FRANCESCO PAOLO INGRAO, RAFFINATO MECENATE

Un altro personaggio incredibile del collezionismo fu Francesco Paolo Ingrao (1909-1999) da Lenola (LT) il quale riversò la sua attenzione e il suo interesse principalmente sull’arte del Novecento Italiano. Maturata l’età della pensione quale direttore generale al Ministero dei Lavori Pubblici, si dedicò con tutto se stesso allo studio e alla raccolta calibrata e misurata delle opere che lo colpivano. Nutrì interesse specifico per l’opera di Giorgio Morandi col quale allacciò anche un lungo rapporto di amicizia: nell’arco degli anni ne acquistò una trentina di opere -pregiatissimi oli- vagliate e maturate anche attraverso una lunga corrispondenza epistolare di cui restano 241 preziose  lettere. Altro rapporto particolare ebbe con le opere di Umberto Boccioni di cui  mise assieme 31 opere tra oli e disegni e tra queste almeno tre dipinti di donne ciociare ritratte dall’artista durante un suo soggiorno a Collepardo; altro grande artista che pure sentiva vicino fu Mino Maccari del quale riunì 34 oli, 10 di Ottone Rosai, 20  di Pio Semeghini, 14 di Mario Mafai. E poi nel corso della sua lunga esistenza mai stanco o scoraggiato continuò gli studi e le ricerche acquistando opere significative di De Pisis 9 opere, di Guttuso, di Depero, di Severini, di Casorati, di Balla 5 opere, di Inganni, di Carrà: tra le sculture di Wildt, di Messina, di Prini, di Antonietta Raphael e di altri artisti dell’epoca, si ammira  anche l’Acquaiuola di Cataldi, la ciociarella con la tina in  testa. In totale il lascito comprendeva 674 opere tra tele, sculture e manoscritti e oltre tremila libri della biblioteca personale. L’unico dispiacere fu quando non poté rinunciare alla richiesta del Comune di Bologna, patria di Morandi, che per la costituzione del Museo dedicato al grande Maestro e Figlio lo pregò di cedere le sue opere per l’erigendo Museo: fu con  dolore che si liberò di ventidue  oli selezionati e sofferti; i quattro miliardi e mezzo di Lire ricevuti dal Comune di Bologna non addolcirono il suo rimpianto. Francesco Paolo Ingrao viveva a Roma, assistito dalla cara Elisa Mulas. Fu a lei che legò collezione e  libri. La prima clausola testamentaria che impose fu quella di destinarla al Comune di Lenola e, seconda condizione, che fosse esposta al pubblico nella sua interezza, a due anni dalla sua scomparsa. Qui si innesta una realtà a mio parere prettamente ciociara cioè quella realtà che pur, se erroneamente, si attribuisce e riconosce generalmente a questo termine e cioè rozzo, ignorante, cafone quindi arrogante e di cui protagonista e attore fu, si ritiene,  l’amministrazione comunale di Lenola dell’epoca. Ammesso che abbia almeno intuito non dico compreso pienamente, il valore e la unicità del lascito, non è tanto criticabile anzi è perfino comprensibile il fatto che il Comune non fosse attrezzato e dotato per ospitare un compendio artistico di tale significato  ma la ignoranza e rozzezza di cui sopra vanno confermate col fatto anche che nessun uomo pubblico o politico si facesse parte attiva per far restare la collezione se non a Lenola, a Fondi o a Terracina o a Frosinone o a Cassino o a Latina! Non conosciamo il comportamento in merito dell’On.Ingrao, parente del collezionista. La signora Mulas, di origine sarda, vista tale reazione, si sentì libera di disporre del lascito a proprio piacimento: si noti che la collezione già all’epoca fu valutata e stimata in 75 miliardi di Lire! Donò tutto il compendio alla città di Cagliari che immediatamente si rese conto della eccezionale opportunità, provvide immediatamente ad ampliare una sua antica struttura museale già esistente per poter ospitare la collezione Ingrao che di un solo colpo sollevò la città di Cagliari ai primi posti in Italia per opere del Novecento Italiano! Inutile dire che la città onorò il munifico mecenate dedicandogli anche una importante piazza cittadina. La Ciociaria dunque anche a quell’epoca, grazie ai suoi amministratori e alla di loro intelligenza e perspicacia, confermò la propria sensibilità e la propria apertura mentale: venne dilapidata e sciupata una occasione irripetibile da parte degli amministratori e politici di quegli anni! Quale terribile vuoto per i ciociari e soprattutto per gli scolari e studenti, allora come oggi  privati della contemplazione del bello e del buono a causa della insipienza e ignoranza dei propri reggitori.

Certamente sul territorio, a dispetto della totale e completa assenza di stimoli e motivazioni, operano nel silenzio e nel riserbo un piccolo manipolo di cultori che effondono i loro interessi e il loro piacere in diversi ambiti dell’arte, non trascurando alcuni di essi riferimenti alla tradizione artistica ciociara, estremamente ricca, pur se altrettanto estremamente ignorata e sconosciuta.

Tra i mecenati ormai iscritti con tale qualifica nell’albo d’oro del Paese, va ricordato un cugino di Francesco Paolo Ingrao, e cioè Francesco Ingrao, medico a Roma, fratello dell’onorevole, che assieme alla moglie, baltica, Guina anche appassionata, mise assieme una quantità considerevole soprattutto di opere grafiche degli artisti del Novecento Italiano: serigrafie, litografie, disegni, acquarelli, monotipi: oggi trentacinque di tali opere arricchiscono il cosiddetto Casino Nobile di Villa Torlonia.  

                                                                                              Michele Santulli

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