai consolidata e sperimentata, del modello di artista professionale e istituzionalizzato, con la conseguente fioritura inusitata di siffatta umanità calcolata in circa millecinquecento-duemila soggetti solo a Parigi: certamente non solo belle ragazze e seducenti giovanotti, ma anche bambini, vecchi, vecchie, donne mature e analoghe, per le varie esigenze iconografiche e ruoli enormemente in auge in quel momento storico. Naturalmente la maggioranza erano giovani ed avvenenti ragazze, quelle ciociare molte in costume: doveva essere uno spettacolo inusitato vedere attorno alla fontana di Pigalle Lorette affianco a Suzanne Valadon o la giunonica Carmela Caira detta Carmen affianco ad Adele o a Rosalia in attesa dell’artista che le assoldasse! Alla pittura va ad aggiungersi anche la nascita e sviluppo in quel periodo della cartolina postale con le belle donnine principalmente, della fotografia del nudo, della pubblicità, ecc. E se si aggiunge che oltre la metà di tali creature erano italiane e di queste la totale entità originaria della Ciociaria, in gran parte dalla Valcomino, allora non solo se ne comprendono le risultanze sociali alla base (emigrazione in quel particolare periodo, esistenza, ecc.) quanto perché tanti capolavori della pittura e della scultura sparsi nei musei e gallerie del pianeta non sono altro che il ritratto ormai passato alla eternità di alcune di queste creature: l’Italienne di Manet, quella di Van Gogh, quella cubista di Picasso, le Serf, Carolina, The Boy in a Red Waistcoat, Interrupted Reading, La Dame en Bleue, S.Jean Baptiste, Eve, La Femme Accroupie, Lorette, The Sluggard, le varie iconografie del brigante, la Semeuse tanto per citare a memoria e moltissimo altro.
Naturalmente anche Picasso e Modigliani volevano intendere esclusivamente ‘la modella’ donna: la lingua francese, quale paradossale limite! conosce solo il maschile, il Tedesco solo il neutro, l’inglese è perfino ermafrodito: è a dir poco imbarazzante imbattersi, per esempio, in: “le modèle de Rodin” e ignorarne il sesso! La lingua italiana al contrario, grazie appunto a quel fenomeno sociale iniziato a Roma agli inizi del 1800 dell’apparizione, sulla scena della storia, della donna, in prevalenza, ciociara divenuta oggetto di curiosità e di interesse per gli artisti, nacque la figura della modella e perciò anche il neologismo: ’modella’ parola inventata in quegli anni e solo in lingua italiana, come pure il mestiere e la professione della modella e del modello. Eppure a dispetto delle chiare asserzioni dei citati massimi artisti, si perviene in sostanza regolarmente ad una medesima inaspettata conclusione: il modello è trattato dagli artisti stessi come di regola lo sono il telaio o la tela o il tubetto dei colori o uno scalpello nuovo: cioè nulla o quasi nulla. E un risultato evidente di tale condizione è che gli artisti, dei loro modelli non lasciano parola o scritto, perfino di quelli che sono stati sulla loro pedana per qualche anno, nulla, forse solo un nome o un ricordo ad un amico. Qualche impressione o giudizio si riesce a cogliere attraverso referenze incrociate: una lettera ad un conoscente, un articolo su un giornale. E sebbene i modelli fossero l’oggetto irrinunciabile di quasi tutte le sue creazioni, che più che creazioni, in verità sono, sovente, ritratti, Rodin molto poco ha lasciato di documentabile e di tracciabile su di loro, se non qualche dettaglio tecnico affianco al nome, nella sua agenda personale e le memorie ‘dettate’ nel 1913, da affrontare con cautela. Pertanto a parte alcuni concetti generali molto significativi ed esaustivi, dei suoi modelli ‘preferiti’ abbiamo scarsa sua memoria o segno.
Impieghiamo già nel titolo il termine ‘ciociari’ perché si tratta del solo termine atto a connotare inequivocabilmente sia dal punto di vista geografico sia dal punto di vista folklorico, pur significativo, i modelli di Rodin di cui ci stiamo occupando, termine in verità oscuro e in gran parte indecifrato ma il solo corretto: continuare a servirci delle accezioni ricorrenti e continuamente ripetute equivarrebbe al protrarsi e al consolidarsi dell’errore nonché del dubbio e del degrado. Infatti il termine individualizzante normalmente in uso sia dai funzionari del Museo sia dagli studiosi che marginalmente se ne occupano è, dopo ‘italiano’, la parola ‘Abruzzi’ o ‘contadini d’Abruzzi’, perciò completamente fuori della Storia e della dottrina del folklore. Detto termine ‘ciociaro’ pur investendo delle realtà storiche ed artistiche e sociali della massima rilevanza quale, tra le tante altre, la emigrazione -la prima in Italia- il costume ciociaro decantato da tutti gli artisti europei dai minori ai più grandi, i modelli di artista, la figura dei briganti, quella del pifferaro, è stato di regola scarsamente impiegato e, di norma, sostituito da ‘Abruzzi’ o ‘abruzzese’ oppure, ma meno, da ‘napoletano’ e da non poche altre accezioni: a tale oscuramento consolidato del termine originario hanno senza dubbio contribuito, tra l’altro, le difficoltà sia della pronuncia sia dello scrivere! Ciociaria dunque è un concetto folklorico, quasi sentimentale, non amministrativo o politico, venutosi a consolidare a partire dalle ultime decadi del secolo XVIII quale solo unificante corrispettivo territoriale, a seguito della più o meno accentuata comunanza folklorica, della intiera ampia regione ai piedi di Roma delimitata a Est dagli Appennini, a Ovest dal Mar Tirreno, a Sud dal fiume Garigliano: per molti anni divisa in due tra Stato della Chiesa (Campagna di Roma o Latium Adiectum) e Regno di Napoli (Alta Terra di Lavoro) e perciò connotata con nomi differenti. Va precisato che il termine ‘napoletano’ riferito a questa umanità dei modelli, di conseguenza non è per nulla connotativo e distintivo nella sua generalità, troppo impersonale e vago dunque, pur corretto dal punto di vista amministrativo: queste creature erano effettivamente tutte originarie della Valcomino, un piccolo territorio di Alta Terra di Lavoro, provincia del Regno di Napoli. Abruzzi, al contrario, anche essa all’epoca una provincia del Regno di Napoli, era solo confinante con un lato della Valcomino. Ciò malgrado gli abitanti della Valcomino stessi, da sempre nomadi e girovaghi, per connotarsi in modo più attendibile e personalizzante quando richiesto nelle loro dislocazioni, impiegavano, e da sempre -abbiamo documenti già dal 1500!- il termine ‘Abruzzi’ (al plurale all’epoca, oggi singolare) ovunque noto e da sempre per le sue montagne e vette innevate, piuttosto che ‘Sora’, distretto burocratico di appartenenza o addirittura Napoli. All’epoca che ci interessa, fine del Secondo Impero e Terza Repubblica, a Parigi i modelli di artista erano qualche migliaio e la colonia comunemente ritenuta più numerosa, poco meno di mille individui al loro apogeo, erano italiani e quasi tutti ciociari. La causa e la origine di siffatto fenomeno della presenza massiccia di modelli di artista in questo e solo questo determinato periodo sulla scena artistica europea, rappresentarono invero una parentesi tipica dell’epoca nelle città d’arte principali d’Europa, motivata e spiegata dalle nuove tendenze e nuovi canoni estetici e artistici in voga in quel determinato periodo soprattutto: certo è che il ruolo di Parigi fu semplicemente eccezionale e al di sopra di tutto e di tutti. Inutile far presente che i modelli hanno posato davanti anche ai maggiori pittori e scultori dell’epoca a partire da Manet e Corot e Renoir e Sargent e Whistler e Frémiet fino a Cézanne e a Van Gogh e a Matisse. Tra di loro si sono evidenziate delle creature che hanno dato quasi il loro marchio alla Storia dell’arte: Carmelina, le Serf, Iris, Femme accroupie, Agostina, Le garçon au gilet rouge, Laurette, St.Jean Baptiste, il Bacio, The Sluggard, La lettura interrotta, Eva…..sono divenuti dei punti di riferimento e non in ultimo, la immagine dei modelli.
Affrontare un qualsiasi aspetto della esistenza artistica di Rodin è impresa ardua, voler avere la pretesa di un approccio scientifico, quindi dai risultati incontrovertibili, è invece disperata: per un solista addirittura impossibile, salvo dedicarvi sessanta anni della propria vita: Rodin è un mondo, è il Picasso e il Matisse della scultura con la componente particolare della imprevedibilità e marcata coscienza di sé anzi, più esattamente, del proprio egotismo se non egolatria vera e propria: nessuno scultore ha immesso, (e continua a immettere!) sul mercato tante opere quanto lui e nessuno ha operato tanto quanto lui: una produzione incredibilmente diversificata, con la risultanza di almeno mille soggetti differenti affianco alla creazione di autentici capolavori universali e affianco ad una edizione di opere sconfinata: negli ultimi venti anni della sua attività sono state immesse sul mercato, da un calcolo dello scrivente, non meno di quattromila opere, bronzi in gran parte, poi marmi e gessi: nessuno scultore è stato mai così appetito e richiesto e prolifico e, anche, promosso e incentivato: e nessuno nemmeno, in tutta la sua vita attiva, ha prodotto tanto quanto Rodin nei suoi ultimi ventanni! qualcuno ha calcolato che le fonderie al suo servizio fossero trenta! Se si tiene a mente che l’artista non ha lasciato alcuna contabilità per così dire aziendale né un registro delle vendite realizzate né almeno un brogliaccio di identificazione delle opere eseguite, né tanto meno un diario o almeno un registro di annotazioni di fatti e vicende e di uomini, allora si può ben immaginare, tra il tanto altro, che cosa mai potesse avvenire nei suoi tre o quattro ateliers dove operavano, si scrive e si deduce altresì, dai cinquanta agli ottanta collaboratori nel periodo di massima attività: qualche studiosa recentemente ha parlato addirittura di factory-like output cioè di produzione semi-industriale e un altro studioso amico di Rodin, Coquiot, apertamente dichiara: neppure l’artista stesso sapeva quanto e che cosa uscisse dagli ateliers! Elegantemente espresso: ”Il se perd dans ce dédale d’œuvres”, “lui stesso si perde in questo dedalo di opere”. E non è una esagerazione: basti ricordare che in una vendita Sotheby a New York nel 2014 è apparsa una splendida piccola Eva in marmo alta circa 80 cm mai conosciuta e vista prima, di cui non si avevano prove! Anzi Jérome Le Blay, che presiede un apposito comitato di studiosi, dichiara che ogni anno almeno due-tre opere provenienti dal privato collezionismo si aggiungono al corpus delle opere di Rodin! Senza affrontare la situazione dei falsi e delle contraffazioni a partire già dalla sua esistenza. Di conseguenza studi e ricerche sono in perenne affanno e dubbio. Nel periodo di maggior impegno e cioè gli ultimi venti anni, l’attività si risolse essenzialmente nella riproduzione, assemblaggio e combinazione e composizione e scomposizione, principalmente riduzioni o ingrandimenti, quindi fusioni e rifusioni, di opere già realizzate, poi in un ritmo vertiginoso di iniziative espositive sia personali e sia collettive in Francia e maggiormente all’estero: altra incombenza dell’artista in questo periodo -settantanni di età nel 1910- erano i rapporti con uno stuolo meraviglioso e suggestivo di donne appassionate promotrici anche della sua opera, in mezzo alle quali pare che pescasse anche sessualmente in maniera doviziosa; poi i rapporti commerciali coi clienti, la realizzazione di busti per il bel mondo internazionale, i rapporti con i giornalisti e gli scrittori e tanto altro. Poi l’acquisto di Meudon, poi il passaggio a Biron, tutti momenti che rendono la captazione di qualche elemento specifico della sua vita ed attività molto problematici. E una delle conseguenze di tale concitato dinamismo e fervore operativo è che redigere la periodizzazione delle opere compiute si risolve anche questa in uno sforzo velleitario se non inutile. In effetti se si escludono i lavori regolati da contratto (quelli pubblici in generale) e qualche altra singola opera, di regola nulla si conosce in modo organico e coerente e soprattutto categorico: e anche gli studiosi più sperimentati affianco a gran parte delle opere non possono che mettere punti interrogativi oppure ‘verso’ oppure ‘circa’ e la causa di tale precarietà non solo cronologica è da rinvenire essenzialmente nell’anima libertaria e anarcoide dell’artista per il quale determinante, dopo una richiesta del suo interlocutore o una sua personale imminente contingenza nei confronti di un giornalista o amico, era solo il compimento del processo creativo qualunque esso fosse e immediatamente pensare ad altro: il resto, il luogo di esposizione, la titolazione e le dimensioni e la registrazione nel bravo libro dei lavori compiuti, gli altri aspetti gestionali dell’opera, erano del tutto secondari o perfino insignificanti: si chiamasse Cibele o Arianna o Artemide o donna seduta era indifferente: l’opera in sé era tutto. La creazione e la circolazione: il resto contava poco o niente: prima di tutto creare e poi immediatamente dar via, far felici gli altri e anche sé stesso, dopo tante rinunce!
Compito nostro è di entrare in questo mondo caleidoscopico e sforzarci di battere solo quei sentieri per i quali, oltre al nostro coinvolgimento personale, metteremo a disposizione – questo auspichiamo – paletti di riferimento e addentellati oggettivi e perentori che avranno e dovranno avere per risultanza esiti e conclusioni nuovi ed inoppugnabili, limitatamente al soggetto della nostra ricerca.
Preliminarmente, dettagli informativi sui modelli di Rodin si rinvengono in modo palese nell’opera di Ruth Butler che accettiamo così come sono essendo la sintesi ed epitome di quanto già scritto e universalmente ripetuto: è nel suo lavoro che incontriamo Adele modella dell’Eva, del Torso, della Femme Accroupie e il resto. Tutti gli altri, i biografi vicini all’artista, i giornalisti e scrittori ai quali ha lasciato confidenze, altri, per esempio i primi amministratori e conservatori del Museo, nulla o quasi nulla hanno conservato e riferito su queste creature e sul loro rapporto con l’artista e le sue opere, senza evidenziare, in aggiunta, quanta e quale grado di attendibilità possiamo riconoscere alle comunque fondamentalmente basilari memorie di Dujardin-Beaumetz del 1913 sull’argomento specifico delle modelle e modelli e sugli altri due o tre epigoni biografi. Dopo aver richiamato alla memoria un’altra suggestiva e personalissima perfino rivoluzionaria prerogativa di Rodin, quella della scultura mutilata e monca -sicuramente oltre a certi esemplari di Michelangelo come comunemente ripetuto, la visione a Roma o altrove del Torso del Belvedere Vaticano come pure dei reperti romani ne sono il motivo ispiratore inequivocabile- e cioè un medesimo soggetto mutilarlo o completarlo o, ancora oltre, mutarne la struttura o ingrandirlo, con tutto quanto ciò comporta ai fini del riconoscimento ed attribuzione di un’opera, quanto risulta oggi sia nella letteratura e sia nel commercio antiquario è ciò che segue: Pignatelli ha posato per il San Giov. Battista, Adele Apruzzese ( i cognomi sono vari) per la cosiddetta ‘Prima Eva’ o ‘Grande Eva’, per ‘La donna accovacciata’, per il ‘Torso’ al suo nome, per ‘Iris’, per la ‘Cariatide caduta che porta la pietra’. Anna, sorella di Adele, si è convenuto che parrebbe aver dato il proprio corpo ad ‘Abbruzzesi seduta’ ribattezzata ‘Cibele’ e ad ‘Abbruzzesi distesa’ nonché al ’Risveglio’ o ‘Toletta di Venere’. Poi si cita, con esaurienza, Maria Caira ‘Quella che fu la bella moglie dell’elmettaio’. La modella al contrario seguita e promossa da tutti è la figura di Marianna Mattiocco, la Giovanna d’Arco di Frémiet e modella per altri, che divenne la moglie del pittore milionario australiano J.P.Russell; fu moltissimo apprezzata e valorizzata da Rodin tanto da definirla, riporto le parole di un osservatore, la donna tra le più belle della Francia e averne immortalato le fini sembianze in molte sue opere anche sotto le spoglie di Marianna simbolo della Francia, di Pallade, di San Giorgio e di altri personaggi. Di tutto il resto non c’è traccia in nessuno, salvo la espressione generale comunemente riportata che i modelli preferiti di Rodin erano “originari delle zone più povere dell’Italia meridionale e specie degli Abruzzi”. In questi ultimi anni, grazie a mio avviso al lavoro della signora Le Normand-Romain e a quello indefesso del sottoscritto, comincia pur se debolmente, ad affiorare, a seguito dei dubbi che iniziano a circolare ed a levarsi su certi aspetti ritenuti consolidati, un ulteriore personaggio cioè Maria anzi, Maria Antonia Amelia, sorella maggiore, preciso, di oltre dieci anni di Adele e di Anna, anche lei modella. Deve essere motivo di gratificazione per i cultori apprendere che nel catalogo della mostra grandiosa al Grand Palais del Centenario, 2017, si trova per la pima volta nel contributo della Signora Le Normand-Romain, che la modella dell’Eva è Maria Apruzzese (pur se con altra grafia): encomiabile coraggio professionale!
Ancor prima di sottoporre all’attenzione del lettore le nostre osservazioni e deduzioni, è di dovere valutare la posizione della istituzione ufficiale, il Museo Rodin di Parigi, a proposito dei modelli ‘abruzzesi’ dell’artista, in realtà ‘ciociari’. E’ certo che il Museo, parliamo del suo sito web, omette la maggior parte dei nominativi: la icona ’recherche’ fornisce risposte a Pignatelli, ad Adele e a Maria Caira. Non trovi ‘Marianna Mattiocco’ ma trovi ‘Marianna’. Se vai all’indice dei nomi: trovi Adele, anche Maria Caira; ma Pignatelli è assente! Marianna Mattiocco pure assente, ma trovi ‘Russell Marianna’. Il Museo scrive ripetutamente che Adele è la modella dell’Eva: concetto che viene ripetuto da almeno cento anni e normalmente si rinviene sia nella letteratura sia anche in tutti i cataloghi di vendita. Apprendiamo che il Museo non conosce il nome di battesimo di Pignatelli, da qualche parte si trova ‘Cesare’; accenna solo vagamente ad Adele oltre che negli errori, solo perché impersona l’unico titolo personale che Rodin ha dato ad una sua opera: è imbarazzante osservare che di Adele parlano da cento anni quale modella dell’Eva, del Torso, della Donna Accovacciata e pertanto non hanno mai sentito la esigenza di rintracciarne le coordinate anagrafiche e di Pignatelli, il modello maschile sicuramente più importante e più celebrato e più famoso al mondo, grazie maggiormente proprio a Rodin, ancora non si conoscono non dico le coordinate anagrafiche quanto, come ricordato più sopra, nemmeno il nome di battesimo. Anche in questo caso cento anni trascorsi con zero risultati. Colei che invece si menziona con piacere è Marianna Mattiocco Russell, per la quale hanno perfino scoperto un terzo cognome ‘della Torre’ fatto originare da ‘Torrice’, cognome della madre; era moglie di un amico e cliente di Rodin, il menzionato J.P.Russell, erede di cospicua fortuna, e malgrado ciò regolarmente ne sbagliano perfino la grafia del nome: curioso il fatto che all’indice non trovi né Marianna né Mattiocco bensì Russell Marianna, come già costatato. In questo contesto va sottolineato l’unico lavoro pertinente esaustivo del Museo in merito ai modelli di Rodin nel loro complesso, risalente al 1990, quello della Signora H.Pinet: in detto testo è assente Marianna Mattiocco Russell ma è presente Marcantuoni Maria dai capelli biondi di cui si conserva una lettera commovente al Maestro, che risulta però assente dovunque nel sito web perfino nell’elenco scripteurs. Come pure nell’elenco Pinet, si cita il modello del Balzac strepitoso successivamente collocato a Vavin, con affianco l’annotazione autografa dell’artista: Celestin, Balzac ma in nessuna parte del sito ne trovi traccia, come pure la Signora Pinet ci tramanda un giudizio incredibile di Rodin scritto affianco al nome di un modello ciociaro, il decano dei modelli professionisti, pur esso totalmente sconosciuto al sito web museale: Libero Nardone admirable! Ma parecchie altre sono le discrepanze tra il lavoro della Signora Pinet -fondamentalmente esaustivo ed accurato pur se omissivo in tema di chiarimenti anagrafici- e la condotta del sito. L’istituzione museale, per chiudere, pur parecchio attiva e produttiva, nulla ha intrapreso fino ad oggi con riferimento ad una indagine almeno superficiale sui modelli di Rodin che, dato inoppugnabile, in massima parte sono stati modelle e modelli ciociari: dico inoppugnabile perché così si è espresso l’artista stesso e così ripete il Museo e così ripetono gli studiosi che si occupano dell’artista, pur servendosi di norma del termine ’Abruzzi’. Ma poi nulla più. Non solo ma si rileva e si costata che il Museo, ci riferiamo sempre al sito web, si direbbe che coltivi perfino la tendenza a diluire ed a spegnere questa presenza, come si può agevolmente dedurre da quanto fin qui, come se i modelli, pertanto pagina fondamentale e qualificante dell’arte di Rodin, rappresentassero una sovrastruttura di scarso significato ed impatto nell’opera dell’artista.
Informiamo subito e per la prima volta negli studi sull’artista che Adele Apruzzese (o Abbruzzese o Abbruzzezzi, Abruzzese, ecc.) è nata il 28 aprile 1876 a Gallinaro in Valcomino, a quest’epoca da poco Regno d’Italia, in precedenza, come detto, Alta Terra di Lavoro, una delle 22 province del Regno di Napoli; la famosa ’Prima Eva’ o ‘Grande Eva’ in grandezza naturale per cui posò come universalmente riconosciuto, è passata alla storia grazie alla nota vicenda della modella incinta e dell’accantonamento da parte dell’artista dell’argilla non terminata, per quasi venti anni. Se la data è primi anni ’80, Adele non ne sarebbe potuta essere la modella vistane l’età infantile di 4-6 anni! Prima secolare discrepanza. E riportiamo quell’inno alla bellezza femminile del vecchio artista la cui memoria affida all’altrettanto vecchio amico Dujardin-Beaumetz: “ll en est deux surtout avec lesquelles j’ai longtemps travaillé, et qu’il me semble revoir toujours, deux italiennes, l’une brune, l’autre blonde. Elles étaient soeurs, et toutes deux la perfection de natures absolument opposées. L’une était superbe, dans sa force sauvage, l’autre avait cette beauté souveraine que tous les poètes ont chantée. La brune…avait les mouvements rapides et félins, la souplesse et la grâce d’une panthère, toute la force et la splendeur de la beauté du muscle…”.E poco appresso: “L’autre soeur était merveillesement belle, belle comme une Vénus, comme Apollon; sa chère blanche et rosée éclatante sous ses longs cheveux dénoués de couleur blonde cendrée, était un enchantement des yeux…”. Per prima è da mettere in dubbio se l’artista abbia parlato effettivamente di ‘due sorelle’, una bionda e una bruna: anche perché in tutte le relazioni e rapporti in merito alla produzione dell’artista non è mai venuto fuori nemmeno lontanamente che potessero levarsi sulle sue pedane due sorelle, una bruna ed una, bionda, con ‘la pelle bianca e rosa luminosa’. Vedere, in aggiunta, in questa descrizione le due sorelle Anna ed Adele è stato un altro vistoso abbaglio che accompagna, indisturbato e gratuito, la critica e gli studi su Rodin, da cento anni: anche linguisticamente, se vogliamo dar seguito al biografo Dujardin-Beaumetz e non menzionando i biografi suoi epigoni, che così si esprime: “…qu’il me semble revoir toujours,” non può aver in mente “les deux soeurs” Adele e Anna come comunemente tramandato poiché, almeno per quanto documentalmente riguarda Anna, al momento di tali affermazioni, il 1913, il vecchio artista aveva contatti con lei quasi settimanali e da oltre venti anni! laddove l’espressione farebbe dedurre invece una epoca trascorsa senza più contatti: perciò, a mio avviso, ulteriore discrepanza. Quelle che il biografo riporta essere ‘due sorelle’ sono e possono essere in realtà, pur se non necessariamente, ‘la pantera’ Maria Antonia Amelia, di cui qui appresso, e quella ‘bella come una Venere, un Apollo, un incantamento degli occhi’ Maria Marcantuoni, effettivamente bionda, detta ‘la bella’ anche nella sua terra di origine, secondo il ricordo dell’epoca di un appassionato ermeneuta di Gallinaro e che fu, tra l’altro, la modella di altre versioni dell’Eva e di chissà cos’altro: ma non erano sorelle e entrambe di Gallinaro. Di conseguenza, quando si parla di ‘due sorelle’ bisognerebbe individuare il corretto contesto al quale intendeva riferirsi il vecchio artista allorché si intratteneva con il biografo sui suoi ricordi dei primi anni ’80 e se, in aggiunta, ha parlato veramente di ‘due sorelle’ e non si tratti invece di una interpolazione o invenzione o dimenticanza del biografo stesso, senza omettere il particolare pur significativo che le sorelle in effetti erano ‘tre’ e che è arduo dedurre che Rodin non lo sapesse e ne avesse dimenticato una, tanto più che, certamente il cognome, gli era ben noto già nel 1882.
E la nostalgia e il felice ricordo connesso tra l’altro all’episodio, passato alle cronache artistiche, della seduzione e della maternità, quindi indimenticabile, erano riferiti a Maria Antonia Amelia e non ad Adele: ecco dunque la nuova stella mai apparsa prima. Al contrario, ben altri sono i rapporti di Rodin con le sorelle Adele ed Anna. Si dedurrebbe anche, da tali ragguagli biografici, che l’artista avesse dimenticato il nome di Maria Antonia Amelia e anche il suo cognome: ma se però ricordiamo che posò per opere tra le più importanti del suo canone e che la corrispondenza con Kinloch e con Natorp e con Legros gli ricordavano tale presenza e tale esperienza particolare dell’Eva, che, in aggiunta, esiste qualche disegno del momento in cui annota espressamente ‘abbruzzes très beau” (inv, 0 5630), allora è ben evidente che il vecchio Rodin non poteva aver dimenticato nulla, tanto meno il cognome! In aggiunta non si può nemmeno escludere anche che Rodin non conoscesse effettivamente che Maria Antonia Amelia fosse la sorella di quelle che dieci anni più tardi all’incirca sfileranno davanti a lui “facendo cadere i propri abiti come i fiori fanno cadere i loro petali!” In effetti nel 1882 e 84 Maria Antonia Amelia aveva diciotto e venti anni mentre Adele ne aveva 6 e 8 e Anna 9 e 11. Quindi non sussisteva veramente l’interesse da parte di Rodin e/o di qualche altro di sapere che Maria Antonia Amelia avesse due o tre o quattro fratelli e sorelle minori di età o perfino maggiori. Concludendo il biografo ha fatto una certa confusione, ignorando completamente Maria Antonia Amelia, facendo sorgere l’equivoco che la modella della prima Eva fosse Adele, non comprendendo che Rodin parlasse di tre modelle Apruzzese -probabilmente non necessariamente sorelle-, non conoscendo e nemmeno comprendendo i rapporti personali dell’artista con Adele e con Anna, attivi e vitali ancora nel 1913, mescolando e mischiando le figure delle tre sorelle e certamente con Maria Marcantuoni, bionda, detta ‘la bella’.
Adele non può aver posato per l’Eva, come dimostrato più sopra, nè tantomeno Anna, come pure alcuni studiosi propongono, da cento anni: infatti Anna Apruzzese (o Abbruzzezzi, o Abruzzese) è nata a Parigi il 29 aprile 1873, quindi anche lei infantile. Rodin conosceva benissimo Anna ed Adele non solo a seguito della collaborazione quanto anche per alcune delicate contingenze iniziate nel 1895 e protrattesi negli anni seguenti che li tennero in contatto continuo e anche perché, ancora nel 1913 e fino al 1917, lui ed Anna si incontravano e scrivevano quasi settimanalmente, come documenta la corrispondenza presente nell’archivio del Museo, risultante invero inspiegabilmente carente e manchevole di lettere. Inoltre, se dobbiamo dar credito anche alle parole di Anthony M. Ludovici, inglese, che funse pur se per poco, segretario dell’artista dopo Rilke, a Meudon nel 1906 si notava in giro, parrebbe come governante e assistente, una donna di nome Adele ed a me piace vedere in questa figura la modella dal medesimo nome: c’è da rammentare che ancora nel 1902 i rapporti con Adele erano attuali come si evince da una lettera di Rodin all’amico Rochefort ma a parte tale ipotesi, ribadisco la perfetta conoscenza delle due sorelle da parte di Rodin: si noti altresì che quelle che hanno consolidato e sviluppato nel Maestro la vera e propria voluttà del disegno da movimenti dal vivo delle modelle, sono state proprio le due sorelle, sicuramente a Meudon, per cui mal si configura in tale rapporto quanto il biografo riferisce. Quindi con riferimento alle ‘deux soeurs’ come anticipato più sopra, non si tratta delle due sorelle Adele ed Anna. E’ disponibile un’altra ragione a conferma. Ci siamo imbattuti in un quadro datato 1896 del pittore/scultore belga Gustav Max Stevens, il quale ebbe rapporti con Rodin: detto dipinto illustra Adele davanti alla ‘Cariatide caduta che porta la pietra’ su cui torneremo qui appresso: ebbene, scopriamo eccezionalmente che Adele ha lunghi capelli rossi e ne apprendiamo a conoscere il viso che, osservando, è il medesimo della scultura per la quale ha posato e che accarezza nel quadro! Non stiliamo alcuna ipotesi: deduciamo semplicemente che Dujardin-Beaumetz si è fatto prendere dalla poesia, quindi ha fornito erronee informazioni.
E dunque resta la domanda: orsù, chi ha posato per ’La prima Eva’? Come detto più sopra, è qualche tempo che si inizia a nutrire dubbi che possa essere stata Adele in quanto è cominciato a venir fuori, grazie alle osservazioni degli anni trascorsi di chi scrive, che poteva esserci qualche incongruenza in merito all’età della modella e anche all’epoca della esecuzione: infatti oggi qualche funzionario stesso del Museo Rodin scrive: “Eve, grande version, 1881-1897”. Da allora qualche studioso, quale rimedio a tali dubbi affioranti ha tirato fuori dal cappello un ulteriore fantasioso personaggio: una ’Carmen Visconti’ quale possibile modella dell’Eva: la lettura dei ritagli di giornali presenti nell’archivio Rodin farà dedurre senza possibilità di equivoco che ci troviamo di fronte ad una vera e propria millantatrice e falsificatrice di fatti che nulla e niente hanno a che vedere con quanto mette sulla penna dei giornalisti che l’avvicinano. Ma quanto sconcerta è il fatto che, da esami e verifiche svolti, all’epoca dell’Eva questa signora non era neppure ancora nata! Epperò perfino nei cataloghi di vendita importanti, di norma molto attenti nella redazione delle loro schede, e non solo nei cataloghi, si torna sistematicamente a citare per l’Eva di Rodin la detta chimerica Carmen, ancora presentemente! Anche tale situazione a conferma di quanto poco il Museo Rodin si adoperi in merito ai modelli dell’artista e quanto poco si sforzi di stabilire e di diffonderle, verità e primogeniture. Nel mio libro MODELLE E MODELLI CIOCIARI A ROMA, PARIGI E LONDRA NEL 1880-1900 è stata puntualizzata dettagliatamente tutta la situazione riferita alle asserzioni di Dujardin-Beaumetz.
E per restare nel tema affascinante e intrigante della ‘Prima Eva’ chi è dunque la modella che “… avait les mouvements rapides et félins, la souplesse et la grâce d’une panthère, toute la force et la splendeur de la beauté du muscle…?” Con lei si apre una pagina avvincente della Storia dell’arte: scopriamo ora dopo cento anni, che era anche lei, con le parole dell’artista, una bellezza mediterranea: si chiamava Maria Antonia Amelia Apruzzese (lei si firmava: Bruzzese, così si firmava il padre quando a Velletri) nata l’11 giugno 1864 a Velletri appunto, nella zona dei Castelli Romani: è un caso che Maria Antonia sia nata in questa antica cittadina ai piedi di Roma, infatti era costume che molte famiglie della Valcomino emigrassero stagionalmente in questa cittadina per i lavori nei campi specie nei vigneti e non era infrequente il caso che nel corso della permanenza qualche donna desse al mondo i propri nati. Per esempio qualche figlio di Cesidio Pignatelli nacque durante tali dislocazioni, lo stesso avvenne a Carolina Carlesimo la futura Joana Romani. E i genitori di Maria Antonia risiedevano a Gallinaro in Valcomino. Il nome di Maria, come ricordato più sopra, viene dissepolto dalle infinite carte dell’archivio Rodin e introdotto alla ricerca, dalla Signora Le Normand-Romain e, come detto più sopra, per la prima volta ufficializzato nel catalogo del Centenario. Ma il vecchio artista mentre al suo amico parlava di “…mouvements rapides et félins, la souplesse et la grâce d’une panthère…” chi aveva veramente in mente, Maria Antonia o la sorella Adele o tutte e due? Noi crediamo: tutte e due perché le ebbe modelle entrambe per opere del più grande significato nel canone delle sue sculture pur, come accennato precedentemente, senza necessariamente sapere che Maria e l’Adele di dieci anni più tardi fossero sorelle, pur se noi contestiamo tale ipotesi: fu il suo biografo, ribadiamo, a non comprendere esattamente i contesti, se due o tre sorelle e chi era Maria Antonia Amelia e chi Adele.
Nel periodo in cui inizia a plasmare la sua creta, in qualche momento del 1880 o 1882 o 1883 come da almeno cento anni comunemente e erroneamente si ritiene, probabilmente nell’atelier di Rue des Fourneaux come parrebbe dedursi in una nota della studiosa succitata -quello alla Rue de l’Université non ancora verosimilmente approntato- per certo in piedi davanti a Rodin è il corpo sfolgorante di Maria Antonia Amelia, “la souplesse et la grâce d’une panthère”, “l’agilità e la grazia di una pantera” la capigliatura corvina, quella perfezione del corpo femminile mediterraneo raramente superiore a 1,68 di altezza che lui decantava quale rappresentata per esempio dalla larghezza delle spalle uguale a quella del bacino e il corpo florido e sodo: Maria Antonia ha diciottanni: a mio avviso è la prima modella a posare effettivamente davanti a Rodin anche nel 1882, se non due anni prima, nel periodo cioè della sua esistenza allorché inizia a vedere finalmente risultati economici incoraggianti al suo lavoro; aggiungo, è estremamente probabile e possibile che sia stata introdotta nello studio dallo stesso Pignatelli in quanto non solo conterranei ma abitanti nelle medesime viuzze di Montparnasse: Rue du Maine o Rue Poinsot o Rue Delambre: il retro di un disegno (Inv. D 7106) del 1882 contiene – se effettivamente redatto nel 1882 – tutti gli appuntamenti dell’artista in una giornata e sono menzionate un ‘Abbruzzesi’ e una ‘Camille’.
Attorno a Rodin, si racconta da cento anni, assiste un gruppo di discepoli inglesi tra i quali, a partire dal 1882 Pen Browning, il figlio dei famosi poeti Robert Browning e Elisabeth Barrett Browning; in questo stesso anno c’era a prendere appunti possibilmente anche Camille Claudel, diciottanni anche lei, anche lei travolta dalla passione ma per il Maestro. E sempre per restare nella tradizione documentata e nell’enflure de ventre (gonfiamento) della modella di cui si parla ironicamente, lo stato civile -scopriamo per la prima volta- registra effettivamente che Maria Antonia Amelia il 15 febbraio 1885 dà alla luce Mary Violet in un’antica magione della campagna scozzese! Quindi la storiella allegra riferita da Dujardin-Beaumetz e della interruzione del lavoro alla ‘Grande Eva’ a seguito di incipiente gravidanza (la famosa enflure de ventre!) sarebbe veritiera, ma non riferita ad Adele: invero uno dei discepoli, il trentenne baronetto scozzese George Washington Andrew Kinloch Smyth impalma Maria Antonia e la modesta figlia di Gallinaro assurge in questo modo a membro dell’aristocrazia scozzese col titolo di baronessa. Quando inizia tale rapporto sentimentale, come e dove si realizza, non si conosce per certo: dalle lettere nell’archivio Rodin, abbiamo la conferma della vita spensierata di questi figli di papà che percorrevano l’Europa in lungo e in largo: li incontriamo a Londra, a Edinburgo, ad Anversa, a Dinant, a Parigi, Reims, a Bruxelles e certamente anche le avventure amorose non mancavano.
Nella corrispondenza che Pen scambia con i colleghi ci si imbatte in un personaggio nuovo nel nostro racconto: apprendiamo che una ragazza, modella anche di Rodin, veniva chiamata ‘Adelia’ e la incontriamo assieme ad entrambi gli amici Pen e Kinloch – già nell’agosto 1882 – oltre che a Parigi, anche a Dinant in Belgio, e talvolta sola con Pen in altre circostanze. L’affioramento di questa ‘Adelia Abbruzzesi’ mai fatta oggetto di ricerche o di semplice menzione, è senza dubbio motivo di ulteriori incertezze, sotto certi aspetti, nella storia di Rodin di questo periodo: chi è mai questa modella ‘Adelia’ che soggiorna una volta con uno, una volta con tutti e due, allo stesso tempo legata a Rodin? Sussistono motivi storici documentali per ritenere che questa chimerica ‘Adelia’ si trovi presso i due giovani artisti per ragioni di lavoro in quel periodo determinato: Pen Browning, per esempio, come ben sappiamo dalle ricerche condotte dalla Università di Glasgow, in questa fase della sua esistenza è completamente e professionalmente assorbito dal proprio lavoro sia di pittore e sia di scultore e trova il suo mentore e sponsor migliore nelle ricche relazioni sociali nonché premure del proprio genitore, il celeberrimo poeta Robert Browning come detto, che enormemente si impegna a farlo conoscere e diffonderne l’opera: e quindi l’attività artistica del figlio è parecchio variegata e multiforme: già dal 1878 espone proprie opere regolarmente alla Royal Academy e/o alla Grosvenor Gallery di Londra nonché al Salon di Parigi e a quello di Bruxelles e in questi anni, 1882, realizza un busto in bronzo intitolato proprio “Una modella italiana” oppure “Ragazza di Velletri” (Baylor University), esposta alla Royal Academy di Londra, del quale non si conosce la ubicazione e per il quale è fuori di dubbio che abbia posato questa misteriosa ‘Adelia’ che l’anno dopo, nel 1883, è stata necessariamente sua modella anche per la importante opera in bronzo “Dryope” – Driope, ninfa della mitologia – in grandezza naturale esposta, come apprendiamo in alcune lettere del padre Robert Browning, l’anno dopo alla Grosvenor Gallery di Londra. E procedendo a certi raffronti specie con due bronzi realizzati da Kinloch, abbiamo la conferma che sia il corpo e sia il volto di ‘Adelia’ sono, in verità, quelli della ragazza che Kinloch chiama invece ‘Maria’ e, aggiungiamo, saranno il corpo e il volto che poi rivedremo in certe opere mondiali di Rodin! Quindi ‘Adelia’ è Maria Antonia Amelia! E veniamo al punto: chi è dunque questa ‘Adelia’ di cui troviamo menzione nelle due lettere di Pen Browning sia a Rodin e sia a Natorp? Il 2 agosto 1882 Pen è a Dinant, circa trecento Km da Parigi, e ‘Adelia’ è con lui ed è “contenta di rivedere Rodin”, da poco tornato da Londra, si legge nella lettera. E’ certo che la ragazza sta posando per Pen, possibilmente per il busto in bronzo e forse anche per qualche schizzo della Driope e non escluso anche per il busto ‘Maria Abbruzzi’ di Kinloch. Innanzi tutto ‘Adelia’ è un nome in generale rarissimamente usato al femminile, nei luoghi di origine della modella addirittura inesistente, al contrario usato diffusamente in contesti anglofoni. Delicata e motivo di confusione e di dubbi, ma inconsistenti, quella affinità e perfino assonanza con il ben noto ‘Adele’. Anagraficamente non ci risulta una ‘Adelia Abbruzzesi’ nei registri delle nascite di Gallinaro e/o di San Donato di cui Gallinaro faceva arte, né tanto meno ci risulta presente nel novero della prole di Domenico Apruzzese padre di Adele e Anna. L’unica interpretazione e spiegazione possibile è che Pen avesse scritto Adelia erroneamente invece che Amelia cioè una d al posto di una m oppure abbia voluto, poco verosimile, celiare: in effetti anche Kinloch è con lui a Dinant in questo periodo, salvo una interruzione in Iscozia, e Kinloch sa bene che la modella non si chiama Adelia: cioè più semplicemente ancora Kinloch la chiama Maria, Pen la chiama Adelia ma il nome è: Maria Antonia Amelia. L’americana Baylor University è specializzata sulla bibliografia dei Browning e a proposito di tale ‘Adelia Abbruzzesi’ si legge con riferimento al busto in bronzo del 1882 più sopra citato: ‘busto di una ragazza di Velletri’ e sappiamo, a conferma dunque, che tale informazione può riferirsi unicamente a Maria Antonia Amelia, nata appunto a Velletri, come detto più sopra; in altra pubblicazione su Pen Browing leggiamo che questa “Adelia Abbruzzesi fu impiegata da Rodin per la sua Eva e da Pen per la sua Driope”: perciò, e chiudiamo, è lecito sostenere che nessun dubbio sull’errore (Adelia invece di Amelia) può essere invocato in merito.
In questi medesimi anni 82 e 83 anche Kinloch è molto attivo e lavora e produce, sia pittura e sia scultura, a stretto contatto con l’amico e presenta le sue opere, solo dipinti, alla Scottish Academy of Arts di Edinburgo e dal 1879 al 1885 ogni anno molteplici opere, di pittura e anche di scultura, alla Royal Scottish Academy of Painting, Sculpture and Architecture e ben si comprende dunque la ragione del suo atelier personale dal 1880 al 1886 a Edinburgo a 32 Drummond Place, secondo le ricerche della Univ. di Glasgow; ma è sicuro che presenterà opere coll’amico Pen anche al Salon di Parigi e a quello di Bruxelles. E’ certo, sempre secondo le conclusioni della Univ. di Glasgow, che nell’estate 84 presenta alla Royal Academy of Arts di Edinburgo tre sculture in bronzo di cui una intitolata ‘Maria Abbruzzi’ già citata. Verosimilmente modellata a Dinant l’anno prima mentre l’amico Pen modellava la sua Driope.
A questo punto reputo opportuno visionare e mettere a fuoco più precisamente che possibile la presenza effettiva e reale dei due amici studenti presso lo studio di Rodin, ai quali poi come sappiamo si aggiungono Camille Claudel e Gustav Natorp e Henri Le Bossé che però nessun rapporto hanno con le modelle. In ogni caso possiamo confermare, dalla lunga corrispondenza accessibile intercorsa tra il poeta Robert Browning e il Natorp, che questi soggiornò a Parigi con Pen e Kinloch nell’inverno 82 e nell’83, anche lui fino a maggio, per poi tornarsene a Londra dove in estate inizia la costruzione del suo atelier personale.
Kinloch è presente nello studio di Rodin nell’aprile 82 per un paio di mesi: a giugno Rodin va a Londra per due mesi a curare i propri affari; Kinloch torna prima a Dinant poi in Scozia per le esequie al padre. Il soggiorno presso lo studio di Rodin riprende fine ottobre 82 per durare ininterrotto fino alla fine di maggio 83 allorquando Rodin si reca nuovamente a Londra per le sue promozioni e presentazioni: Kinloch ritorna a Dinant con l’amico Pen e disdice lo studio che tramite Rodin aveva preso in affitto a Parigi. Pen Browning è presente nello studio di Rodin nei medesimi periodi di Kinloch ma hanno due studi separati.
Quindi a maggio 1883 la loro presenza stabile presso lo studio di Rodin prende fine. Da questa data sappiamo che le loro presenze a Parigi sono saltuarie pur se regolari, costanti invece quelle nella amata Dinant, sempre al medesimo albergo e sempre in estate e primo autunno. Siccome i due giovani, in fondo, erano professionalmente anche abbastanza attivi nella professione, riteniamo che avessero scelto di risiedere stabilmente in questa cittadina belga anche perché strategicamente favorevole ai loro spostamenti: Bruxelles, Parigi, Anversa, Londra, Edinburgo…. Vista tale libertà di movimenti ed autonomia, è chiaro che i due amici continuano ad avere rapporti anche con la modella ‘Adelia’/’Amelia’ ma non più a Dinant bensì a Parigi in quanto gli anni 83 e 84 sono particolarmente cruciali nella vita professionale di Rodin e quindi anche per Maria Antonia Amelia: sue libertà di movimento dalle prestazioni di posa continuano ad essere di sicuro e per certo quelle connesse con trasferimenti dell’artista a Londra, di solito nel mese di giugno: quindi si conferma la presenza di Maria Antonia Amelia a Dinant nella estate 1883 coi due giovani artisti. In questo contesto possiamo anche osservare che i rapporti tra Kinloch e Pen si allentano a partire già dal 1884 quando Kinloch inizia a preoccuparsi e a rimediare allo stato nuovo in cui si trova Maria Antonia Amelia: malgrado non poche ricerche, non siamo riusciti ad individuare il luogo della loro unione ufficiale: qualche membro ancora in vita della famiglia ricordava che forse si erano uniti al municipio di Versailles ma gli archivi cittadini non hanno dato conferma: e le continue maternità, almeno altre tre, che si innestano a partire dal 1885 nella loro immensa fattoria nella Contea di Perth, lasciano meno spazio alle incombenze artistiche così numerose negli anni prima. Infatti la sua presenza alle due Accademie Reali scozzesi si interrompe definitivamente a partire dal 1885. Va anche aggiunto che il povero Kinloch inizia a diventare preda di depressioni e di ossessioni tanto che a poco più di quarantanni, nel 1896 portarono ad un esito violento. Pen Browning, l’anno 84 gran parte a Londra dove prende in affitto lo studio di una pittrice e continua con notevole impegno sia a dipingere e sia a esporre le opere. In autunno torna a Parigi. Nell’87 anche Pen convola a nozze e si trasferisce in Italia, allora si comprende bene quanto i legami, almeno apparentemente, si siano assottigliati. Tutto quanto sopra conferma la presenza effettiva dei giovani inglesi (Kinloch, Pen e Natorp) nel medesimo periodo (inverno 1882-maggio 1883) presso lo studio di Rodin che in quegli anni è, finalmente, in attività rigogliosa, cosa che consente ai giovani di essere molto grati e riconoscenti all’artista grazie alle molteplici esperienze vissute nello studio: epperò, a parere di chi scrive, non potevano essere presenti all’intiero svolgimento creativo della ‘Prima Eva’ che come detto più sopra iniziò a maggio – giugno 1884 e si protrasse fino a luglio – agosto! Lo fu, inizialmente, solo Kinloch, l’autore della enflure de ventre!
A questo proposito abbiamo motivo di ritenere che quell’affascinante dipinto di Pen in cui ci siamo fortunosamente imbattuti in una vendita pubblica, intitolato ‘Davanti allo specchio’ datato 1887 anno delle nozze, in cui davanti a noi fa levare lo splendido corpo di una ragazza nuda dai fluenti capelli neri abbiamo motivo di ritenere che anche essa in effetti sia ‘Adelia’/’Amelia’: la statuina poggiata sulla colonna che raffigura Driope più sopra affrontata come pure il mandolino sul divano che richiama la sua origine ‘napoletana’, vorrebbero confermarlo! In effetti, a possibile conferma, la moglie Fannie o Fanny è, come scrivono le cronache, bionda e quando si sposano ha 34 anni. Aspetto, al contrario, suscettibile di dubbi e remore, in più, è quella data 1887 così ben evidente affianco alla firma: nulla e niente inducono a ritenere veritiera detta annotazione, soprattutto con riferimento all’epoca e, ancora di più, all’incombenza del matrimonio. Siccome la modella è senza dubbio alcuno Maria Antonia Amelia, chiaramente fuori di ogni realtà che abbia potuto dipingere l’opera in assenza della tanto apprezzata modella, a memoria dunque o da foto, per giustificare la data 1887, visto che a quell’epoca Maria Antonia era felicemente sposata in Iscozia. Perciò l’opera è stata realizzata negli anni 82/83 e magari rifinita e terminata nel 1887. Se si procede anche a superficiale raffronto con la effigiata del dipinto di Kinloch si ha la conferma assoluta della medesima identità.
Frattanto sorgono dei dubbi: se prendiamo per buona la storia della seduzione confermata dalla nascita di Mary Violet, febbraio 1885, allora si pone un’altra questione: la data certa e sicura della creazione della ‘Grande Eva’ non può più essere 1882-1883 o perfino 80 e 81come fino ad oggi universalmente ritenuto bensì spostata a metà del 1884! Se le prove usuali invece che portano a fissare la data di creazione della ‘Prima o Grande Eva’ agli anni di cui sopra hanno carattere inoppugnabile e incontestabile -ma tale carattere non hanno! – allora restano due ipotesi: Maria Antonia ha avuto un aborto o falsa gravidanza oppure la storiella della modella incinta si riferisce a qualche altra scultura oppure qualcuno, il biografo o l’artista stesso, l’hanno inventata! Allora accertata documentalmente l’enflure de ventre della modella, anche secondo quanto il citato biografo, e ricordato altresì che non è documentata alcuna data categorica 1880 o 1882 o 1883 e scartata in quanto poco verosimile la possibilità di falsa gravidanza o aborto o altro ancora in considerazione anche della nota perfezione fisica della modella, allora l’Eva incompiuta è tassativamente da collocare nei mesi di giugno o luglio del 1884 e modella fortunata fu Maria Antonia Amelia Apruzzese, sorella maggiore di circa dieci anni come detto di Adele e di Anna. Se poi può essere ritenuto verosimile e opportuno sostenere, e non ne vedo la opportunità e validità vista anche la ricchezza degli ordini da eseguire e da gestire che incombevano, che l’artista abbia iniziato la lavorazione nel 1880-83 poi sospesa e poi ripresa, anche questa potrebbe essere una ipotesi, che comunque nulla e niente cambia o aggiunge ai fatti di cui sopra, ammesso, tra l’altro, che le proprietà fisiche dell’argilla abbiano consentito una tale lunga interruzione e relativa ripresa! Concludendo: la presenza di Maria Antonia Amelia, l’episodio della maternità, l’abbandono dell’opera da parte dell’artista, risalgono a giugno-luglio 1884. Nell’archivio Rodin è conservata una lettera di Gustav Natorp, allievo amico e mecenate dell’artista, in cui scrive a Rodin delle risate che si sono fatte con l’amico comune scultore Legros a Londra sull’enflure de ventre della modella: tale lettera, non datata, è dai funzionari del Museo fissata al 1884. Nell’archivio si conserva un disegno di Eva inv. d 02059 che gli studiosi del museo datano 1880-1884 a confermare che effettivamente le certezze tramandate fino ad oggi non sono in realtà certezze!
Sia rammentato in merito che Rodin in quell’anno non va a Londra!
Dopo aver presentato Maria Antonia Amelia, alla quale dobbiamo la soluzione per così dire di un enigma che ha appassionato gli studiosi dell’Eva famosa di Rodin fino ad oggi e di cui ci occuperemo ancora di più qui appresso, torniamo da Adele e proviamo ad individuare per certo le opere primarie per le quali ha posato. Innanzi tutto: quando iniziano Adele e la sorella Anna a sfilare davanti all’artista, e possibilmente, dove?
Riteniamo di fornire una risposta attendibile alla luce di almeno tre fatti che possono guidarci:
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nel 1893 la passione amorosa ed artistica che ha travolto letteralmente già da circa dieci anni Rodin e Camille Claudel, volge alla conclusione, non spenta ma certamente interrotta; nel periodo dell’intesa con Camille, periodo travolgente, è quasi impensabile per l’artista, salvo episodi speciali, vedersi davanti i corpi nudi delle modelle, essendo Camille, come si racconta, gelosissima oltre che passionale e impulsiva; quindi l‘artista lavora da memoria o per composizioni o scomposizioni…
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il 1893 è l’anno in cui Rodin – è anche questa una maniera per allontanarsi da Camille- prende in affitto -l’acquisterà due anni dopo – una villa e relative pertinenze a Meudon, sobborgo alla immediata periferia di Parigi che egli di norma raggiunge in treno. Vi installa lo studio e un altro laboratorio, più personali e riservati;
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il terzo elemento anche questo inoppugnabile e allo stesso tempo determinante che ci consente di fissare una data esatta, è il fatto che ora, 1893, Rodin comincia a sentire nuovamente l’impulso nonché la necessità al disegno, attutitasi notevolmente negli otto-nove anni precedenti trascorsi nell’amore per Camille e anche nell’assolvimento e promozione intensi della propria attività che si incrementa sempre di più; e, ecco il punto, inizia la fase dei disegni aventi per oggetto il modello vivente davanti a lui che col passare degli anni diventa un secondo modo di espressività e di gratificazione, tanto è il coinvolgimento e lo slancio. Questo momento, fondamentale ed estremamente creativo, delle riprese grafiche – acquarelli e disegni – da modelle viventi, come anche ricordato più sopra, che, ecco la novità, si muovono davanti a lui, le cosiddette ‘istantanee’ secondo qualche critico, il Museo e gli studiosi specializzati lo fanno iniziare intorno al 1890. E Adele e Anna sono le sue modelle e, come diremo anche qui appresso, crediamo che Anna abbia iniziato ancora prima. E’ certo che alla fine degli anni 80 Camille, pur portando avanti autonomamente il proprio lavoro nel suo proprio atelier, è ben possibile che si sia sentita messa in pericolo nella sua passione verso l’artista dalla presenza di Adele in particolare, allora, circa 1890, quindicenne, dai movimenti felini e selvaggi. E in effetti qualche voce critica del tempo ricorda che a causa della gelosia di Camille, Rodin dovette interrompere con la presenza, appena iniziata, di Adele.
Sulla scorta di quanto sopra vedremo le due sorelle davanti all’artista ormai sempre più celebrato ed affermato, a Meudon tra la fine del 1893 e il 1894: Anna ha 20/21 anni e Adele 17/18. Per certi aspetti questo è un periodo fondamentale per l’arte di Rodin sia perché Adele soprattutto è fonte diretta della creazione anzi nascita di alcune opere celebrate e sia perché le due sorelle risvegliano e consolidano una nuova esigenza pittorica, una nuova personalità: sono loro in effetti che, a mio avviso, per prime faranno scattare in lui veramente la scintilla e perfino la crescente necessità del disegno anzi della ripresa grafica da modella che deambula e si muove, le ‘istantanee’ di cui sopra: grazie alla presenza conturbante delle due sorelle Adele e Anna, si aprirà una fase che accompagnerà l’artista fino alla fine, col ricorso ad altre modelle. E’ affiorato recentemente ad un’asta in Germania un disegno risalente fine o inizi secolo, intitolato dall’artista sul foglio medesimo: Les deux soeurs in cui mi piace vedere il corpo prorompente e turgido di Adele che stringe a sé la sorella Anna che l’artista riesce a mostrarci visibilmente accasciata e sofferente, certamente a causa della triste vicenda di cui è protagonista in quel preciso periodo, agli scorci del 1800. E tale disegno è del più grande significato in quanto uno dei pochissimi intitolati dall’artista stesso e il solo probabilmente che ci mette sotto gli occhi Adele ed Anna assieme. E tale titolo non è certo una conferma delle inverosimili ‘deux soeurs’ di cui alla biografia del 1913 più sopra ricordata.
Abbiamo già affermato più sopra che voler datare o creare dei percorsi cronologici o capire se ci troviamo di fronte ad opera originaria o ad assemblaggio o riduzione o mutilazione è impresa perfino inutile nel mondo di Rodin: già alla sua epoca uno scrittore attento a lui vicino, Coquiot già menzionato, osservava che voler redigere il catalogo della sua produzione è impresa disperata! Non tanto e non solo per la ricchezza della produzione quanto perché non si conosceva la destinazione di tanti altri lavori usciti dagli ateliers e anche perché per molti ne era difficile la connotazione vera e propria essendo conosciuti con diverse appellazioni dovute al fatto che sovente anche nell’ambito d’una edizione l’artista apportava ripetutamente modifiche, mutilazioni, aggiunte, trasformazioni, ingrandimenti e rimpicciolimenti, ottenendo risultati e opere differenti dagli originali e, ancora più, in quantità esponenziali: una stessa opera poteva trasformarsi in mille!!! Una stessa opera poteva chiamarsi Cibele o Arianna o Demetra, non comportava nulla! Tant’è che da anni un comitato di qualificatissimi studiosi, come più sopra ricordato, sta impegnandosi nella redazione del catalogo ragionato della sua produzione. Quindi, almeno attualmente, fissare una data certa di creazione per le sue composizioni scultoree, in particolare anche di quelle dette primarie, è impresa di velleità e di acribia inconcludenti e quasi lo stesso voler attribuire un titolo comprensibile e uniforme. Una ulteriore peculiarità si riscontra nel lavoro di questo titano: una medesima opera o un medesimo soggetto, riteneva corretto di rimodellarlo cioè di ripeterlo con un’altra modella o modello, cosa avvenuta per parecchie opere, come pure aggiungeva o eliminava certi organi o certi particolari a seconda del committente: viene citato, tra gli altri, l’episodio del suo amico e cliente Warren di Londra che gli ordina una edizione de ‘Il Bacio’ in marmo ma con i genitali: sia detto per inciso che un intervento comparativo e critico tra opere analoghe e, per esempio, con modelli diversi, o comunque la sempre auspicabile e sovente necessaria interpretazione comparativa da parte degli studiosi non mi pare che siano stati particolarmente produttivi di risultati e di scaturigini, pur essendo di notevole significato al fine di certi approfondimenti: certamente per esempio l’edizione del primo Bacio, nei contenuti e particolari non è la medesima di quella del 1903 e la ‘Donna Accovacciata’ -cosiddetto petit modèle, gesso patinato 31,7 cm- risalente al 1881-83 destinata, scrivono gli studiosi, al timpano della cosiddetta ‘Porta dell’Inferno’, anche per il quale erroneamente si tramanda che avrebbe posato Adele, tale soggetto, intiero o mutilato o trasformato, ripetuto più di una volta successivamente, l’artista grazie alla presenza di Adele questa volta sulla pedana negli anni 95/96 lo risolve e fa rivivere in una nuova edizione fino a pervenire, anche, alla nascita della nuova ‘Cariatide caduta che porta la pietra’. E noi siamo documentariamente certi che Adele ha posato per questa scultura della ‘Donna accovacciata/Cariatide’ in quanto, come accennato in precedenza, abbiamo rinvenuto un’opera pittorica di pittore belga datata 1896 già citata che ci consente di fare finalmente anche la conoscenza con Adele dai capelli fulvi, mentre accarezza la sua ‘Cariatide’ poggiata su un piedistallo! La data di esecuzione dell’opera scultorea medesima a questo punto è poco pertinente, se 1896 o 1895, per il presente lavoro, in quanto sarebbe comunque impossibile individuarla nella fantasmagoria produttiva di Rodin epperò certo e documentato è che la modella di questa edizione della Cariatide che porta la pietra è stata Adele! Come diremo qui di seguito, la capigliatura liscia e morbida della Cariatide che il quadro dello Stevens ci restituisce, differente da quella dalla Donna Accovacciata degli anni 82 citata, costituisce un ulteriore elemento a conferma della presenza di Adele quale modella di questa nuova edizione. Ma si tenga sempre a mente che in generale nella produzione di Rodin non si riscontrano punti di riferimento esatti e univoci (datazioni, episodi distintivi, elementi connotativi, ecc.) in quanto, tra il tanto altro, la sua ingordigia creativa era tale che era portato sistematicamente e in ogni momento ad apportare modifiche e spostamenti di ogni genere alla sua produzione artistica per cui tutti i riferimenti, salvo rarissime eccezioni, vengono meno! Anche esami più ravvicinati, quali le membra, i volti, i dettagli anatomici e analoghi, sono sottoposti a sistematici equivoci e dubbi.
Chi dunque ha dato il proprio corpo alla ‘Femme Accroupie’ alla ‘Donna Accovacciata’ ma edizione del 1882-83, cosiddetto petit modèle h.32 cm, gesso patinato di cui più sopra, opera da sola anche essa bastevole a rendere immortale il suo autore? Come già anticipato se si esamina il volto e la capigliatura di un ritratto-busto in bronzo inedito e sconosciuto già citato di Kinloch Smyth il baronetto scozzese, alla moglie Maria Antonia Amelia, abbiamo pur con qualche forzatura, data la minuta dimensione e data la scarsa individualità dei particolari anatomici dell’opera di Rodin, la prova comunque inequivocabile della modella: medesimo volto, medesima capigliatura, medesimo corpo: Rodin ha realizzato l’opera ragionevolmente in qualche anno precedente l’anno 1884: ma la posa della modella nell’opera, la completa naturalezza e spontaneità, la almeno apparente completa assenza di inibizioni e dei, all’epoca, freni morali, la perfetta e compiuta femminilità e maturità fisica, ci obbligherebbero quasi necessariamente e ragionevolmente alla conclusione che abbiamo di fronte una donna pienamente matura e consapevole – ha ora quasi venti anni- e l’autunno 1883 – primavera 1884 ci pare essere il momento di creazione plausibile e ragionevole anche se, va ammesso, uno pure due anni prima in sostanza nulla e niente cambiano alla realtà storica. Anche se il contesto nel quale ci stiamo muovendo è già da cento anni in qualche modo precisato e individuato pur se con enormi lacune e incertezze derivanti in gran parte, ma non solo, dalla personalità creatrice dell’artista, malgrado la rigidezza di tale quadro normativo consolidato pur se in molta parte erroneo, la più volte ricordata studiosa Le Normand-Romain, con riferimento alle sole opere presenti nel Museo Rodin, ammette, e ciò conforta, che anche la modella della ‘Donna accovacciata’ possa essere stata la nostra Maria Antonia Amelia. Di conseguenza una duplice acquisizione: la modella e la data di creazione dell’inaudita opera d’arte: Maria Antonia Amelia Apruzzese, 1882/84, e ”La Donna Accovacciata” o “Femme Accroupie”. Su tutti i significati e le peculiarità di tale incredibile opera d’arte, sia quella per la quale ha posato Maria Antonia Amelia e sia quella per cui poserà più tardi Adele, sono state scritte migliaia di pagine: qui mi limito solo ad invitare il lettore a gustarne la immagine e a dedurre lui stesso le conseguenze ed osservazioni e commenti che più gli aggradano. Qualche dettaglio di cronaca sulla scultura, secondo informazioni del Museo Rodin: la scultura inizialmente era nota col titolo di ‘Lussuria’, un committente caro all’artista, lo scrittore Mirbeau, che nel 1885 ne possedeva un esemplare in marmo di 37 cm di altezza, chiamava la scultura ‘grenouille’ cioè ‘rana’, qualche cosa di compatto e concentrato, il termine di oggi appare per la prima volta nel conteggio che una fonderia nel 1912 presenta all’artista.
Vista la data di nascita di Adele (1876), che all’epoca aveva cinque-sei anni, la costatazione è perciò evidente che anche il celeberrimo ‘Torso d’Adele’ universalmente individuato da oltre cento anni erroneamente con tale appellazione e fatto risalire al 1882, se non a quattro anni prima, al 1878, debba necessariamente venir sottoposto a quasi, anche in questo caso, rivoluzionaria revisione alla luce appunto dei nuovi elementi che stiamo disvelando. Quindi la denominazione del ’Torso’ come ‘Torso d’Adele’ al Museo Rodin (lu. 37,5 cm terracotta con base in legno, o altro lu. 41,7 cm gesso e non pochi altri) è erronea, imputabile a qualche poeta degli anni passati, arbitrio pedissequamente riproposto e ribadito fino ad oggi, ipotesi impossibile per semplici ragioni anagrafiche. In realtà la modella che in quegli anni, 1882, frequenta storicamente come abbiamo abbondantemente dimostrato in precedenza, lo studio di Rodin è Maria Antonia Amelia che ha, come ormai sappiamo, 18 anni, quindi in piena fioritura: quei seni: due pesche appena colte, quella carne che scotta se la tocchi! E quali sentimenti di bramosia da parte di Rodin -a quell’epoca all’inizio dell’assaporamento del successo- al cospetto di tale sua prima splendida modella sulla pedana. Un miracolo. E’ Maria Antonia Amelia dunque la modella dell’ormai presunto ‘Torso d’Adele.’ In una corrispondenza scambiata con la Signora Le Normand-Romain viene fuori che nell’esame delle carte dell’archivio Rodin, la studiosa si è imbattuta in una annotazione autografa dell’artista, ‘Abbruzz.’ a proposito del ’Torso’, a confermare dunque che la modella del ‘Torso’ è effettivamente anche documentalmente un’Abbruzzese o Abbruzzezzi: e, sia ribadito, la costatazione di una creazione certificata nella sua nascita anche documentalmente, è fatto senza dubbio eccezionale! Ma nel caso presente tale conferma è sostanzialmente superflua in quanto è perfino lampante che l’artista avrebbe goduto della visione di questa sua prima modella in piedi davanti ai suoi occhi ingordi e mai avrebbe rinunciato a tale godimento estetico: e noi confermiamo Maria però, non Adele! Perciò ’Torse de Maria’! Quindi un ‘Torso d’Adèle’ del 1899 e un ’Torse de Maria’ del 1882: una scoperta suscettibile di arrecare nuovi ma costruttivi ripensamenti alla periodizzazione del canone delle opere di Rodin.
Di conseguenza il ’Torso di Adele’ autentico riferito effettivamente alla modella Adele Abbruzzese, secondo le parole medesime dell’artista dovrebbe intendersi solo ed unicamente quello presentato nel 1899 alle famose esposizioni in Belgio e in Olanda col titolo autografo di ‘Femme (Adèle)’.
A questo punto è di rigore una digressione: le differenti conformazioni, le molteplici edizioni, le ancora più numerose trasformazioni del ‘torso’ cui noi oggi assistiamo -o ci sentiamo autorizzati a assistere- le numerose variazioni, rimpicciolimenti, ingrandimenti, modifiche, assemblaggi, ecc. sono a dir poco centinaia: di torsi veri e propri -di almeno cinque misure differenti ciascuno- nessuno fino ad oggi è in grado di dichiararne il numero, senza menzionare il loro rispettivo grado reciproco di verosimiglianza e, per di più, senza citare la quantità di altri tipi di ‘torsi’ che portano altri nomi: connotare questa produzione direttamente o indirettamente ‘Torso di Adele’, oggi ‘Torso di Maria’, è una semplificazione delicata in quanto, tra l’altro, viene a essere messo in dubbio il grado di autenticità e di verosimiglianza: dove è Maria? Quale è il torso documentale di Maria? E’ impossibile pervenire alla individuazione anatomica incontestabile del vero ed autentico ‘torso’ di cui si sta parlando: in effetti sono tutti uguali ma allo stesso tempo tutti differenti! Siccome è assolutamente certo e storicamente inconfutabile che Maria Antonia Amelia abbia posato per un ‘Torso’ creazione straordinaria e perfino epocale di Rodin, allora riteniamo che quello da considerare più suscettibile di essere l’originale, tenendo a mente anche le date comunemente fornite, è l’esemplare in terracotta con lo zoccolo di legno già citato conservato al Museo col nr. S01177: i seni più turgidi e le cosce più sode rispetto agli altri torsi in gesso del Museo Rodin, inducono, sempre ammesse le licenze artistiche, a riconoscere maggiormente il corpo di Maria Antonia, anche alla luce delle altre opere qui illustrate -quelle di Kinloch menzionate e quelle di Pen Browning pure menzionate- fino ad oggi sconosciute.
Più controverse le osservazioni a proposito della ‘Femme (Adèle)’ di cui al 1899 che la letteratura consolidata sull’artista ha ragione e motivo di ritenere anche esso un ‘torso’, quindi l’autentico e genuino ‘Torso di Adele’: in effetti ci troviamo di fronte alla seguente situazione storica: se chiediamo lumi e conferme al sito web del Museo e ricerchiamo: ‘femme (Adèle) 1899 Bruxelles’ otteniamo 3814 risposte; se chiediamo: ‘Femme (Adèle) 1899’ le risposte sono 3792! se si consultano le pagine dottrinarie, non trovi menzione della pur fondamentale esposizione personale del 1899, salvo procedere alla consultazione di qualche rara pubblicazione inaccessibile. E tale situazione lasciamo valutare al lettore. La letteratura consolidata afferma che tale opera, un torso dunque come detto, l’autentico ‘Torso d’Adele’ è un gesso, fuso in bronzo nel 1928, nel Museo con il num. d’inventario S 6137, dimensioni 47,5 cm. di lunghezza, superiori dunque rispetto agli esemplari presenti: se si consulta la scheda relativa del Museo si apprende che detto ‘torso’ 1899 in realtà è una creazione del 1882! Ne scaturirebbe dunque al primo impatto che il ‘Torso d’Adele’ del 1899 è anche esso di Maria Antonia Amelia, quindi, quale seconda risultanza immediata, verrebbe a mancare qualsivoglia traccia di presenza di un vero ‘Torso d’Adele’!
La esposizione del 1899 cui ci riferiamo è piuttosto significativa nell’ambito della carriera artistica di Rodin: infatti è la prima sua mostra personale, l’altra ancora più importante sarà tenuta l’anno dopo a Parigi (località Alma) in occasione della esposizione Universale. Sebbene buon conoscitore del Belgio e della capitale in particolare e sebbene introdotto e promosso da amici del luogo tra cui Judith Cladel, futura sua esegeta, sebbene consapevole del rischio connesso, all’epoca, con una insolita mostra personale, Rodin accettò l’invito ad esporre alla Maison d’Art, nota galleria nella centrale Avenue de la Toison d’Or e l’8 maggio 1899 aprì le sue porte. L’artista si era preparato con il massimo rigore ed impegno alla mostra che doveva essere non solo una presentazione ma anche una rentrée nella cara Bruxelles dei suoi anni ivi vissuti e, non per ultimo, anche la celebrazione del suo successo. E perciò, stando ad un esatto resoconto apparso nel Burlington Magazine non solo una grande quantità di opere in numero di circa 65 -in gran parte gessi- ma anche quasi cento disegni e numerose fotografie: perciò quella che, per un artista, si ritiene comunemente una grande mostra; gran parte delle sculture più note erano presenti: Eva, il Pensatore, i busti de i Bourgeois di Calais, Meditazione, l’Eternel Printemps, Ugolino, la Faunessa …L’accoglienza e il successo furono tali che gli organizzatori quasi seduta stante decisero di proseguire con la mostra anche in Olanda e quindi organizzarono delle presentazioni ad Amsterdam, a Rotterdam e a l’Aia, dove anche l’accoglienza fu calorosissima… Considerato dunque il significato conferito dall’artista a tale iniziativa, è forse concepibile che abbia potuto esporre una sculturina, per di più ormai abbastanza inflazionata, risalente a quasi ventanni prima? Non era forse più normale e produttivo e opportuno creare un nuovo torso d’Adele, visto che la modella era disponibile o agevolmente accessibile? Il piacere e il godimento medesimo in lui sempre vivi di avere e ammirare sulla pedana davanti a lui il corpo prorompente della ancora ventenne Adele, non era forse la ricompensa maggiore anzi la gratificazione estetica sempre ricercata e attuale? Per questa ragione lo scrivente ritiene che il torso succitato individuato col numero S 6137 creato nel 1882 non corrisponda affatto a quello presentato nel 1899 a Bruxelles! E non sono certamente quei due/tre cm di lunghezza in più a modificare il presente stato di fatto. Tali discrasie e anacronismi -e di ciò si tratta- si riscontrano con frequenza ogni qualvolta ci si attarda nell’esame approfondito di qualche opera: è dunque, ribadiamo, inconcepibile che l’artista, che ha contatti perfino quotidiani con Anna e Adele, debba aver fatto ricorso ad un’opera di quasi ventanni prima, parecchio sfruttata, visivamente -si ammetta- non particolarmente appetibile al normale gusto del visitatore, pur se -così parrebbe- previamente mutata nelle dimensioni! Perciò, concludendo, il ‘Torso d’Adele’ presentato a Bruxelles e poi alle tre città olandesi non è certamente quello attualmente esposto al Museo Rodin! Non mi pare che la letteratura dia risposte attendibili al tema, laddove il sito web ufficiale del museo è muto completamente.
Da quanto più sopra, anche per gran parte delle opere famose e diventate classiche dell’artista, scaturisce a mio avviso che la conclusione ne è che la vera fonte di studio e di ammirazione, oltre agli elementi e fatti storici esteriori quando riscontrabili e leggibili, resta la linea delle forme, l’originalità della creazione quando non artefatta o manipolata. Al contrario l’esame dei contenuti, cioè dei personaggi, come regola falsati o attutiti a seguito delle fusioni, delle sistematiche riduzioni, dei calchi medesimi come pure, in aggiunta, l’assenza, frequente, degli interventi di rifiniture e di cesellature rendono la individuazione dei dettagli e dei lineamenti dei soggetti delle sculture se non precaria certamente non sicura. Il tipo di fusione in bronzo a sabbia impiegato, che è l’assoluta preponderanza, a differenza di quanto al contrario avrebbe permesso la fusione a cera persa, più rispettosa dei particolari, concorre palesamente a mio avviso a tale difficoltà della decifrazione delle fisionomie.
In questo frangente dell’individuazione e connotazione formali di certe opere particolari ci rendiamo conto perfettamente quanto labile e approssimata sia la periodizzazione del canone produttivo dell’artista, come abbiamo già lamentato: come regola non c’è data certa, non di rado perfino quando si perviene ad un punto di riferimento grazie per esempio a referenze incrociate o altrimenti: è da ritenere che la causa prima vada ricondotta alla inventiva incontrollabile dell’artista e alla sua insaziabilità produttiva nonché capacità di lavoro che, tra i tanti risultati e conseguenze, aveva anche quelli che l’opera originaria ne venisse fuori in tutto o in parte alterata e differenziata: a ciò si aggiunga, a fatica e tormento degli studiosi, la moltiplicazione quasi per giustapposizione delle creazioni, le modifiche e trasformazioni in corso d’opera, che accelerano e accrescono tale precarietà cronologica e connotativa. Crediamo perciò di aver fornito un sensibile contributo alla chiarezza e alla trasparenza introducendo sulla scena della storia la figura di Maria Antonia Amelia e individuando finalmente dei paletti di riferimento solidi e perentori per alcuni capolavori particolari dell’opera di Rodin fino ad oggi nel limbo della periodizzazione cioè per il ‘Torso di Maria’, per il ‘Torso di Adele’, per la ‘Prima o Grande Eva’, per le due versioni della ‘Donna Accovacciata’, e per la ‘Cariatide caduta che porta la pietra’.
Gli anni di cui ci stiamo occupando – i primi anni ’80 – sono gli anni cruciali nella esistenza dell’artista, arrivano i primi ordinativi importanti, sta principiando il lavoro di promozione della propria opera, specie a Londra, la precarietà sta per trovare fine. Quindi in questi anni 1882-83 e iniziando dal 1880, assieme agli altri lavori del momento, la Porta dell’Inferno, l’Adamo, l’Uomo che cammina in progetto, il San Giovanni Battista ormai terminato, l’idea dell’Eva, il Torso ed altro ancora, Rodin sta modellando per la ‘Porta dell’inferno’ il corpo di Maria Antonia Amelia quale ‘Donna Accovacciata’, numerosi busti ed altri ha in mente, il Pensatore, il Bacio, continua, in aggiunta, la collaborazione col Museo di Sèvres,…: in questi anni 82 e 83 per circa sei-sette mesi un gruppo di discepoli inglesi, George Kinloch, Pen Browning e Gustav Natorp, come abbiamo visto più sopra, assiste al suo lavoro e collocando la nascita della Grande Eva opportunamente al 1884, avviene che non poche vicende e i documenti fino ad oggi sconnessi e scollegati, adesso si incastrano perfettamente l’uno nell’altro: acquista attendibilità storica la storiella della modella sedotta, corrisponde al vero il gruppo di discepoli inglesi attorno all’artista in fervente operosità, è storia che nove mesi dopo Maria Antonia mette al mondo Mary Violet come abbiamo scoperto, ora comprendiamo alla perfezione – come mi informa un ben disponibile funzionario del Museo Rodin – il senso della lettera che lo scultore amico e mecenate inglese Gustav Natorp scrive a Rodin, sicuramente nel 1884 secondo detto funzionario, quando gli racconta, come abbiamo già ricordato, che sia lui sia il comune amico scultore Legros, si sono sbellicati dalle risa allorché hanno saputo del ‘gonfiamento di ventre’ della sua modella che ‘si è fatta pagare doppio’ e della conseguente interruzione del lavoro! Soprattutto finalmente e dopo oltre un secolo, si fa la conoscenza del ruolo esatto giocato dalle sorelle Adele e Anna e ancora di più, appare sulla scena quella che può essere ritenuta la donna baciata dal destino per venir considerata la modella regina dell’opera di Rodin!
Quel capolavoro dell’Iris, sul quale l’artista ha messo le mani insaziabili e incontentabili a più riprese, aggiungendo, togliendo, modificando, allargando, riducendo…evidenzia comunque, perché ne sono il ‘carattere’, tutti i presupposti, e non solo quelli cronologici, per ammirarvi il corpo formoso e sodo e soprattutto gli arti turgidi, poderosi e scattanti di Adele. Anche per quest’opera sono state spese migliaia di pagine e perciò invitiamo il lettore lui stesso a goderla personalmente ed esprimere quanto sente e percepisce, dopo aver appreso che la modella unica e vera è stata Adele Apruzzese.
Questo fatto del ’carattere’ di cui Rodin parla e indugia con l’amico critico Gsell, a proposito del brutto e del bello in arte, è quanto mi induce, invece, a soffermarmi sul corpo di Anna, altrettanto vigoroso e fiorente che quello di Adele e Maria Antonia, ma più riposante e dolce, più timido, non prorompente, con riferimento alla modella di Méditation in grandezza naturale. Ed è proprio questo aspetto non invadente e non procace del suo corpo che spinge a ritenere che possa essere stata accettata da Camille quale modella di Rodin negli anni 80 e quindi aver posato per certe opere di questo periodo: la Danae, Andromeda, la Faunessa. Inoltre la critica è concorde nel rintracciare il corpo di Anna nella ‘Toilette di Venere’ o ‘Risveglio’ e nella a mio avviso improvvidamente connotata ‘Cibele’ invece che la comunemente nota sin dall’inizio ‘Abbruzzesi seduta’. E’ certo che le due sorelle hanno posato per altre opere scultoree e anche per molti disegni e che i rapporti con l’artista, salvo cesure e interruzioni, in verità non si sono mai interrotti completamente. La ‘Faunessa Inginocchiata’ come la conosciamo oggi è anche essa a mio avviso la copia del corpo flessuoso e morbido di Anna e quella posizione con le braccia incrociate dietro il capo ritorna, forse a ricordo, in una foto del 1908 di Anna diretta all’artista. Qui ci si è soffermati esclusivamente e volutamente solo sulle opere primarie pertinenti il tema della nostra indagine ma è sicuro che il corpo delle sorelle Apruzzese è rinvenibile in tante delle opere risultanze di assemblaggi e di composizioni.
A questo punto, prima di occuparci di alcuni altri capolavori di Rodin, può essere di vantaggio e di utilità sforzarci di meglio e più da vicino mettere a fuoco le fisionomie delle tre sorelle Apruzzese, dopo che ne abbiamo fornito, a oltre cento anni di distanza, le coordinate anagrafiche. Oggi siamo in grado di poterlo fare in quanto, in aggiunta, abbiamo la disponibilità, e il vantaggio connesso, di almeno due elementi prima di oggi sconosciuti cioè il dipinto di G.Stevens già noto su cui abbiamo riferito che consente di fare la conoscenza del volto di Adele e, in seconda, abbiamo diverse immagini, pittoriche e maggiormente scultoree già note che George W.A.Kinloch Smyth, marito di Maria Antonia Amelia, ci ha lasciato della moglie, anche esse qui proposte per la prima volta, nonché i volti e il corpo delle due opere già citate di Pen Browning. Disponiamo poi, come terzo elemento identitario, della foto che Anna manda a Rodin non prima del 1908 -secondo l’indirizzo citato nella missiva- ha dunque 35 anni, che ne illustra il volto: l’esame delle tre fisionomie, per quanto possibile e consentito in un’opera d’arte, ci porta a convenire che i tre volti presentano una medesima conformazione facciale: sono tutti e tre sottili e sfumati e quasi triangolari, il corpo è come detto il medesimo nella struttura immediata: differente è la capigliatura: in Adele tenuta lunga e stesa, in Anna raccolta sulla nuca e in Maria Antonia in prevalenza arricciata ma anche distesa: queste peculiarità, di regola insignificanti per un artista, possono essere non determinanti ma certamente di soccorso per riconoscere, salvo espressioni particolari, un corpo sicuro alla ‘Donna accovacciata’ e alla ‘Toilette di Venere’ o ‘Risveglio’ e a ‘Cibele’ o ‘Abbruzzesi seduta’ citate.
Prima di continuare con il nostro lavoro si porrebbe anche la questione della lunghezza del rapporto delle tre modelle con Rodin, che pure ha un significato ovviamente. Abbiamo visto che per Maria Antonia Amelia fondamentalmente non si riscontrano difficoltà in quanto ad un certo momento del 1884 lascia la Francia col marito o futuro marito e raggiunge la nuova patria scozzese dove nel febbraio successivo metterà al mondo la prima figlia e dove, nel verde della campagna di Perth, condurrà la propria esistenza senza mai più tornare all’antica professione: è storicamente attendibile vederne la presenza nello studio già in una certa data del 1879-80, ha sedici anni, presentata verosimilmente da Pignatelli stesso come detto più sopra.
Di Adele si conosce poco: sappiamo che ad una certa data degli anni ’90 posa o si dondola davanti agli occhi ingordi dell’artista, come abbiamo ricordato in precedenza: alcuni osservatori ne affermano la presenza negli anni precedenti fino alla presa di posizione ostativa di Camille: mi sembra opportuno vederla a Meudon con la sorella a partire dalla rottura dell’artista con Camille e cioè nel 1893-94: ha diciassette-diciottanni: nell’archivio Rodin si trova una sua lettera all’artista datata 28 agosto 1897 in cui gli ricorda di essere ’la sua vecchia modella’ e che si trova da tempo nel Sud della Francia: si deduce che è passato del tempo e che deve aver abbandonato lo studio da qualche mese: sappiamo infatti che il quadro di Stevens citato è datato 1896 quindi a tale data la relazione con Rodin doveva durare, apparentemente, almeno da tre anni, anche se sappiamo bene che il rapporto continuerà, a seguito anche, di una certa vicenda capitata alla sorella Anna -vedi, tra le altre, la lettera di Rodin a Rochefort del gennaio 1902- e anche perché ricordiamo che A.M. Ludovici riferisce che verso il 1906 l’aveva vista in opera a Meudon: comunque fonti attendibili fino ad oggi non ne abbiamo.
Non possiamo escludere una presenza di Anna in periodi favorevoli, due o tre anni prima, in pieno idillio dunque Camille-Rodin, anni ’87-89 come più sopra accennato.
Prima di abbandonare le sorelle Apruzzese non posso non esprimere la mia delusione nel costatare quanto il sito ufficiale del Museo Rodin, malgrado il grande impegno e mezzi certamente profusi, evidenzi lacune estremamente imbarazzanti per il ricercatore: a parte le divergenze perfino frequenti nel fornire alcune informazioni, una sezione una cosa, un’altra una differente, a prova evidente che manca la visione generale che supervisiona e armonizza, quanto, a normale ricerca, mancano addirittura le opere: io personalmente ho avuto difficoltà e non ho rinvenuto ‘La cariatide caduta che porta la pietra’ né ‘Abbruzzesi distesa’, in inglese ’Abbruzzesi reclining’ né ‘Arianna’. Imbarazzante altresì e difficile a comprendere come mai il Museo Rodin abbia completamente trascurato il tema delle modelle e dei modelli così fondamentale e prioritario nell’arte e soprattutto nello spirito dell’artista e quindi non supporre la immagine del suo giovane e languido corpo nella ‘Danaide’ e nella ‘Andromeda’ già citate ma sicuramente nella ‘Faunessa inginocchiata’ nota che rivediamo illustrata nei ‘Fleurs du Mal’ (una edizione dell’opera celebre di Baudelaire del 1887-88) e nella immagine che Anna stessa invierà all’artista nel 1908 come ricordato più sopra. Ma è certo comunque che è anche lei inevitabilmente con Adele nel 1893-94 a Meudon davanti agli occhi scrutatori dell’artista che inizia anche a ritrarle entrambe nei suoi disegni: nella estate 1894 quindi circa un anno dopo, la incontriamo a Velletri dai suoi e qui a Roma, senza volerlo, inizia anche una vicenda sentimentale che la segnerà ma che allo stesso tempo renderà i suoi rapporti con Rodin ormai famoso e importante, più stretti ed amichevoli.
Ci dedichiamo ora a Cesidio Pignatelli nato anche lui a Gallinaro in Valcomino il 26 maggio 1846. Superate certe avventurose peripezie, toccò il suolo ambito di Parigi dopo un viaggio durato circa tre mesi, a piedi, spingendo un carretto con moglie e tre o quattro figli, suonando l’organetto per la strada e i figli e moglie ballando, come ci racconta qualche suo concittadino cronista. Una volta a Parigi fece capo a una di quelle stradine dove vivevano assiepati gli appartenenti alla numerosissima comunità gallinarese nelle viuzze fetide del rione Mouffetard o a quelle più frequentate da questa umanità ciociara di Montparnasse quali Rue Poinsot o Rue du Maine o Rue du Cange o Rue Delambre, all’epoca il simbolo della miseria e del degrado. Anche lui entrò facilmente nella cerchia e iniziò a fare il modello. Facciamo parlare Rodin, in grado di farci passare sotto gli occhi il primo incontro con Pignatelli come in una sequenza cinematografica: riportiamo da Dujardin-Beaumetz la conoscenza col “contadino degli Abruzzi”: “En le voyant, je fus saisi d’admiration; cet homme fruste, hirsute, exprimait dans son allure (…) toute la violence, mais aussi tout le caractère mystique de sa race. Je pensai immédiatement à un Saint Jean-Baptiste, c’est-à-dire à un homme de la nature, un illuminé, un croyant, un précurseur venu pour annoncer un plus grand que lui. Le paysan se déshabille, monte sur la table tournante comme s’il n’avait jamais posé ; il se campe, la tête relevée, le torse droit, portant à la fois sur les deux jambes, ouvertes comme un compas. Le mouvement était si juste, si caractérisé et si vrai que je m’écriai : « Mais c’est un homme qui marche! » Je résolus immédiatement de faire ce que j’avais vu”. “C’est ainsi que j’ai fait successivement l’Homme qui marche et le Saint Jean-Baptiste. Je n’ai fait que copier le modèle que l’hasard m’avait envoyé”. Era il 1878/79. Quindi il ‘San Giovanni Battista’ (alto 2 m) nelle varie edizioni e modificazioni, ‘l’Uomo che cammina’, un personaggio dei ‘Borghesi di Calais’, il ‘Conte Ugolino’, sicuramente altro. Non pare che ci siano a disposizione elementi documentali per provare che Pignatelli abbia posato anche per il ’Bacio’: pertanto è poco probabile che l’artista abbia lavorato a memoria o di immaginazione per la sua scultura intesa inizialmente per la Porta dell’Inferno: in realtà il contesto dell’epoca dell’artista e il ruolo imponente di Pignatelli nel suo studio lasciano ragionevolmente dedurre che il modello della prima versione de ‘Il Bacio’ sia stato lui, lo stesso dicasi per il ‘Pensatore’: inspiegabile e irragionevole sarebbe stato il contrario; anche se, specie in tali casi, l’assenza degli studi comparativi -nei casi presenti anche quelli più semplicemente documentali come detto- risulti particolarmente sensibile, la sola osservazione pur superficiale delle dita della mano e dei piedi come pure delle gambe – ferme le obbiezioni tipiche: mutilazioni, sostituzioni, ecc. – farebbero dedurre, a mio avviso, che la presenza del Pignatelli è perfino evidente: sono infatti le medesime del San Giovanni Battista e le gambe e i piedi confermano tale congettura salvo che per alcune prove posteriori. I rapporti con Rodin sappiamo che durarono a lungo, almeno fino al 1900 quando Matisse iniziò a frequentare lo studio dell’artista e lo vedeva in giro. Rodin, alquanto impacciato in contesti linguistici e glottologici, chiamava il suo modello ‘Puniatello’ o ’Piniatello’ o perfino ‘Bevilaqua’. Nelle sue memorie raccolte dal Dujardin-Beaumetz alla fine si congeda con un ritratto alquanto critico del suo vecchio modello, mettendone in risalto certi aspetti della sua personalità che parrebbe lo avessero colpito e cioè a suo dire una certa dose di ‘cattiveria’ e di perfino ‘ferocia’, tali da paragonarlo ad ‘un lupo’! Non entriamo nel merito di tali riflessioni del vecchio artista che abbiamo ritenuto doveroso riportare per corretto rispetto delle fonti. A tal proposito riportiamo anche un giudizio altrettanto netto di Gustave Moreau che lo ebbe modello per varie riprese ed opere all’incirca nel medesimo periodo, inizi anni ‘80: “magnifique et détestable modèle” anche ora restiamo nel dubbio: possiamo solo far presente, se a colpa o a discolpa, certamente non a giustificazione dei commenti dei due illustri artisti, che sia Cesidio sia la moglie erano totalmente analfabeti, per tutta la loro esistenza, e questa è pur sempre una sempre valida chiave esplicativa! Abbiamo ricordato che Pignatelli posò anche per Matisse e sappiamo che la relazione durò qualche anno: numerose sono le opere grafiche conservate ma fondamentale è la scultura ‘Le Serf’ per la quale posò nell’arco di alcuni anni. Ci arrestiamo qui con Cesidio Pignatelli che pur altre considerazioni meriterebbe: di lui però va chiarito che assieme ad Antonio Rossi nato nel 1849 (non il marito di Carmen qui appresso) e a Libero Nardone sono stati modelli pienamente professionisti, per tutta la vita, sia presso gli studi degli artisti sia presso le istituzioni, pubbliche e private: sono da ritenere le ultime più qualificate propaggini del fenomeno sociale del modello di artista nella storia dell’arte: con loro si chiude una parentesi, coincidente con la nascita del moderno. Libero Nardone ne è la fiaccola finale, l’ultimo dei modelli di artista e Pignatelli grazie a Rodin e all’opera di Matisse, il più celebre e il più famoso al mondo. Se si esclude la menzione che ne fa di entrambi la Signora Pinet, funzionaria del Museo Rodin, nel suo elenco dei modelli dell’artista, il Museo in effetti non conosce né Antonio Rossi né Libero Nardone, semplicemente non esistono; la cosa colpisce particolarmente in merito a Libero Nardone in quanto qualche voce di funzionaria esclude esplicitamente che possa aver posato per l’artista in quanto a suo dire non si rinvengono nell’archivio Rodin tracce documentarie (parlare di tracce documentarie in merito a Rodin è, come ben si sa, semplicemente perfino comico!?) e, in aggiunta, l’annotazione sorprendente sul famoso biglietto da visita consegnatogli da Bourdelle: admirable sarebbe – veramente quasi una perversione! – di mano di Bourdelle e non dell’artista! A tale proposito sarebbe istruttivo apprendere in base a quale recondita finalità si è proceduti a siffatta analisi grafologica, sempre ammessene le risultanze nonché la opportunità scientifica delle medesime! Libero Nardone era nato a Casalattico in Valcomino il 3 novembre 1867 e si spense a Villejuif di Parigi il 15 giugno 1961 a 94 anni. Ora siccome ha operato fino agli estremi della sua vita, tra le ultime esperienze ci fu quella molto rilevante e significativa con la scultrice Germaine Richier -ma anche altre successivamente- e prima ancora quella con Tamara de Lempicka e tante altre, allora qualche giornalista si incuriosì di questo oscuro vecchio personaggio regolarmente citato sia nei cataloghi sia nelle monografie anche della scultrice Richier in particolare, quindi fu un fiorire di interviste e di articoli, anche di fotografie sulla grande stampa e in Life Magazine del 23.3.1962, come registra uialche studioso,uno studioso, un’intera pagina dedicata a lui con la sua foto affianco a ‘Il Bacio’. E raccontò tutta la sua storia: per cinque mesi nel 1903 – già ricordare la data dopo oltre mezzo secolo è un miracolo! – aveva posato per Rodin a ‘Il Bacio’, che la modella era Carmela Caira alias Carmen, giunonica e provocante, già modella preferita di Whistler e poi di Matisse, incline all’assenzio e a comportamenti sessuali molto estroversi, oggetto anche lei delle attenzioni seduttive dell’insaziabile satiro; Rodin, va precisato, doveva conoscerla bene anche perché era moglie di Antonio Rossi suo collaboratore, che per suo conto aprì e gestì, per pochi mesi nel 1900, l’Académie Rodin a Boulevard du Montparnasse 132; Carmen era nata il 3 marzo 1867 a Gallinaro. E due o tre anni prima della morte Libero Nardone, intervistato da qualche giornalista, dichiarò quanto sopra e cioè che aveva posato per un volto di Balzac e con Carmen per ‘Il Bacio’ e, congetturiamo, deve trattarsi della creta o bozzetto della versione in marmo di Jacobsen del 1903 o di quella Warren 1904 pure in marmo, sole possibili! La voce della funzionaria museale di cui sopra informa e chiarisce: siccome l’opera ‘Balzac’ era stata conchiusa alcuni anni prima del 1903, allora la dichiarazione di Libero Nardone era erronea o menzognera, altrettanto la sua partecipazione a ‘Il Bacio’ per assenza di prove documentali o testimoniali!! E’ mai accettabile e comprensibile che Libero Nardone, per oltre settantanni professionista serio e morigerato, ricercato dagli artisti fino alla fine, arrivato alla estrema conclusione di una carriera lunghissima, possa aver sentito la necessità o il vantaggio della millanteria e della falsità e della vanagloria? E’ forse impensabile, come pure inattuabile che quella macchina instancabile e sempre presente a sé stessa quale era Rodin, a quell’epoca ormai quasi esclusivamente dedito solo agli affari, alla promozione delle sue opere, ai rapporti sociali più diversificati, alle sue donne che lo circondavano, alla modellazione di qualche ben pagato ritratto, non abbia potuto sentire il piacere artistico ed estetico e soprattutto il godimento di riprendere un masso di argilla o di qualche altro elemento e ripetere un volto di Balzac (ben si conosce quanti anni ed esperimenti e prove abbia dedicato l’artista a tale particolare soggetto!) o soprattutto di modellare una terra o una cera de ‘Il Bacio’ pur di avere davanti a lui in posa e di goderne la presenza, il corpo, il calore, perfino l’odore,di quelle due splendide creature di cui una eccezionalmente ‘admirable’ e l’altra una autentica giunone? Il solo escludere una tale possibilità significa non solo offendere la memoria dell’artista quanto disconoscerne la ricchissima personalità. Infine è alquanto a dir poco curioso se non perfino bizzarro invocare la mancanza documentale con riferimento alla datazione, o connotazione, delle creazioni delle opere di Rodin e ancora più bizzarro non riconoscere il giusto peso a una rara testimonianza autografa di un modello stesso!
Maria Caira sicuramente originaria di Atina anche in Valcomino alla fine degli anni ’80, vecchia cadente di oltre settantanni, posa per Rodin per un’opera di altissimo significato e suggestione: ’Quella che fu la bella moglie dell’elmettaio’citata si può considerare la sola opera dell’artista alla quale sottende un sottile e dibattuto significato che ha sovente fatto oggetto di disquisizioni a proposito del bello o del brutto nell’arte. E Rodin, nella sua conversazione con l’amico Gsell, in parole semplici e pragmatiche ma di maturità e saggezza fuori del comune, illustra e spiega che cosa in realtà è da intendersi veramente per brutto nell’arte e, per converso, che cosa per bello: un quarto di pagina caldamente raccomandabile al lettore.
Inspiegabile invece se non chiaramente imperdonabile il fatto che il Museo ignori anche Celestino Pesce allorché dovrebbe sapere, perché l’ha scritto Rodin stesso, che è lui il modello del ‘Balzac’ solenne e regale e inquietante, che si leva, oggi, imponente e solitario e maestoso a Vavin, incrocio di Bd Montparnasse con Bd Raspail di fronte alla ‘Rotonde’. Il testo della Signora Pinet riporta (pur ripetendo gli strafalcioni grafici di Rodin: Pecchi, Prechi) l’indicazione autografa di Balzac affianco al nome di Celestino. Sia rammentato che Celestino Pesce è il Padre di Rosalina, la modella che posò per Oscar Roty per la monetazione d’argento e poi sui francobolli e cioè per la ‘Semeuse’: Rosalina abitava ad Avenue du Maine e raccontava, ormai vecchia, ad un amico gallinarese, che ogni volta che passava a Vavin e vedeva la scultura del padre (non diceva: di Balzac!) il cuore le batteva forte nel petto. Tale comportamento, o tale situazione, che si registra nell’operato del Museo Rodin anche in merito a Celestino non trova spiegazioni da definire plausibili e riconosciute, senza menzionare il danno sensibile che si arreca allo studioso o al semplice curioso. Si sa che l’artista continuò a lavorare all’opera anche dopo il responso negativo della commissione committente in quanto era un personaggio che lo attirava e il volto sconvolgente in particolare, prima di soffermarsi su quello che oggi ammiriamo, fu il risultato anche esso di varie sofferte sperimentazioni. Questa opera in special modo rappresentò un unicum nella sua produzione, “il fulcro della mia estetica, la summa di una vita”: uno studioso che ne ha raccolto le parole così ha registrato: questa statua, Rodin disse, fu: “the result of a lifetime, the pivot of my aesthetic.”
Non trovo parole idonee per valutare l’assenza di Celestino nelle presentazioni della scultura da parte del Museo Rodin, come pure trovo perfino ingiurioso, dell’arte e del modello, che anche il Museo d’Orsay si comporti parimenti quando ne pubblica la scheda dell’esemplare ivi presente.
Rapporto singolare e amichevole ebbe Rodin con Marianna Mattiocco coniugata Russell nata a Cassino il 2 giugno 1865 che fu sua modella per alcuni busti personali in marmo o cera citati o anche in argento che mettono in risalto e tramandano la classicità e purezza dei suoi lineamenti e in altri ritratti di tema patriottico o mitologico: ‘Pallade Athena’ ‘Marianna’ ‘San Giorgio’ e altri ancora. A proposito di questa modella, particolarmente ammirata da Rodin si racconta che l’intesa tra i due arrivasse al punto che Marianna gli recitasse i versi della ’Divina Commedia’ in italiano mentre lui lavorava alla ’Porta dell’Inferno’. Morì a poco più di quarantanni ed è sepolta a Belle-Isle.
I modelli non hanno lasciato documenti o ragguagli sul loro lavoro: forse perché appunto un lavoro e una professione, non veniva di regola ritenuta valida da seguire con considerazioni: il loro mestiere era solo un mezzo per procacciarsi il proprio sostentamento, perciò come tale poco o niente affatto stimolante e allettante. A rendere tale realtà ancora più irreversibile si aggiunga che tutti o quasi tutti erano analfabeti e illetterati e tali rimasti per tutta la vita, salvo i pochi che a più stretto contatto con gli artisti hanno sentito la esigenza di imparare almeno a scrivere: se si leggono le lettere di Anna a Rodin, si è quasi presi dalla commozione nel costatare gli sforzi per esprimersi senza refusi. Se a ciò si aggiunge la quasi professionale ritrosia se non indifferenza degli artisti stessi verso i propri modelli, allora ben si comprende come questo mondo sia avvolto nelle tenebre più fitte. E quindi ben si comprende come non poche notizie nel presente intervento, sono state il risultato di inchieste anzi di vere e proprie indagini e investigazioni effettuate sui luoghi di origine dei modelli e, altresì, di brandelli di notizie che si sono riusciti a strappare letteralmente da parenti e congiunti di regola, si aggiunga, restii e talvolta perfino ostili: un’opera senza tema di esagerare di pura archeologia letteraria, di disseppellimento di reperti da un giacimento quale è quello rappresentato dai modelli ciociari. E qui ancora un grazie espresso in favore di Alberto Casale, più volte sindaco di Gallinaro, che mi è stato vicino e resi possibili gli incontri e i contatati. Invero in certe comunità ancora oggi certe professioni quali quelle esercitate dai modelli e dalle modelle, vengono percepite come moralmente riprovevoli, da qui reticenza e ritrosia, non di rado false informazioni. Di soccorso e di completamento a parte di tali indagini sono stati anche e soprattutto la passione e quasi lo spirito di campanile, più che le risultanze scientifiche vere e proprie, che hanno animato molti anni fa, per primo, le ingenue scoperte dei modelli di Gallinaro intraprese autonomamente dal maestro di scuola Antonio Bevilacqua anche di Gallinaro, vero ed autentico benemerito, che nelle pagine passate abbiamo ripetutamente ricordato, i cui congiunti, ed anche il padre, cantante e modello, erano stati tutti modelli di Rodin: Giovanni/Jean (1871-1968) e Domenico Bevilacqua (1878-1972) divenuto poi scultore lui stesso: non poche scarne e scarse informazioni raccolte e reperite nelle mie peregrinazioni hanno trovato in lui la loro conferma e completamento. Altro benemerito cronista, del quale in questo istante mi sfugge il nome, è stato un discendente del modello Gaetano Valvona di Picinisco. A tale proposito va anche aggiunto che ovviamente una componente informativa preziosa sono state le parole medesime degli interessati quando, raramente, riportate in qualche articolo di giornale o in qualche cronaca artistica. Al contrario la bibliografia scientifica su tale argomento è, se si escludono i due o tre pionieri (S.Waller, Jiminez/Banham, M.Lathers) oltremodo passiva, ripetitiva e convenzionale, cosa che risulta anche da quanto fin qui.
I modelli ciociari registrati nei carnets dell’artista o in altre fonti dell’archivio, da un calcolo sommario, e per difetto, sono almeno settanta nomi: il Museo ne registra tre o quattro e abbiamo visto con quale qualità ed esaustività. Tutti gli altri zero.
Cesidio Pignatelli grazie a Rodin e anche a Matisse e a Moreau da considerare il modello più conosciuto al mondo; Maria Antonia Apruzzese ha il privilegio di essere stata la prima modella di Rodin e grazie alle opere per le quali ha posato da ritenere la più rinomata; Adele ed Anna Apruzzese sono le prime modelle che hanno aperto all’artista il mondo del disegno da modello vivente mobile. E’ dalla esecuzione principalmente del San Giovanni Battista che Rodin iniziò a scoprire e a valorizzare le infinite possibilità connesse con le mutilazioni di arti e di membra.
© Michele Santulli
UNA NOTA SULLA CIOCIARIA
I due territori che costituiscono, oggi, le due province di FR e di LT due territori, il primo da Roma al fiume Liri, già possedimento dello Stato della Chiesa e il secondo tra fiume Liri e fiume Garigliano già Alta Terra di Lavoro, provincia del Regno di Napoli, più altri territori in provincia di Roma -in generale quelli a Sud di Tivoli e le località dei Monti Simbruini e dell’Alta Valle dell’Aniene- per molti secoli, non un anno o dieci o trenta, ma per più di cinquecento anni, hanno costituito una sola terra e una sola regione e un solo governo e un solo destino, senza ricordare il dato storico che essa fu anche la terra unitaria dei Volsci, degli Ernici, dei Sanniti, dei Latini. Il riordinamento amministrativo mussoliniano del 1927 accorpò l’Alta Terra di Lavoro più sopra individuata al territorio più sopra descritto appartenente allo Stato della Chiesa: il risultato fu la riunificazione di un territorio in realtà folkloricamente omogeneo ed uniforme e come ben si conosce la peculiarità folklorica rappresenta elementi qualificanti anche nella configurazione territoriale di una entità.
E la Ciociaria di cui stiamo parlando, è in effetti una realtà solo folklorica e quindi non geografica o amministrativa o politica o altro, il territorio in cui si vestiva un determinato tipo di abito e un determinato tipo di calzatura: dalla calzatura proviene il nome.
E lungo tutta la fascia sulla Via Appia, da Itri a Velletri alle pendici dunque degli Aurunci, degli Ausoni e dei Lepini, erano sostanzialmente ciociari perché in molta parte, e comunque le categorie ultime dei contadini, indossavano i medesimi abiti e portavano i medesimi calzari che qui, curiosamente, si chiamavano anche al maschile: cioci: la successiva immigrazione delle ultime decadi del 1700 proveniente dalla Valcomino e dal Cassinate non fece che consolidare soprattutto diffondere ancor più siffatte tipologie folkloriche. Ma più in generale le assonanze e consonanze sociali, storiche, economiche erano ancora più strette e antiche, risalenti ad epoche ancora più remote: la emigrazione fine settecentesca non fece che evidenziare ed allargare tali substrati già esistenti. In effetti il centro di irradiamento del costume ciociaro -che diede il nome alla regione- fu proprio l’Alta Terra di Lavoro ed esattamente la Valcomino -ved.più sotto- in particolare: fu da qui, da alcuni paesetti appollaiati sui monti che spinti dalla fame e dalla miseria e dall’incremento demografico, iniziò la emigrazione enorme verso la Campagna di Roma e verso Roma medesima. Un flusso non contingente o occasionale, ma continuo e permanente, che proseguì per almeno centocinquantanni. Emigrazione, parallelamente, incarnata non solo dai cosiddetti ‘bracciali’ o lavoratori giornalieri dell’agricoltura, gli ultimi della scala sociale, ma altresì dai girovaghi di professione: pifferari, cantastorie, venditori di fortuna, ammaestratori di cani e di scimmie, zampognari e anche intrecciatori di vimini, arrotini, sediari e piattari, verso l’Europa, i primi in Italia a mettere piede, in massa, in quelle regioni ove oggi vivono molte migliaia di loro successori e cioè in Iscozia, Londra, certe città della Germania e Parigi. Ma il fulcro umano fondamentale è verso alcune località della Campagna di Roma che si riversò e insediò: i Terellani si acquartierarono a Terracina dove ancora oggi nel medesimo quartiere vivono i discendenti, i Casalvieresi si insediarono a Sezze e a Velletri, i Settefratesi ad Anzio, quelli della Valcomino soprattutto da Gallinaro, San Donato, Casalvieri, in generale verso Velletri, stanziali o stagionali. Queste realtà storiche fanno parte ancora delle miniere inesplorate.
Ma gran parte anche come detto a Roma dove ad un certo punto già a partire dal 1840 circa, i forestieri e gli stranieri presenti cominciarono a non capire più chi fossero i veri abitanti, se cioè i ciociari o la umanità descritta da Pinelli. Certo è che l’8 dicembre 1854 allorché il Papa proclamò il dogma della Immacolata Concezione, il grande quadro appeso in San Pietro che doveva ricordare visivamente l’avvenimento, raffigurava solo ciociari quale popolazione di Roma.
Il Ciociaro dunque può parlare romano o napoletano o milanese o turco, può essere italiano o cinese, è tutto corretto: infatti nel nostro caso, è l’abito che fa il ciociaro e a rigore, non la lingua o il luogo di nascita o l’ambiente!
Latium ancora meglio Latium Adiectum o Latium Novum era il territorio fino al Liri e linea ideale fino a Terracina: già agli inizi del 1600 il termine non veniva più impiegato, infatti sulla cartografia dell’epoca (fine 1500-inizi 1600 e quindi anche nei secoli successivi) troviamo scritto nei cartigli: “Campagna di Roma olim Latium” sempre con riferimento all’ampia regione estesa fino al fiume Liri iniziando dalla riva sinistra del Tevere-Aniene: l’antico termine fu reintrodotto dopo il 1870 e esteso anche al di là del Tevere e al di là dell’Aniene fino a comprendere quei territori che una volta erano la Tuscia o Patrimonio di S. Pietro e la Sabina ed ora invece Viterbo e Rieti. Come ricordato più sopra fu il regime mussoliniano a conferire l’attuale conformazione fino all’incirca a Cassino-Garigliano e fino a Formia-Gaeta.
La pittura setteottocentesca descrive e tramanda: la maggior parte degli artisti europei dai più piccoli ai più grandi hanno dipinto donne ciociare o uomini ciociari. Tutti i modelli e modelle italiani presenti con enorme successo a Parigi e a Londra a cavallo tra Ottocento-Novecento erano unicamente ciociari e tutti indistintamente di Terra di Lavoro Settentrionale. Non faccio nomi: siano solo rammentati alcuni dei massimi: Manet, Corot, Degas, Cézanne, Van Gogh, Picasso, ecc. hanno dipinto il personaggio ciociaro nel suo costume. E questi abiti venivano indossati -è storia e scienza: artisti e Gregorovius- sia nella cosiddetta Campagna di Roma o Romana e sia nella zona settentrionale di Terra di Lavoro.
UNA NOTA SULLA VALCOMINO
L’aspetto curioso, si consenta la digressione, è che geograficamente e politicamente e amministrativamente tale territorio, la Valcomino o Valle di Comino, completamente isolato e racchiuso tra monti, al di là della antica Via Sferracavalli -costruita nel 1886 e che unisce Cassino con Sora- non esisteva, nessuno lo conosceva: quando dovevano individuare, per esempio, i personaggi originari di questi luoghi che migravano numerosi nelle città italiane con il piffero o ciaramella e la zampogna per le loro novene natalizie e pasquali, venivano individuati come abbruzzesi, cioè provenienti da luoghi montagnosi e innevati, noti solo ai gabellieri e ai mercanti di bimbi! E infatti solo nel 1911 il geografo Roberto Almagià parlò per primo della Valcomino e dei suoi Comuni e delle sue caratteristiche fisiche e la riportò letteralmente alla luce: contò dieci Comuni, escludendo S.Biagio Saracinisco e Cardito/Vallerotonda perché appollaiati su un sistema orografico diverso dagli Appennini e Preappennini, cioè sulle Mainarde: epperò le ragioni di comunanza dei dieci + due, siano esse sociali antropologiche storiche economiche, che l’illustre geografo certamente non poteva conoscere compiutamente perché, in effetti, non ancora storicizzate, sono talmente forti ed evidenti che non possiamo non portare quindi i comuni valligiani alla realtà di oggi e cioè a dodici comuni. Invero, sulla scorta dunque dei comuni destini e della identità sociale e naturale e geografica, sono le pendici molisane delle Mainarde che andrebbero aggiunte e cioè Filignano con le sue frazioni di Cerasuolo, Mennella, Mastrogiovanni… cosa che in realtà nel passato era già ritenuta e sentita una realtà acquisita e incontestata dal momento -in aggiunta a tanto altro- che quella antichissima strada che ne batte le estreme pendici iniziando da Pozzilli e arbitrariamente interrotta e fatta collegare poi con la Isernia-Sora, si chiamava e si chiama ancora oggi Via Atinense che se non ci fosse stata la stolta e immotivata e antistorica interruzione di cui sopra la Via Atinense avrebbe continuato a tenere assieme, quasi in un abbraccio -tutto il territorio e non solo le Mainarde molisane- da Filignano ad Atina!
Da questo territorio appartato e isolato (all’epoca Regno di Napoli), dal quale già alla fine del 1700 erano partiti, per fame e miseria e oppressione, i flussi migratori costanti e in incremento continuo verso le località delle Paludi Pontine e nelle Paludi mefitiche medesime (all’epoca Stato della Chiesa), in quantità anche verso Roma, e i più intraprendenti al di là delle Alpi, iniziò già verso il 1855 il moto migratorio verso Parigi, inizialmente solo giovani ed adolescenti, allettati soprattutto, certamente non finalizzati, dalle possibilità del rapporto con gli artisti, vista la esperienza acquisita e appresa, anche per passaparola, a Roma negli anni precedenti. E già dal 1865/75 questo flusso specie verso Parigi cominciò ad essere costituito non più da singoli ma da intieri nuclei familiari e la finalità, inizialmente e occasionalmente, ormai acclarata al rapporto con gli artisti. E il luogo di origine principale di tali movimenti migratori diciamo artistici era un paesello al centro della Valcomino a 500 metri di altitudine, la vera e propria Giverny dei modelli di artista, la Pont Aven della bellezza, l’olimpo autentico dei modelli di artista e cioè Gallinaro, oggi in condizioni urbanistiche e ambientali e sociali tali che ben spiegano e motivano e illustrano la totale inconsapevolezza e assenza rispetto a tale vero e proprio giacimento. Località da dove partirono altre famiglie ma questa volta quasi specificatamente dirette verso Londra -e non solo verso l’avventura artistica- e molto meno verso Berlino e Duesseldof, furono Picinisco e certe sue frazioni, e Atina. E quindi a Londra già a Piccadilly, l’Eros o tale, che si leva al centro della fontana è il corpo di un adolescente originario di Picinisco, mentre alle spalle si trova -o si trovava- il quartiere generale di Charles Forte da Casalattico, come si sa, non modello bensì imprenditore. A Hyde Park svetta nell’aria la scultura equestre ‘Physical Energy’ di famoso scultore inglese per la quale posò Domenico Mancini pure di Picinisco. Se si entra al Museo Tate si ammira il celeberrimo ‘Sluggard’ di Leighton: esso è il corpo apollineo di Gaetano Valvona pure di Picinisco, mentre in altro museo inglese si ammira un’altra celeberrima scultura dello stesso scultore dal titolo ‘Atleta che lotta col pitone’ per la quale posò Angelo Colarossi pure di Picinisco, il più ricercato e apprezzato modello dell’epoca a Londra. E cos’altro ancora! Per più esaustive notizie sul tema rinvio al mio: ‘MODELLE E MODELLI CIOCIARI A ROMA, PARIGI E LONDRA 1800-1900’.
LE QUATTRO SORELLE
E’ inaudito quanto a volte la Storia tramanda. In effetti le sorelle Apruzzese, modelle, non erano tre perché prima ancora di loro, ne registriamo una quarta, Maria Pasqua, venuta al mondo da genitori estremamente prolifici otto anni prima di Maria Antonia, il 22.3.1856, anche lei, incredibile, modella, ma già dalla tenera età di sei anni, a Roma, all’Accademia di Francia. Il padre, Domenico, giovane svelto e sveglio, ben capì in quel particolare frangente della Storia le possibilità di guadagno grazie alla bimba e decise di trasferirsi nella patria degli artisti, a Parigi, lasciando moglie e figli a Gallinaro. E così avvenne. Si immagini questo padre che col tamburello o l’organetto stimola la bimbetta, nel suo costume ciociaro e con le cioce ai piedi, a ballare per le strade di Parigi. E arrivano gli artisti, veramente a frotte, quasi calamitati dal magnifico visino e dal bel costume che il padre si preoccupava di tenere ben curato e pulito. Si può esser certi che tutte le bimbe ciociarelle del periodo 1861-65 all’incirca ritratte dagli artisti a Parigi specialmente, raffigurano Maria Pasqua. Jalabert ha lasciato qualche bel ritratto, più di uno Bonnat, anche Hébert più di una volta e chissà quanti altri. Una nobildonna inglese si invaghì della bimbetta notata per le strade di Parigi, la comprò letteralmente dal padre a guisa di un pollo o di un capretto e in cambio di due borse di monete d’oro, Domenico vendette Maria Pasqua: la nobildonna ne ebbe grande cura, la educò, la rese una aristocratica e poi a tempo opportuno la maritò a nobiluomo inglese col quale trascorse la sua esistenza spensierata: mai, però, dimentica, incredibile che possa sembrare, della sua esperienza di modella a Parigi e mai dimentica del suo paesino -ne dimenticò il nome!- dal quale quasi a 360 gradi si ammirava tutta la vallata e le montagne innevate dell’Abruzzo nelle rigide giornate invernali, secondo le memorie raccolte e poi pubblicate da una sua pronipote.
Quindi avvenne che nel medesimo periodo Maria Pasqua nel centro dell’Inghilterra e Maria Antonia in Iscozia trascorsero la loro esistenza tranquilla, senza però che conoscessero l’una della presenza dell’altra! Sicuramente nemmeno si conoscevano! Il padre Domenico nulla aveva raccontato del suo commercio con la nobildonna londinese e tantomeno qualcosa della esistenza di Maria Pasqua!
G.Stevens: Adele e la cariatide che porta la pietra. Asta pubblica
Robert W. Browning, Before a Mirror, 1887,209,5×129. Asta pubblica.
George Kinloch-Smyth, Maria Antonia. Collezione priv.
© Michele Santulli