Agostina Segatori viene al mondo il 9 ott.1841 effettivamente ad Ancona e non si è trattato di un errore di trascrizione dell’impiegato comunale parigino: i genitori erano originari di Subiaco, cittadina sui Monti Simbruini a Sud-Est di Roma: fu una nascita casauale come non di rado avveniva nelle località dove questa umanità nomade si spostava per lavori quasi sempre stagionali. La regione Marche a quell’epoca era ancora Stato della Chiesa.
Non ci sono fino ad oggi ricerche particolareggiate su Agostina adolescente o modella, una volta tornati i genitori a Subiaco. Sappiamo che una congiunta, forse zia, Fortunata Segatori, era stata a Roma agli inizi del 1800 una modella ricercata dagli artisti specie tedeschi e tutto lascia supporre che Agostina abbia appreso il mestiere dalla zia pur avanti negli anni. A Roma entrò a far parte delle modelle che, autorizzate dalla gerarchia ecclesiastica, potevano posare per gli artisti nell’Accademia di Francia, cioè quella nota e antica istituzione francese a Roma dove i giovani pittori non solamente francesi, soprattutto nelle ore pomeridiane e fino alle nove circa, potevano ritrarre uomini e donne, anche in natura, di ogni età. In una esposizione al Museo di Nantes, Fascinante Italie, si legge una lettera del pittore Emile Bernard dove conferma: Agostina “…une Romaine des plus belles qu’avaient connu nos peintres à la Villa Medici!” Come di solito avveniva, erano tutte ragazze romane o della zona pur se come regola, ciociare, fino al 1855-60.
Per certo Agostina come non pochi altri giovani, specie ragazze, emigrano in quegli anni all’estero in cerca di miglior sorte e verso il 1859-60 la troviamo a Parigi sulla pedana davanti al pittore paesaggista J.Baptiste Camille Corot (1796-1875). Ed è in questi anni che l’artista iniziò ad occuparsi della figura umana quale soggetto principale dell’opera, infatti negli anni precedenti la figura umana era di norma un complemento secondario dei suoi famosi paesaggi: ora ha inizio una nuova fase: voleva dimostrare a non pochi critici saccenti che il paesaggista riconosciuto ormai da tutti era anche altrettanto eccellente nella raffigurazione del corpo umano. L’artista nei suoi soggiorni romani del 1825-28 e del 1843 aveva molto amato e ricercato gli elementi tipici e folklorici nei luoghi visitati sia a Sud di Roma e Campagna e sia a Nord fino a Narni e Rieti e oltre. E nel corso di tali soggiorni al di là e al di qua del Tevere numerose sono le testimonianze raccolte di luoghi, umanità maschile e femminile, costumi, a mezzo soprattutto di gran numero di schizzi e disegni ma anche di pittura a olio di solito su carta. I due soggiorni citati -ve ne è un secondo di circa sei mesi nel 1834 concentrato nella visita delle città nell’Italia settentrionale- sono una fonte molto vistosa delle sue esperienze anche nei paeselli dei Monti Simbruini ed Ernici e Ruffi ed Equi: lo sappiamo per esempio ad Anticoli Corrado, a Subiaco, a Paliano, ad Olevano dove in particolare ha molto documentato luoghi e popolazione con numerosi taccuini di disegni, specie delle località Serpentara e Civitella già note agli artisti tedeschi.
Tutto lascia ritenere che il primo lavoro con Agostina davanti a lui sia “Donna ciociara con mandolino e tamburello” una delle opere in verità sfuggite all’occhio vigile del primo ermeneuta di Corot e cioè l’amico e collega pittore e collezionista Alfred Robaut, forse acquistata dai primi cultori delle sue donne e cioè i mercanti Hector Brame o Louis Tedesco: penso, pur senza prove, al mercante Louis Tedesco in quanto, secondo la tradizione, originario di Atina in Valcomino, quindi anche lui ciociaro, dove effettivamente il cognome ‘Tedesco’ era ricorrente. A parte queste due ipotesi, le vie delle opere di Corot sono ardue a percorrere.
Corot è stato il solo artista pittore che fino all’età di oltre quarantanni aveva dipinto solo per suo diletto o per amici e parenti principalmente quadrucci, tableautins così li chiamava, di paesaggi in gran parte ma anche ritratti. Parecchi lavori eseguiti anche in luoghi pubblici, specie chiese e case comunali, per dare piacere e allo stesso tempo dare sfogo alla propria personalità di pittore: nato da famiglia abbiente era in condizioni di poter vivere senza necessità di guadagnare. E quando venne il momento del successo irrinunciabile e quindi della richiesta delle sue opere da parte degli amatori e compratori, allora iniziarono ad entrare soldi, anche molti. I suoi godimenti oltre all’amore per i genitori fino alla fine, si esplicavano in due modi: l’amore senza limiti e totale per la natura e i suoi aspetti come, credo, nessun altro artista e secondo modo di realizzarsi era fare il bene, la carità: questa era la componente specifica del suo animo, godere ogni volta che poteva distribuire soldi ai bisognosi, ai missionari. La gioia più grande di tutta la sua vita fu Suor Maria, delle Suore di Carità di San Vincenzo di Paola, quando bussava alla sua porta per chiedere aiuto per i suoi orfanelli e trovatelli! Sensibile anche verso i colleghi pittori in bisogno che aiutava sia regalando loro i suoi quadri perché ormai richiesti sia aiutandoli con i suoi diretti interventi pittorici e non di rado anche la sua firma. A questo proposito del suo accentuato altruismo mi piace ricordare, grazie all’attenzione dell’amico e cultore Alfred Robaut, che nella stanza delle culle all’orfanotrofio di Suor Maria, alla Rue Vandrezanne, sulla parete con il Crocefisso, immediatamente al di sotto era una grande foto di Corot! Quale eccezionale prestigio e privilegio! Chi mai alla sua epoca aveva ottenuto tale onore e riconoscimento? E circa trentanni dopo la morte dell’artista, la Casa madre delle Suore di Carità di Rue du Bac, sempre a Parigi, alla fine del 1800 dunque, ricordarono ancora questo incredibile uomo, benefattore come nessun altro, con la pubblicazione e diffusione di un opuscolo di oltre trenta pagine dedicato alle sue buone azioni ed opere di beneficenza! Rievocando le parole di quell’altro unico e irripetibile uomo che fu don Lorenzo Milani, anche Corot mirava a far dilagare la carità!
Ma torniamo a questo capolavoro di quadro di “Donna ciociara con mandolino e tamburello” che è tra i più squisiti dei circa trecento quadri femminili dell’artista. La modella è dunque Agostina che subito dopo, nuda, ammiriamo nel dipinto “The Repose” alla Gall. Naz. di Washington: la curiosità in questa opera è quel tamburello parzialmente visibile, questa volta senza motivazioni plausibili quasi celato sotto al suo corpo che lei tocca con la mano, a riprova ancora più evidente del suo autentico significato secondo l’artista. Altri due nudi pure di Agostina sono la “Bacchante by the Sea” al MET di New York e la “Nymphe à la Campagne” al Museo di Ginevra. Altre opere che illustrano Agostina sono la “Dame en Bleu” al Louvre, “Interrupted Reading” al Museo di Chicago, la “Jeune Femme à la robe rose” al Museo d’Orsay e alcune altre, capolavori ineguagliabili sufficienti da soli a conservare negli annali la memoria della modella.
Agostina in questi anni posa per Renoir giovane, per Gérôme e le donne nude turche dei suoi harem, per gli artisti che frequentano la parigina Accademia delle Belle Arti dove lei è anche modella. Quasi alla sua fine Corot realizza un’opera veramente unica che lascio al lettore di pienamente valutare: siamo all’incirca nell’autunno del 1872 e Agostina, è davanti a lui e indossa il costume ciociaro classico che l’artista ha illustrato negli anni precedenti in almeno undici-dodici opere quali la “Italienne à la fontaine” di Basilea, la “Donna seduta per terra appoggiata alla conca” alla collez. Nathan a Zollikon (CH), “Italienne assise accoudée sur son genou” al Louvre, “Maria di Sorra” al Museo Picasso di Parigi, la magnifica “Jeune Fille italienne” al Museo di Phoenix (USA), il “Pastorello ciociaro” a Washington e a Reims, la splendida ‘Cicala’ o ‘Grasshopper’ al Museo Norton Simon di Pasadena, il ritratto di “Ciociarella” allo Staedel di Francoforte s/M. e un’altra nella Collez. Barnes di Filadelfia (USA).
Stiamo parlando di “Italienne. La Morieri”: la individuazione dei volti e delle fisionomie delle modelle nei dipinti ben si sa essere impresa delicata, più che di studio e di ricerca e di contributi produttivi, invero quasi di acribia e di pignoleria, perciò esposizione ad una continua, facile e reiterata contestazione. Sono queste le ragioni -ma non solo queste- alla base della scarsa appetibilità dell’argomento da parte degli studiosi, anche quando nessuna difficoltà interpretativa è ad ostacolare la via: a parte la specificità della ricerca fisionomica, la pagina dei modelli di artista è del più grande significato e pregnanza e in aggiunta non sia omesso di osservare che restituire un’opera d’arte alla umile creatura che ha posato, è anche un modo di rendere giustizia alla professionalità dei modelli oltre che contribuire alla più esaustiva comprensione di un’opera d’arte.
La individuazione della fisionomia di Agostina in Corot oltre alle difficoltà generali di cui sopra, coinvolge in situazioni che addirittura aggrovigliano l’impegno: la quantità esuberante di opere -circa duecento-trecento! i soli ritratti di donne- il fatto che la maggior parte è senza firma quanto senza alcun elemento distintivo -una data, un nome, un titolo- l’assenza quasi totale di documentazione e di elementi archivistici sul tema, il fatto che le modelle che hanno posato sulla pedana siano più numerose delle quattro o cinque fuggevolmente citate dai due studiosi di Corot, il fatto anche che l’accesso diretto e funzionale e leggibile a molte delle opere citate nelle monografie è non di rado complicato e lacunoso, cosa particolarmente delicata al nostro scopo della individuazione di una fisionomia: altro fatto che pure rende faticoso e quasi infruttuoso anche un modesto impegno è la realtà che non raramente le definizioni e connotazioni delle opere cioè i titoli dei dipinti, si allontanano da quelli originari della monografia principale oppure, ancora più delicato, sono erronei o quanto meno equivoci e fuorvianti già all’origine: Young Woman of Albano (l’Albanaise) del Museo di Brooklin non ha nulla a che vedere con la città di Albano patria di Vittoria Caldoni ma l’abito fa pensare all’Albania; “Zingara au tambour basque” se si allude ad una gitana, l’abito non lo è e, in aggiunta, il termine è italiano; si mischiano talvolta titoli magrebini ed italiani e giudei; e numerose altre incongruenze atte a rendere ardua vieppiù la impresa: senza ricordare la realtà che sovente gli abiti indossati richiamano più all’eclettismo che alla congruenza folklorica.
Fino ad oggi anche “Italienne. La Morieri” non è stata fatta segno di attenzione speciale in merito alla effigiata o al costume indossato o in merito a quel significato di ‘La Morieri’ o inoltre se in piedi o seduta. I due curatori del catalogo ragionato del 1905, Alfred Robaut e Etienne Moreau-Nélaton oltre all’attribuzione del nr. 2146 di identificazione del dipinto, nulla hanno scritto a proposito dell’effigiata e di quel nome e Robaut stesso molto vicino all’artista per molti anni, nulla ha precisato in merito. “La Morieri” termine italianizzato, l’articolo determinativo ‘La’ era da sempre tipico per identificare le modelle prima a Roma e poi a Parigi e altrove: la Chiaruccia, la Teresina, la Pascuccia, la Filomena, la Nanna, la Segatori, la Carmen… Da aggiungere che questo è il solo quadro ciociaro di Corot per i quali i due studiosi del catalogo 1905 hanno rinvenuto almeno una ipotesi di nome della modella mentre al contrario per gli altri già citati, per i quali ha posato mancano totalmente richiami o appunti dell’artista. Non sappiamo come siano pervenuti a tale connotazione, certo è che “Morieri!” è italianizzato di “Morière” e questo è in effetti il cognome da sposata di Agostina Segatori, quasi totalmente ignorato perfino dagli specialisti: Corot stesso ignora entrambi nelle sue opere come pure mai menziona il termine “ciociaro” che pur ben conosceva e i due studiosi Robaut/Moreau-Nélaton medesimi parimenti mai menzionano la modella né, forse, conoscono il significato di quel ‘Morieri’; menzionano per tre o quattro opere Emma Dobigny, citano un paio di altre modelle, mai Agostina e anche tutte le opere folkloricamente “ciociare”, sono tutte la “Italienne” o anche “Souvenir d’Italie”.
E in effetti la fisionomia della effigiata del dipinto in oggetto è quella di Agostina Segatori coniugata Gustave Morière nel 1884 e già tale identificazione rappresenta un notevole contributo alla più adeguata presa di conoscenza della modella. Le altre opere di Corot che abbiamo citato e che la raffigurano confermano che il volto della “Italienne. La Morieri” è indubitabilmente quello di Agostina. E a questo punto ci troviamo di fronte ad una curiosità: Corot ha già dipinto nel 1866, come scrivono gli studiosi, una donna in costume ciociaro, anche in contesto ambientale sicuramente ciociaro, intitolato appunto, non dall’artista, “Agostina” esposto alla Nat. Gall. di Washington che però non è l’Agostina di cui ci stiamo occupando! a parte quelle maniche elaborate così care a Corot, comunque inattuali nel costume ciociaro della tradizione iconografica consolidata; due fisionomie e due conformazioni fisiche differenti, realtà evidenziate recentemente anche da due studiosi in occasione di due mostre sui modelli dell’artista a Parigi e a Washington. E di nuovo siamo di fronte ad una consolidata realtà cioè al parto della fantasia di qualche battista dell’epoca che poi sarà sistematicamente ripreso acriticamente dai cultori successivi e dagli epigoni. Stando ai documenti presenti, Corot non ha mai impiegato il termine Agostina né tanto meno lasciato scritto qualche cosa, i suoi veri sentiti interessi erano ben altri che un nome. Quindi la “Italienne. La Morieri” abbiamo di fronte una modella ciociara di nome Agostina Segatori coniugata Morière e questo fatto, la Morieri, è un elemento rassicurante, a conferma della fisionomia autentica di Agostina, lasciando anche presupporre che Alfred Robaut che fu accanto all’artista per molti anni, ebbe certamente più occasioni di notare nello studio la presenza della modella e quindi conoscerne le fattezze e sembiante, senza contare il suo buon nome nell’ambito artistico e altresì, in anni più avanti, l’apertura del suo ristorante Le Tambourin a Montmartre! E’ ben verosimile e anche sola spiegazione ammissibile, che al momento della redazione della monografia nel 1905 i due studiosi citati si sono trovati davanti al caso della “Italienne. La Morieri” di cui almeno Robaut conosceva con certezza la fisionomia di Agostina Segatori e che però confermando e accettando ’Agostina’ per il dipinto del 1866 alla Galleria di Washington hanno a mio avviso compreso la discrepanza palese e perciò pur di non guastare le acque della tradizione ormai conosciuta, hanno conservato la falsa ‘Agostina’ e aggiornato e rispettato ”Italienne. La Morieri” del 1872 grazie a ‘La Morieri’! E ecco ora la novità sorprendente: la bella modella è incinta, davanti a noi! Infatti anche la posizione illustra in modo evidente una donna in attesa, come anche quel volto in apprensione e ansietà e in agitazione di una futura madre magistralmente reso dall’artista. Probabilmente questa di Corot è l’unica opera a illustrare un tale soggetto e sicuramente non solo lui. Un ulteriore aspetto, ripeto il termine: rivoluzionario, si presenta davanti ai nostri occhi: Agostina ha un anello al dito, un anello vistosissimo! Mai visto nella produzione sterminata di opere cosiddette ciociare, un anello al dito di una donna, per non parlare di uno così vistoso! E di nuovo siamo di fronte ad una personalità, quella di Corot, indiscutibilmente unica nella storia dell’arte, dalla carica sentimentale e dalla sensibilità fuori del comune. Mi permetto una digressione per evidenziare ulteriormente la eccezionalità di quest’uomo e meglio comprenderne certi atteggiamenti: come si sa, il corpo è inumato a Père Lachaise e il pittore Daubigny suo fraterno amico e collega, allorché arrivò anche per lui il momento fatale impose di venir sepolto affianco a lui; quando fu la volta di Honoré Daumier, anche lui lasciò istruzioni di essere sepolto affianco a Corot! Dubito che ci si possa imbattere in tali episodi di assoluta devozione se non di amore vero e proprio, fino alla morte e dopo!
E torniamo al grande Corot in vita di fronte ad Agostina incinta: quale inusitata esperienza! Corot sa bene che non è sposata, che non ha ottemperato e sottostato ai vincoli della normalità civile e religiosa e per lui non è ammissibile concepire un figlio al di fuori del regolare matrimonio. Epperò la sensibilità innata e l’amore profondo verso la umanità, nonché la sua maturità ed esperienza vissuta, anche ora sono di sicura guida: accetta e riconosce la realtà della cara Agostina e la fa vivere davanti ai nostri occhi non tralasciando di evidenziare e mostrare anche quel volto di inquietudine e di tensione tipico di ogni donna in quello stato. E Corot, il grande Corot non ancora compreso nella sua grandezza umana e spirituale, legittima la situazione infilando l’anello matrimoniale al dito di Agostina, sanando dunque apparentemente la anomala situazione. Tale dipinto dunque è molto di più che la scoperta e conferma del volto della ”Italienne. La Morieri”, è veramente un’opera d’arte straordinaria, in tutto. E in effetti l’anno dopo, il 17 giugno 1873, nasce Jean Pierre prima Segatori poi Morière, alla 1 Rue Mansart, sempre nel cuore di Montmartre, negli anni dopo l’abitazione sarà al n.3 di Place du Tertre.
Questo quadro oggi alla Galleria Nazionale di Washington illustra un altro particolare che pure è bello rammentare. Se si mettono l’uno affianco all’altro la “Italienne” di Manet e “Italienne. La Morieri” di Corot scopriamo che si tratta del medesimo soggetto, anche nei particolari della vestitura e delle fattezze, non escluso anche della grossezza per la maternità di Agostina intuibile in entrambe le opere e poi i medesimi orecchini, la medesima inusitata tovaglia sul capo, quelle spallucce rosse, chiaramente il medesimo volto, il medesimo abito ciociaro che si intravede…
Manet infatti era solito frequentare lo studio del vecchio Maestro, anche se Corot non condivideva certi aspetti della sua pittura. E qui di conseguenza e senza correre il rischio di andare oltre i limiti, abbiamo la certezza sia del soggetto e sia della datazione esatta dell’opera di Corot e non escluso anche di quella di Manet. L’opera come detto è a Washington, se ne indicano tutti i dettagli fisici, di provenienza ecc. ma nulla sulla descrizione del medesimo e inoltre, curioso assai, not on view!
I Musei che conservano opere di maestri che illustrano i ciociari, ho costatato che in genere, salvo quando sotto si leggono certe firme, Cézanne, Picasso, Van Gogh e analoghi, hanno un atteggiamento negativo -anche al Museo di Phoenix il loro splendido quadro: not on view!- sia perché, ritengo, non conoscono ancora il significato non solo folklorico della immagine e soprattutto non hanno assimilato un fatto innovativo e che cioè è la prima volta che nell’arte occidentale tra le ultime decadi del 1700 e le prime del 1900 cioè uno spazio temporale di circa centocinquanta anni, è la prima volta che soggetto protagonista sono gli ultimi della scala sociale cioè quella dei braccianti e manovali e giornalieri anche dei briganti originari della antica regione, madre di Roma, a Sud dei fiumi Tevere e Aniene, tra Appennini e Mar Tirreno, cioè quel fenomeno pittorico che già gli artisti belgi definirono “pittura di genere all’italiana”. Ancora oggi si ignora che questo genere pittorico, forse il più noto e più diffuso dell’epoca, certamente il più conosciuto e illustrato e amato dalla gran parte degli artisti europei, è primaria componente dell’arte dell’epoca, presente nella quasi totalità dei musei e gallerie del pianeta. Se poi si ricorda che perfino la crema e cioè non citando Michallon, Coignet, L.L.Robert, H.Vernet, V.Schnetz, Navez che pur se ne sono occupati e passando subito a Degas, Renoir, Corot, Manet, Cézanne, Sargent, Leighton, Briullov, Van Gogh, Picasso, Severini, i futuristi e ignorando Bonnat, Bouguereau, Halswelle, Landelle, allora prendiamo atto che dopo Cristi e Madonne è arduo rinvenire altro soggetto così documentato ed illustrato! Eppure va detto nei fatti che gran parte dei musei che conservano queste opere sono non poco restii a descriverli e perfino ad esporli!
Anche se il tema del costume ciociaro è stato esaurientemente illustrato e documentato, ricordo anche il mio libro “IL COSTUME CIOCIARO NELL’ARTE EUROPEA DEL 1800”, reputo utile per il lettore di Corot di conoscerlo da vicino non solamente per pienamente comprendere la tipicità delle 11-12 opere ciociare dell’artista che abbiamo ricordato ma anche per rendersi conto che gli abiti delle sue opere femminili in generale, salvo quelli folkloricamente individuati poco più di una diecina -greco, magrebino, zingaro- sono anche essi ciociari pur se poeticamente assemblati: il sito web inciociaria,org è di sicuro soccorso.
Questo che ora è il costume più conosciuto e noto nella storia dell’arte e non solo, apprezzato e ammirato dalla maggior parte degli artisti europei, in realtà al suo apparire a Roma per la prima volta agli occhi dei pittori era rappresentato letteralmente da creature che indossavano ‘stracci colorati’, ‘stracci’ perché questa umanità apparteneva alla classe ultima della società come già ricordato, che vivevano nelle frazioni sperdute di Picinisco, di Vallerotonda, di Villalatina, di Atina piccole località assieme ad altre, di un piccolo territorio noto come Valcomino in Alta Terra di Lavoro: la miseria era totale e così le loro vestiture che realizzavano loro stessi in casa con la lana data dalla pecorella presente in ogni nucleo familiare o con la canapa o il lino che non pochi anche coltivavano: gli altri ingredienti naturali che rinvenivano in giro cioè robbia, guado, fuliggine, ginestre, castagno, noci erano i coloranti grazie ai quali in acqua bollente tingevano e coloravano gli stracci: “stracci azzuppati nel colore’, così icasticamente si legge nel FATTOQ. del 10 sett.2016: così, con questa parola, stracci, effettivamente identificati e denominati da qualche giovane artista straniero nelle sue lettere ai famigliari, per esempio L.L.Robert: solo gradualmente e nel costante contatto con gli artisti stranieri a Roma prima di tutto gli stracci evolsero nello splendido costume ciociaro, gloria d’Europa. A ciò si aggiunge una nefasta carestia che verso le ultime decadi del 1700 fu la scintilla della diaspora vera e propria verso lo Stato della Chiesa, in prevalenza verso le Paludi Pontine, mefitiche e venefiche pertanto ricche di generi commestibili vegetali e animali; meta appetibile anche Roma e i più audaci al di là delle Alpi. E la palingenesi sociale che l’occupazione napoleonica del territorio sembrò ispirare in giro, pure contribuì all’incremento dell’abbandono dei luoghi aviti.
Questa della “Italienne. La Morieri” è l’ultima opera ciociara e tra le ultime in generale dell’artista che lascerà questo mondo due anni dopo, nel 1875: quel capolavoro invece della “Donna ciociara con mandolino e tamburello” in cui Agostina, sì proprio Agostina, da poco arrivata a Parigi da Roma, viene raffigurata ancora con addosso il costume ciociaro e le cioce ai piedi, è la prima opera anche ciociara, che in qualche modo si può considerare prologo e preludio del quindicennio della grande parentesi delle opere femminili a partire dal 1858-60. Per Corot è un momento quasi solenne poiché ha davanti a lui sulla pedana una delle cosiddette ‘ragazze romane’ amate quando a Roma come racconta nelle sue lettere all’amico Abel Osmond, non rifuggendo anche da qualche particolare piccante. Sono trascorsi da allora circa 35-40 anni e i ricordi affiorano indimenticati nella memoria, come pure la nostalgia di quell’epoca, tenuta volutamente viva e presente come dimostrano non solo i titoli “Italienne” o “Souvenir d’Italie” dati normalmente alle numerose opere dei ricordi ma in particolare quel quadruccio di Marietta realizzato a Roma, oggi al Petit Palais di Parigi, sempre fedelmente conservato pur senza firma fino alla fine, nel famoso suo armadio personale e che illustra magistralmente con poche pennellate il corpo nudo disteso di una di queste “ragazze romane” che la situazione storica del momento a Roma mi porta a ritenerla, non solo sentimentalmente, una modella ciociara. Il dipinto “Donna ciociara con mandolino e tamburello” è sicuramente una fatalità ma evidenzia anche esso a differenza della gran parte delle opere femminili una accentuata partecipazione e sensibilità dell’artista: infatti sue motivazioni artistiche lo portano a mettere in mano alla ciociara il mandolino che lui sa bene essere un elemento spurio in quanto tipico a Napoli, dove di norma suonato da uomini ma sa anche che lo strumento tipico delle donne ciociare anche nel corso della loro emigrazione è il tamburello: ed ecco che Corot, anche ora grande, non ignora la storia e la tradizione a lui ben note, non mortifica o offende Agostina, anzi la mantiene in vita, la fa valere, regalandole il tamburello splendidamente reso per terra, a ricompensa! Corot troppo presente a sé stesso, troppo consapevole, mai preda del caso o delle incertezze, subito dopo immaginiamo, spoglia e denuda Agostina e l’adagia nella natura verdeggiante attorno, anche ora dotandola, e questa volta senza motivazione apparente, di un tamburello quasi nascosto sotto il corpo che lei tocca con una mano, come abbiamo illustrato più sopra: tale partecipazione di queste due opere non si riscontrerà nelle altre non poche dove illustra anche una donna in costume con mandolino!
© Michele Santulli