Proseguiamo la nostra cronaca dei vincoli e relazioni unici e inimmaginabili tra Roma e la Ciociaria, a gratificazione e ad acculturamento. Nel corso del 1800 si registra un terzo momento di apoteosi della Ciociaria cioè quello che possiamo definire la ciociarizzazione di Roma: il termine si spiega da solo. Non si spiega invece perché questa pagina gloriosa sia completamente ignorata, quasi strappata via dal libro della Storia, da tutti.
I ciociari sono stati parte primaria e integrante di Roma sin dagli inizi della storia: uno studioso ha scritto felicemente: ‘sono stati complementari l’uno dell’altro’. Dalla metà circa del 1700 inizia a registrarsi una realtà nuova e mai vista di tali proporzioni cioè una invasione vera e propria di umanità sia dai territori napoletani di Alta Terra di Lavoro (Valcomino, Cassinate, Sorano) sia da località papali (Boville, Veroli, Morolo, Monte S.Giov.Campano, Strangolagalli, ecc.) che si disperde nelle Paludi Pontine e nelle località sia marittime sia montane della Ciociaria pontina: Terracina, Anzio, Sezze, Sonnnino, Cisterna, Velletri… E poi il traguardo ambito e ancestrale, Roma, a migliaia, un flusso continuo e permanente, a ingrossare le presenze esistenti. Gradualmente diventano parte integrante del tessuto connettivo della società romana per quanto riguarda certi aspetti particolari della quotidianità, specie con riferimento alle donne: le domestiche, le balie, le lavandaie, le donne di fatica, le stiratrici, le filatrici e poi quelle invece diciamo, sociali: la chiromante, la indovina, la ballerina, la fioraia, la venditrice di ortaggi, la cameriera nelle innumerevoli trattorie, la mendicante, la suonatrice di organetto, la rigattiera, la modella. Un universo colorato e multicolore che ruotava attorno a Piazza di Spagna, a Piazza Fontana di Trevi, a Piazza Barberini, a Piazza Farnese, alla gloriosa e ora scomparsa Piazza Montanara, luoghi in ogni momento dell’anno affollati di pellegrini, di artisti e di viaggiatori.
Le cronache registrano che a quest’epoca, siamo nella prima metà del 1800, la popolazione della Caput Mundi era di poche decine di migliaia di abitanti, tutti assiepati nell’ansa del Tevere e dall’altra parte del fiume: almeno diecimila erano i ciociari, in continuo incremento. Se si riflette un istante a quante unità potesse ammontare il clero, a quante quelli che vi ruotavano attorno, a quante le famiglie nobili, che gli Ebrei chiusi nel ghetto erano almeno 5000, se si pensa a quanta parte degli abitanti dipendeva sia dal clero sia dai nobili, allora si può ben comprendere che la popolazione di Roma vera e propria, quella originaria, che costituisce cioè il nucleo di una comunità, quella per intenderci descrittaci dal Pinelli, era ben poca cosa numericamente, qualche decina di migliaia come detto. Prorompente e imponente era al contrario la presenza dei ciociari, ancora più visibile grazie agli abiti sgargianti e agli strani calzari. E questo fenomeno così significativo, quasi rivoluzionario, la ciociarizzazione di Roma, fu già rilevato e riconosciuto nelle alte sfere della gerarchia come fatto compiuto: infatti nel 1854 allorchè l’8 dicembre fu proclamato da Pio IX il Dogma della Immacolata Concezione, nel quadro commemorativo dell’avvenimento, oggi sempre appeso nei Musei Vaticani, la popolazione di Roma era rappresentata solo da ciociari. E nella segreteria di Pio IX, il papa dell’epoca, siedevano quasi tutti cardinali ciociari, di Ceccano, di Gorga, di Anagni, di Santopadre, di Sonnino con palese disdegno dei Gesuiti di ‘Civiltà Cattolica’ avverso i ‘cardinali ciociari’ che secondo loro erano l’anima nera del papa. E sempre in quest’epoca circolava nel Piemonte una stampa in cui una bella donna con la corona in testa, l’Italia, ormai unita, chiedeva al re di affrettarsi a liberare Roma e così completare la unificazione: e Roma, in questa immagine, era raffigurata da una ciociara con i segni papali! E allorché Roma fu ‘liberata’, perfino sulla stampa americana apparve in prima pagina una immagine in cui si vedeva Roma, impersonata da una nobildonna, che salutava con una mano il bersagliere liberatore e con l’altra il ciociaro liberato suo abitante. E nel Museo del Risorgimento di Milano si ammirano due grossi quadri commemorativi della liberazione di Roma in cui i due artisti (di cui uno Enrico Gamba) illustrano l’Italia che abbraccia Roma ormai liberata, raffigurata sotto le spoglie di una avvenente ciociara. E sempre in questo periodo turbolento anche per Roma, 1845/60, il grande pittore Gerolamo Induno immagina in un suo splendido quadro un laboratorio a Roma dove tre o quattro donne stanno confezionando le bandiere della insurrezione: e le sarte cucitrici sono tutte ciociare nei loro magnifici costumi. E qualche anno più tardi il Carducci al cospetto della devastazione immobiliare della Roma antica che cadeva ogni giorno a pezzi sotto il piccone profanatore, non solo si scagliò con veemenza contro gli autori di tale mostruoso scempio quanto apostrofò in malo modo pure la popolazione che assisteva indifferente e ignava a tale spettacolo di annientamento: e anche per Carducci il popolo romano era rappresentato dal ciociaro che “nella folta barba passa e non guarda…”. E pochi anni fa Alberto Moravia, sempre innamorato di Roma antica, in un articolo sul ‘Corriere della Sera’ scriveva (cito a memoria) : “Roma nel 1800 rappresenta un caso unico nella storia delle grandi città poiché anziché essere stata essa stessa a condizionare e a dare la sua impronta a tutto il suo territorio circostante, come è la normalità, è stata in questo caso, al contrario, la campagna che ha imposto la propria impronta alla città!” E la campagna è solo ed unicamente la presenza ciociara attiva sia nell’Agro che soprattutto nell’Urbe.
Continueremo in un prossimo intervento a documentare con altri fatti la ’ciociarizzazione’ di Roma nel 1800, questo episodio di fratellanza e di consanguineità unico nella storia, con l’intendimento di informare prima e di sensibilizzare dopo, tutti gli addetti ai lavori, affinché tale pagina della Storia venga liberata dalla polvere e fatta rivivere. Anche con riguardo a questo particolare momento della fine delle province e dell’accorpamento auspicabile e storicamente ineccepibile e perfino naturale, della Ciociaria con Roma metropolitana.
Michele Santulli