Rosalina, a Parigi, raccontava che ogni qualvolta aveva occasione di passare all’incrocio Vavin, le veniva un tuffo al cuore nell’imbattersi nella scultura di Balzac che lì si leva, solitaria e imponente.
E grazie alle parole di Rosalina noi possiamo fare la conoscenza di due personaggi che, pur nella loro umiltà e modestia originarie, rappresentano a loro modo una autentica componente della storia della Francia e non solo. Rosalina Pesce infatti -queste sono le sue generalità- è la ‘petite italienne’ che ebbe la ventura di divenire la ‘Semeuse’ ‘La seminatrice’, il simbolo caro al mondo francofono, apparso sulle monete d’argento e sui francobolli francesi per molti anni e oggi sull’Euro: non c’è cittadino di lingua francese nel mondo che non conosca ‘la semeuse’: è come dire la Bastiglia, la Marsigliese, la Rivoluzione…E perché, Rosalina, si commuoveva ogni qualvolta aveva occasione di passare davanti alla statua di Balzac a Vavin, all’incrocio gigantesco di Boulevard du Montparnasse col Boulevard Raspail? E qui si innesta una di quelle storie incredibili che investono non di rado la figura del modello ciociaro a contatto con gli artisti e che qui abbiamo occasione di illustrare compiutamente, per la prima volta.
Rosalina coi propri genitori e coi propri nonni emigra a Parigi all’età di pochi mesi nel 1885 e qui trovano ricovero alla Rue Poinsot 10, una delle povere vie parigine di Montparnasse dove si assiepavano in gran parte gli immigrati ciociari provenienti dalla Valcomino. Il padre di Rosalina si chiama Celestino e il nonno, padre di Celestino, Serafino. Iniziano anche loro quell’attività di modelli che, molto richiesta a quell’epoca a Parigi, stranamente era si può dire divenuta quasi monopolio degli originari di un solo paesino della Valcomino in Ciociaria, Gallinaro, assurta a una specie di Pont-Aven, di una Giverny delle modelle e dei modelli di artista. Celestino dunque inizia a fare il modello, particolarmente apprezzato per le sue doti. Non sappiamo quando inizia a posare per Rodin, certo è che nel 1891 l’artista riceve la commissione dalla società degli scrittori parigini di cui era presidente Emilio Zola, per la realizzazione di una statua in onore di Balzac del quale stavano per ricorrere i cinquantanni dalla morte. L’ordinativo è del più alto prestigio, visto che Balzac era considerato il più grande degli scrittori. Rodin inizia col massimo impegno le sue ricerche e studi e approfondimenti sul personaggio, la sua vita, la sua vera immagine, i documenti ma dopo i diciotto mesi contrattuali per la consegna dei bozzetti definitivi, egli nulla ha preparato. Si prende altro tempo, numerosi tentativi di bozzetti e progetti vengono creati ma nessuno soddisfa l’artista. Invero sempre più impellente e coartante matura in lui la convinzione secondo la quale è la genialità dell’artista a dover essere soprattutto sottolineata ed evidenziata piuttosto che la mera somiglianza dei lineamenti e sembianti. Ed ecco che dopo sette lunghi anni di vera e propria penitenza, Rodin è in grado finalmente di esibire pubblicamente il suo progetto e la sua proposta attraverso un bozzetto in gesso in grandezza naturale: lo scrittore viene mostrato avvolto nell’abito domenicano col quale amava ricoprirsi allorché seduto alla scrivania a lavorare, eretto maestosamente col petto in fuori, il volto appassionato ed ispirato, le chiome quasi una criniera leonina al vento, gli occhi immensi sperduti nelle occhiaie profonde che guardano folgoranti in basso, alla umanità… Una rappresentazione anni luce lontana dalla produzione scultorea tradizionale e scolastica del tempo, perciò un vero pugno allo stomaco, come aveva già iniziato Daumier, come aveva teorizzato Medardo Rosso il quale, si racconta, si sentì defraudato da Rodin nella resa di quella espressione così stringente e calzante e serrata di cui si riteneva il solo iniziatore. Un’opera dunque moderna, proiettata nel futuro, comprensibile solo a pochi addetti perciò anacronistica in quel momento storico segnato dalla convenzione e dal conformismo e dalla retorica. E infatti la società committente non accettò l’opera e la rigettò perché non vi riconobbe Balzac, parimenti il pubblico e gran parte della stampa si gettarono addosso con le critiche anche più ingiuriose: al contrario, perfino entusiasti i giudizi e pareri di Monet, di Cézanne principalmente, di Degas, di Toulouse-Lautrec, degli altri artisti e degli scrittori e dei collezionisti. Sebbene da molte parti venisse l’offerta di acquistare l’opera, Rodin non poco amareggiato rifiutò, restituì la caparra avuta e si tenne l’opera la quale fu fusa in bronzo ventanni dopo la sua morte, nel 1939, e qui collocata.
E ora possiamo informare che il modello di questo sconvolgente capolavoro nel quale pare di riconoscere la figura dantesca di Farinata degli Uberti che si erge dispettosa dalla tomba, fu Celestino Pesce, il padre di Rosalina, la Seminatrice dei Francesi. Quindi, per tornare all’inizio, ecco la ragione per cui Rosalina si commuoveva nel guardare la scultura ogni qualvolta aveva occasione di passarvi vicino: era il volto del padre quello della scultura e non di Balzac! E sebbene tale fatto trovi la sua documentazione probante non solo dunque nei ricordi di Rosalina ma anche nello scultore stesso che nella sua agenda affianco al nome del modello, Celestin Pecchi -Rodin storpiava i nomi di regola- ne riportava l’indirizzo già citato e la propria aggiunta anche autografa: Balzac! malgrado tutto questo, il nome di Celestino Pesce quale modello ispiratore della fisionomia dello stupefacente capolavoro che si leva maestoso e stizzito e solitario all’incrocio Montparnasse-Raspail, è sistematicamente ignorato e sconosciuto, non solo dal Museo Rodin ma da tutte le istituzioni detentrici di opere dell’artista e da tutti gli studiosi e ricercatori che si occupano del fiero prodigioso Balzac di Vavin.
Michele Santulli