IL COSTUME CIOCIARO

 

Bisogna immaginare la situazione sociale quale poteva essere verso la metà del 1700 a Roma. Su un lato di questo palcoscenico eccezionale incontriamo i pellegrini provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa, da secoli, a migliaia, ogni giorno e, affianco, i visitatori, anzi i ‘touristi’,quasi esclusivamente europei, all’inizio soprattutto inglesi, rappresentati da artisti di tutte le discipline, da intellettuali, da aristocratici e da nobili, da mercanti d’arte, alla ricerca delle antichità classiche, del cielo italiano, dell’atmosfera antica. Migliaia e migliaia che sciamavano verso Roma, in un viaggio estenuante e pieno di pericoli, a cavallo o in carrozza e i meno fortunati a piedi, alcuni via mare. Gli uni, i pellegrini, ansiosi di svuotarsi e liberarsi, anche in cambio di soldi, dei loro peccati e delle loro colpe e gli altri, i ‘touristi’, ansiosi di liberarsi delle esperienze fatte e delle vicende vissute in patria e quindi avidi di aprirsi e di gustare nuove prospettive e nuovi mondi e di respirare arie nuove. Su un lato dunque i pellegrini e i visitatori e sull’altro lato del palcoscenico il popolino romano e quindi il mondo dei preti e delle monache e poi, un’isola a parte, prorompente e imponente nei suoi colori e nei suoi costumi, la presenza dei ciociari, ivi immigrati spinti dalla fame e dalla miseria. Roma, infatti, già a partire dalla metà del 1700, rigurgitava di ciociari e di ciociare che vi svolgevano le professioni più impensate: venditrici di ortaggi e di alimentari, pastori in mezzo alle rovine romane, il capraro che vende latte, indovine, cartomanti, venditrici di fiori e di fiammiferi nei luoghi turistici, ballerine e cameriere nelle trattorie e caffè, modelle e modelli, venditori di fortuna con la scimmia e/o il pappagallo, rigattiere, le professioni domestiche, in particolare quella della balia e poi naturalmente, gli zampognari e i pifferari. Tutta una umanità sgargiante nei costumi indossati che si imponeva ed evidenziava su quella ribalta unica al mondo che era Roma. E gli artisti stranieri, ve ne erano di tutte le parti dell’Europa perfino della lontana Russia e della Scandinavia, imbevuti delle loro reminiscenze classiche, al cospetto di quel mondo irripetibile che era Roma, tornavano a nuova vita, a nuove sensazioni e turbamenti. E uno degli spettacoli che più eccitava la loro fantasia e più li ammaliava ed incantava era la presenza ciociara in mezzo alla folla amorfa e incolore che rigurgitava in giro: quei costumi sfolgoranti nei loro rossi sfarzosi, nei loro azzurri sfavillanti, nei loro verdi scintillanti, quelle calzature così strane eppure così note, quelle carni brune e levigate, quegli occhi neri luccicanti delle donne, quelle capigliature ricciute e ispide degli uomini, quelle fisionomie riarse dal sole e solcate dalla fatica, questa umanità rappresentò per gli artisti e intellettuali stranieri la vera e grande scoperta del loro viaggio e altresì, nella loro fantasia, la rivisitazione del mondo agreste classico, romano e greco; questa che vedevano in giro sfolgorante e smagliante era per loro la autentica popolazione di Roma. I romani erano i ciociari. E così fu per tutto il secolo a venire.

 

E quindi a poco a poco iniziò e si instaurò un rapporto e una intesa che durarono almeno centocinquantanni. Il costume ciociaro si evolve e acquisisce la sua conformazione ben nota, che è tipica ed unica solo di questo costume. Voglio dire, più semplicemente, che il costume ciociaro, quale si conosce attraverso la produzione pittorica setteottocentesca, acquista la sua fisionomia e le sue particolarità solo e unicamente a seguito del lungo e fruttuoso rapporto con gli artisti stranieri nella Città Eterna. E’ in questa relazione -che tra l’altro per non pochi poveri ciociari rappresentò anche una comoda fonte di sostentamento- che il costume ciociaro -nonché le calzature- acquisisce quell’aspetto di armonia e di eleganza, di semplicità, perfino di spartanità tali da indurre qualche raro studioso che se ne è occupato (Gregorovius, Amy A. Bernardy) a definirlo perfino “classico” e tale da essere divenuto, come detto, il costume di Roma e il costume d’Italia. E quindi ora le cioce avranno la loro fisionomia che le rende uniche e tipiche, certe caratteristiche dell’abbigliamento quali già viste dal Gregorovius sono ormai consolidate e cioè il cappello a cono per gli uomini, il busto per le donne e tutto resterà tale, immutato, tanto vivo e attuale era ancora l’interesse ed il piacere che esso risvegliava e quindi l’interesse dei ciociari a preservarlo dalle mode invadenti, divenuto con gli anni anche un vero e proprio strumento di lavoro. Infatti il costume ciociaro quale fin qui individuato, diversamente da tutti gli altri costumi regionali italiani o europei, non è oggetto di quelle differenziazioni che caratterizzano, invece, tutti gli altri costumi e cioè il costume di festa e il costume quotidiano, il costume dei ricchi e quello dei poveri, il costume di quella località e quello di un’altra, il costume della nubile e quello della coniugata: il costume ciociaro è “classico proprio perché questa distinzione non lo riguarda”, è uno e solo. A Roma il costume restò immutato e immobile nella sua conformazione “classica” ormai acquisita e consolidata, passando perciò volutamente indenne attraverso i mutamenti e i condizionamenti imposti dai molteplici fattori esterni e tale si conservò nella sua sostanza fino agli anni ‘20 e oltre del XX secolo allorché le nuove contingenze storiche e politiche mal tolleravano questi residui sociali di situazioni e fatti che andavano dimenticati e soppiantati dalle nuove ideologie e modi di pensare.

 

Il costume ciociaro è stato letteralmente eternato da una produzione pittorica semplicemente immensa e quindi, a buon intenditore, la sua immagine è perfettamente chiara ed esaustiva: non c’è alcun costume regionale al mondo che disponga di una documentazione così eccezionale come il costume ciociaro. Nessun costume nemmeno quelli più conosciuti quale il brettone o l’olandese o il tirolese o il bavarese o lo scozzese può vantare una documentazione iconografica così ricca e così variegata come quello ciociaro e per di più, in uno spettro temporale di oltre centocinquantanni.

Sono pochi gli artisti europei tra fine 1700 e inizi 1900 che non abbiano realizzato almeno un’opera con un personaggio ciociaro. Già tale costatazione è fonte di vero e proprio sconvolgimento poiché una realtà analoga non è riscontrabile in siffatta entità in nessuna epoca della Storia dell’Arte e per nessun soggetto, se si escludono i Cristi e le Madonne. Mi limito solo alla crema che mi viene a mente, a caso: H.Robert, H.Vernet, Ducros, L.L.Robert, Géricault, Giac.Gigante, Pitloo, Schedrin, Boecklin, Feuerbach, Fries, Oemichen, C.Haag, Unterberger, Romako, Corot, Degas, Renoir, T.Signorini, Fattori, Lega, Hayez, A.Mancini, Fontanesi, Brjiullov, A.J.Strutt, Eastlake, Leighton, gran parte dei danesi, svedesi e norvegesi. E qui mi arresto trascurando perfino gli splendidi Indoni, i Navone, Joris, G.Aureli, i Tiratelli, Barucci, e Carlandi e Biseo e Raggio…senza parlare di Bonnat, dei F.lli Palizzi, di Smargiassi, di Bouguereau…

Come si vede una apoteosi unica, fuori di qualsivoglia parametro, fuori del comune, iniziata, tanto per fissare una data- col 1763 con un quadro di Hubert Robert passando attraverso una schiera di centinaia e centinaia di artisti per tutto l’800 terminata in gloria e in eternità coi monumenti eretti alla donna ciociara fine secolo-inizi del ‘900 dalle opere di Picasso, di De Chirico, di Severini. Non si crederà ma perfino Van Gogh ha dedicato due opere fondamentali ad una celebre splendida modella ciociara a Parigi! E almeno sei quel titano di Cézanne!

E tutto questo mondo fantastico è sconosciuto ed ignorato.

Eppure nessun soggetto pittorico dell’arte occidentale –ciò va messo sul tappeto e ribadito senza mezzi termini- può vantare sia quantitativamente e sia soprattutto qualitativamente, tali insuperabili prerogative e tali eccezionali paternità.

Tenendo presente per esempio che è pressocché impossibile che un catalogo di vendita di opere dell’800 di una qualsiasi casa d’asta del pianeta non contenga almeno una di tali opere ciociare, che non esiste letteralmente una pinacoteca d’arte antica anche nella città transalpina più sperduta che non esibisca almeno un’opera ciociara, che questo costume non è solo il costume di Roma ma è divenuto il costume d’Italia per antonomasia, che non c’è soggetto analogo che abbia avuto così tanto successo e ammirazione nella pittura occidentale, allora lo stupore a dir poco ci prende allorché assistiamo al fatto che ogni qualvolta si incontrano questi costumi, tutte le possibilità folkloriche, anche le più fantasiose, vengono perfino con sussiego ed erudizione tirate in ballo, fuorché la unica corretta. E’ una grande sconfitta, io dico, e della Storia dell’Arte e della Letteratura e del Folklore. Per non menzionare la sconfitta rovinosa anzi il fallimento degli studiosi di Roma che, dopo essersene appropriati, non sono stati in grado di imporre alla letteratura e al folklore nonché al commercio antiquario nemmeno la dizione di “figure romane”, termine col quale ancora oggi gli operatori romani individuano questi soggetti.

Infatti una produzione immensa viene realizzata a partire dal 1850/60 anche dagli artisti romani veri e propri e poi commercializzata a souvenir e ricordo di Roma, quasi un gadget, per i pellegrini e i turisti, letteralmente veicolata in ogni angolo della Terra. E tale produzione pittorica viene definita pittura romana o figure romane o pittura della campagna romana ! Il soggetto unico è sempre e solo il ciociaro. Eppure mai vedi il titolo di “Pastore ciociaro” o di “Ragazza ciociara”. Ciociaro non esiste. Ormai esso è stato romanizzato, metabolizzato da Roma. Ma senza risultati storici e culturali, come detto.

Quindi, concludendo, allorché si parla di ciociaro, rileviamo una dicotomia, una scissione del personaggio. Sappiamo che la sua iconografia fa parte ormai della eredità culturale del mondo occidentale poiché la sua immagine è eternata in migliaia e migliaia di opere d’arte ed è presente in tutti i musei al di là delle Alpi e nel Nuovo Mondo. Eppure tale pittura ciociara -assente completamente come prevedibile nelle istituzioni ciociare- questa pittura non ha nome! Roma ha cercato di appropriarsene e non è stata nemmeno essa, in realtà, in grado di valorizzarla e procurarle il posto che le compete nella storia dell’arte, come già detto.

Michele Santulli

 

 

Lascia un commento