La presente nota solo per dare una notizia e non per presentare il personaggio, che ben altri interventi merita. Un grande ciociaro ci ha lasciato, alla chetichella, in silenzio, il 4 febbraio scorso. Naturalmente qui da noi le istituzioni, sempre attive e presenti quando si tratta di avvenimenti di un certo tipo, confermano la propria ignavia e la propria insensibilità quando invece si tratta di certi personaggi: infatti Anacleto Verrecchia era un filosofo, un germanista, uno scrittore, un giornalista, uno squisito traduttore, unanimamente stimato e considerato, e perciò materia indigesta rispetto a quanto viene ammannito qui da noi regolarmente o quasi.
Anacleto Verrecchia era un ciociaro di Vallerotonda dove era nato il 15 settembre 1926 e che in giovane età nel dopo guerra -la madre morì sotto le bombe alleate a Cassino- troviamo a Torino. Spirito libero, critico, indipendente. Riuscì con notevole impegno a portare a termine la carriera scolastica laureandosi in Germanistica alla Università di Torino, dopo aver svolto diversi mestieri per mantenersi. Dopo lunghi soggiorni nella amata Germania, tornò a Torino e dopo qualche anno di insegnamento che, pur con rammarico, abbandonò per contrasti con presidi e ministero, partecipò ad un concorso in diplomazia e, superatolo, passò all’ambasciata d’Italia a Vienna come addetto culturale. Molta parte della sua esistenza è qui che fu trascorsa, un periodo felice che egli ricorderà in particolare, in due libri di memorie e di esperienze: “Vagabondaggi culturali”. Il Danubio maestoso, i parchi, le lunghe passeggiate nella natura circostante. Quella, tra le esperienze, più memorabile fu senza dubbio la relazione e il rapporto che ebbe con il celebre filosofo, zoologo e etologo Konrad Lorenz (1903-1989) nel quale trovò la conferma scientifica e l’affermazione di certe vicende e conclusioni alle quali era pervenuto in gioventù allorché ebbe la ventura di risiedere nel parco del Gran Paradiso e cioè non tanto e non solo l’amore verso le piante e gli animali quanto la conferma che gli animali e gli uomini traggono la loro origine da una materia comune, come aveva già visto Giordano Bruno e poi Schopenhauer e poi Nietzsche, Darwin, e cioè tra animali e uomini c’è solo la rozzezza e la ignoranza umane che inducono a ritenere che queste creature siano prive di coscienza e perfino di certe forme di intelletto ma soprattutto della capacità di amare e di soffrire. E si ritorna sempre alla origine, alle convinzioni errate e false, ai dogmatismi impressi nella mente già da bambini dall’ambiente e da un certo tipo di scolarizzazione che viene inculcata e che ‘concresce’ dice Verrecchia e diventa quasi una componente fisica, quindi ardua a scalfire e a cambiare e quindi si spiegano tutte le aberrazioni, crudeltà e ferocia, sovente inconsapevoli e perfino meccaniche, di cui facciamo segno i poveri animali. “….vivisezione, che per me è un crimine orrendo. L’uomo, l’uomo: ma dove sta scritto che l’uomo abbia più diritto a vivere del cane o dello stambecco?”. “L’uomo è una specie di stecca nel grande concerto della natura”.
I titoli della sua bibliografia sono centinaia, consistenti sia in libri sia in articoli, saggi, relazioni, scritti per i grandi giornali italiani e anche alcuni tedeschi. La sua natura indipendente e quindi non molto accomodante, scevra da compromessi e da cerchiobottismi, la passione grande per le proprie idee e convinzioni maturate nello studio di certi autori e nel contatto con la natura, ci ricorda molto altri grandi ciociari quali Tommaso Landolfi e Antonio Labriola e Libero de Libero, coi quali ha in comune anche curiosamente una permanente ricerca linguistica e una altrettanto permanente vena satirica e ironica e comunanza di pensieri e di atteggiamenti. Ha scritto opere fondamentali su alcuni artisti particolarmente amati quali Lichtenberg, Schopenhauer, Giordano Bruno e altri contributi di alto spessore scientifico su S.Agostino, su Nietzsche, su Prezzolini. Apprezzatissime le sue traduzioni degli “Aforismi sulla saggezza della vita” di Schopenhauer e delle opere di Lichtenberg.
Un personaggio anche lui dunque difficile, spigoloso, devoto all’insegnamento di Cristo: sì sì, no no e quindi di necessità critico e pungente nei confronti dell’opera e dell’ammaestramento di quelli che si ritengono suoi seguaci in genere, la cui sostanza dottrinaria necessariamente, essendo lontana da tale insegnamento, sfocia nel fanatismo e nel fondamentalismo e quindi l’irretimento delle menti e delle coscienze e quindi la condanna di Giordano Bruno, di Galilei e di migliaia di altri, bruciati e suppliziati solo perché di pensiero differente, con tutto quello che segue.
Ora che l’emergenza neve va addolcendosi, che chi di dovere, maggiormente la Scuola, colga l’occasione della morte di Anacleto Verrecchia per commemorarlo e quindi ricordarne la figura e l’opera.
Michele Santulli