E’ motivo di curiosità mettere o vedere assieme due giganti della pittura quali Antonio Mancini e ancora di più Pablo Picasso: sono, in parte, contemporanei e Picasso a Parigi sicuramente ha visto o preso conoscenza, dei dipinti creati da Mancini sia quando a Parigi anni prima sia quando a Londra ai primissimi del 1900 e, per converso, anche Mancini ha conosciuto e visto o sentito parlare delle opere di Picasso del primo periodo, ai primissimi anni del 1900.
Entrambi così autarchici e individualisti dal punto di vista del loro lavoro, che di nessuno e di niente abbisognavano, se non di dare libero sfogo alle proprie intuizioni ed emozioni. Picasso dalla potenza creativa magmatica e onnicomprensiva che tutto assorbiva e metabolizzava quanto idoneo e pertinente alla propria sensibilità, Mancini al contrario limitato nello sguardo e nell’orizzonte ma, in cambio, tutto sé stesso, tutta anima e corpo, partecipazione totale al proprio soggetto.
E le prime opere di Antonio Mancini (1852-1930) sono considerate le più tipiche e coinvolgenti, dipinte all’età di poco più di venti anni a Napoli nel 1870, poi a Parigi nel 1875 poi di nuovo nel 1877-78: Antonio Mancini a Napoli sempre affamato e senza soldi coi suoi due altri amici disperati come lui ma come lui geniali e cioè Vincenzo Gemito e Pasquale Fosca: nati tutti e tre lo stesso anno, morti a un anno distanza l’uno dall’altro, prede dei loro ideali dove non poteva esserci spazio per compromessi e accomodamenti e mode e scopiazzature, tutti e tre chi più chi meno addirittura piombati per un periodo nella pazzia e demenza, perciò delle esistenze travagliate e tormentate, scontrose e riottose e spigolose e scostanti eppure geniali, come i prediletti degli dei: figli diretti e indiretti di quella “strana e divina cosa che è Napoli” che marchia in qualche modo le esistenze dei propri figli! Picasso, altra natura, padrone di sé, pur anche lui in un certo periodo preda della fame e della miseria, ma non precipitato negli abissi della emotività e della disperazione, perché sotto questo aspetto di altra natura e temperamento. E quindi ecco che nel 1905 all’incirca, tra periodo blu e periodo rosa, Picasso ha poco più di ventanni, realizza ‘Les Noces de Pierrette’, ‘Fillette à la corbeille fleurie’, ‘Le garçon à la pipe’ che raccomando caldissimamente di gustare in internet se non si conoscono; queste opere assieme ad altre del medesimo periodo, è da escludere che siano state realizzate, ad avviso di chi scrive, senza aver conosciuto quelle di Antonio Mancini degli anni che stiamo descrivendo intorno al 1870 in poi, dipinte a ventanni di età o poco più. Si obietterà: Picasso aveva tutto anche lui dentro di sé, una miniera, e non aveva bisogno di ispirazioni o di altro dall’esterno: è vero, epperò le convalide, le conferme, le testimonianze di un soggetto ad altro soggetto assolvono e contribuiscono sempre al momento creativo. E che cosa produsse Mancini in questo periodo, profondendovi la sua anima e la sua mente, tutto se stesso? I saltimbanchi prestigiosi, le immagini miracolose di Luiggiello, al tavolo a studiare o a leggere o col messale sotto braccio o coi giornali in mano a venderli, o vestito da Pulcinella, o gli scugnizzi col tamburello e il violino, o col salvadanaio o che legge … un mondo di sofferenza, di miseria, di abbandono e pure di vita che Mancini ci ha dato, tutto trascendendo e facendo diventare poesia e che Picasso nelle vetrine di Parigi o nei giornali o in qualche mostra ha visto o di cui gli hanno parlato i cari amici giornalisti e scrittori ben informati quali Apollinaire, Salmon, Iacob, Cocteau…E’ sicuro che ha conseguito odore e sapore dei saltimbanchi di trenta anni prima anche allorché ha visto o sentito parlare o letto, questa volta a lui contemporanei quei capolavori pur se dipinti in una differente temperie morale, che Mancini esponeva nella grandiosa personale a Earl’s Court a Londra nel 1904, l’anno del trapasso di Picasso dal periodo blu al periodo rosa: d’accordo, nessuna ispirazione, ma quale insegnamento o testimonianza, della titanica forza e vigore di Mancini!
Un filo unisce, lega il periodo blu della disperazione di Picasso alle tele di Mancini e anche quelle degli inizi del periodo rosa, della resurrezione dunque: è arduo immaginare tali capolavori di Picasso senza prima in qualche modo aver conosciuto da parte sua i saltimbanchi o gli studentelli o i vari Luiggiello e pulcinella di Antonio Mancini.
Che la ormai sconfinata bibliografia picassiana si arricchisca quanto prima anche dello studio di questa pagina!
Michele Santulli