I DUE ASTRI CHE ABBAGLIARONO ROMA

ANTON GIULIO BRAGAGLIA E MIMI PECCI BLUNT

E’ inspiegabile come certi personaggi che veramente ed effettivamente hanno fatto la storia, quella buona, siano così poco coltivati e tenuti a mente o per lo meno non quanto la grandezza di quello realizzato meriterebbe. Si pensi alla Roma dell’epoca fascista: una Roma certamente in subbuglio e sconvolgimento: politicamente, ideologicamente, strutturalmente, economicamente e tanto altro: un contesto difficilmente ripetibile, una pagina non ancora conclusa della storia d’Italia. Qui vogliamo richiamare alla memoria due autentici astri che, in siffatto frangente eccezionale della città, illuminarono e perfino abbagliarono Roma per un lungo periodo: la luce erano l’arte e la cultura, irradiata quasi contemporaneamente da Via degli Avignonesi e da un antico palazzo ai piedi del Campidoglio.
In Via degli Avignonesi n.8 negli scantinati che si svolgevano per qualche migliaio di metri quadrati sotto gli antichi palazzi e che avevano un accesso anche nella parallela via Rasella, nel 1922 Anton Giulio Bragaglia, un uomo che nessuno fino ad oggi è riuscito a descrivere e a circoscrivere compiutamene tanta la genialità e la inventiva e la creatività, realizzò uno spazio espositivo e teatrale che doveva accogliere quanto di meglio potessero offrire la letteratura, le arti figurative, la musica e lo spettacolo e non solo romani e nazionali. Era disponibile una sala per i pittori dell’ottocento, due per gli artisti contemporanei, una per i futuristi e analoghi; un palcoscenico e una platea e galleria per le rappresentazioni teatrali, i balletti e le pantomime. Era il ‘Teatro degli Indipendenti’ dove vennero portate sulla scena e sperimentate le acquisizioni e innovazioni scenografiche e illuminotecniche più avanzate: basti pensare che tra gli operatori e collaboratori vi era anche Antonio Valente, da Sora, che proprio in quegli anni realizzerà il Centro Sperimentale di Cinematografia, ancora oggi in perfetta funzionalità ed attività di fronte a Cinecittà e che già nel 1930 Valerio Mariani, nel suo volume sulla scenografia italiana, considerava bagaglio ormai acquisito gli allestimenti di Anton Giulio Bragaglia. Al ‘Teatro degli Indipendenti’ convennero non solo quelli che già erano o diventeranno i massimi scrittori e poeti quali Pirandello, Moravia, Ungaretti, Quasimodo, Bontempelli ma anche artisti quali De Chirico, Boccioni, Balla, Carrà, Prampolini, Depero, Soffici, Rosai, Boecklin e poi personaggi eccezionali come Filippo Tommaso Marinetti fondatore del Futurismo, come Maria Signorelli con i suoi pupazzetti e marionette e Alberto Spadolini massimo ballerino e scenografo: ruolo impagabile di Bragaglia fu anche quello di aver portato sulla scena del suo teatro per la prima volta in Italia la voce di certi personaggi ormai grandi in Europa quali Bertold Brecht, August Strindberg, Jarry col suo Père Ubu, Eugene O’Neill, Wedekind, Shaw, Unamuno, e non pochi altri drammaturghi ed artisti.
In aggiunta a questo di Via degli Avignonesi, un altrettanto vortice vitale e emozionante partì pure dai piedi della scalinata dell’Aracoeli: da Palazzo Pecci Blunt ed esattamente da una donna ineguagliabile: molte pagine, mai abbastanza, sono state dedicate a Anna Letizia Pecci coniugata Blunt nota come Mimì, la incarnazione della passione e dell’amore per l’arte in tutte le sue estrinsecazioni e per l’afflato umano che la caricava, nonché insaziabile e infaticabile collezionista e mecenate e protettrice degli artisti. Nei medesimi anni e cioè anni ‘20 e ‘30 dell’era fascista la città di Roma veniva dunque illuminata da queste due luci sfolgoranti: fu un riversarsi sulla città di iniziative culturali ed artistiche, un inseguirsi di fatti ed eventi, del più grande impatto e livello, mai visto prima e mai rivissuto poi: a Roma si potettero ascoltare per la prima volta, grazie alla passione di Mimì Pecci Blunt, le note di Hindemith, di Strawinskji, di Honegger, di Poulenc affianco a quelle di Petrassi e di Pizzetti, noti come i ‘concerti di primavera’ divenuti una autentica istituzione; grazie ad una galleria vera e propria realizzata affianco al Palazzo, la Galleria della Cometa, conoscere da vicino anche le opere di Cagli, di Mafai, di Guttuso, di Severini, di De Pisis, di Carlo Levi, di Capogrossi, di P.Fazzini, e poi conferenze ed incontri letterari col meglio della cultura nazionale ed europea dell’epoca: Sibilla Aleramo, Margherita Sarfatti, Corrado Alvaro, Emilio Cecchi, Giuseppe Ungaretti…
Il bello è che tra questi due poli eccelsi, pur se autonomi ed indipendenti l’uno dall’altro, a partire dalla fine degli anni ’20 si creò gradualmente una simbiosi incredibile, quasi dei vasi comunicanti, in quanto gli artisti iniziarono a caracollare da una parte all’altra: Moravia non ancora ventenne che, come la cronaca racconta, scrive gli ‘Indifferenti’ su un tavolino di Via degli Avignonesi, poco più che ventenne lo incontriamo anche da Mimì, lo stesso Savinio, lo stesso Bontempelli, De Chirico, Ungaretti… Le sciagurate leggi razziali del 1938 – il marito di Mimì era un ricchissimo banchiere americano ebreo – e i ripetuti lazzi e allusioni di Bragaglia e compagni sul Duce e sui gerarchi, portarono alla chiusura delle due istituzioni: Mimì si trasferì in America dove continuò per dieci anni la sua attività di animatrice dell’arte italiana e il Duce, che aveva ben compreso il valore di Anton Giulio Bragaglia, lo cooptò a importanti mansioni e ruoli istituzionali, tra i quali il culmine ne fu la direzione del notissimo ‘Teatro delle Arti’ di Via Sicilia inaugurato il 1937. Le vicende dei due eccelsi personaggi continuarono, dopo la caduta del Regime, pur se sotto altre forme e certamente meno avvincenti.
E’ bello costatare che i tre personaggi di queste vicende: i due protagonisti Anton Giulio Bragaglia e Anna Letizia Pecci Blunt e il direttore della Galleria della Cometa, Libero de Libero, erano tutti e tre originari e figli della gloriosa terra di Ciociaria che in quegli anni doveva venir smembrata in tre parti: da Frosinone il primo, da Carpineto e pronipote di Leone XIII Mimì Pecci e da Fondi Libero de Libero.

Michele Santulli

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