Era una cappellina con sulla facciata una sbiadita e consunta immagine della vergine, sperduta in un angolo della cosiddetta campagna romana a un pugno di chilometri al di fuori delle Mura di Roma, una chiesetta abbandonata e ricovero dei pecorai quando pioveva o durante la notte. E tutto l’esteso territorio a Sud di Roma e a Sud dei Castelli specie al di là dei Lepini, Ausoni e Aurunci era sconfinato, in massima parte incolto, di proprietà della nobiltà romana che da sempre teneva in abbandono e da cui ricavava solo l’affitto dai pastori che vi portavano le proprie greggi o la vendita del legname, una distesa divenuta desertica e invivibile. Un po’ più a sud e fino a Terracina era coperta dalle famose Paludi Pontine, una estensione immensa di vegetazione secolare solcata da corsi d’acqua e con laghi e stagni, abitata da una quantità di specie animali: cervi daini bufali cavalli selvaggina e i corsi d’acqua enormemente ricchi di pesci: tutto dominato e minato dalla malaria mortale che teneva da secoli lontane le persone, specie in certi periodi dell’anno. E a dispetto di tale realtà pressocché inaccostabile, la situazione dei tempi era tale che la miseria, le bocche da sfamare smisuratamente tante, il desiderio di riscatto portò certe popolazioni dapprima dalla Valcomino e gradualmente dalle altre parti del territorio ad emigrare in queste terre malsane e una parte verso la città di Roma medesima ed altre perfino al di là delle Alpi. Ed è in questo quadro di emigrazione e di spostamenti transfrontalieri continui e permanenti che verso la fine del 1700 qualcuno di questi diseredati nella sua peregrinazione verso la Città Eterna smarrì la strada e si trovò ad un certo punto nei pressi della chiesetta abbandonata. Stanco, affamato, smarrito, il giorno che moriva, gli ululati improvvisi di una torma di cani che si avvicinavano minacciosi lo riempì di terrore ben sapendo di essere assolutamente solo: i cani ringhiosi erano già così vicini che il povero diavolo si rese conto che per lui era finita: la vista della sacra immagine della Vergine che quasi assisteva alla vicenda diede un filo di speranza e ne invocò l’aiuto e l’intervento: miracolo o altro, è certo che il branco di cani si arrestò immediatamente smettendo di latrare e lentamente ritornò sui propri passi. Inutile raccontare che la vicenda si diffuse rapidamente e gradualmente la chiesetta, la Chiesa del Divino Amore sulla Via Ardeatina, assurse a chiesa di riferimento della quantità di immigrati che a poco a poco negli anni seguenti presteranno la loro opera come pastori o butteri o mietitori in quelle terre che inizieranno ad essere messe a coltura. Un’altra chiesa in quei tempi nel corso del 1800 pure divenuta a poco a poco la chiesa di riferimento principalmente anche dei ciociari di Roma si trovava ai piedi del Campidoglio, dalla parte della famosa Rupe Tarpea, l’antica Chiesa di Santa Maria della Consolazione, da sempre dedicata alle varie arti e mestieri della città. Spesso ci si imbatte in antichi quadri di pittori europei dell’Ottocento che mostrano gruppi di ciociari ai piedi della scalinata. Anche questa una chiesa quasi obbligata in quanto si trovava a pochi metri dall’antica Piazza Montanara luogo di ritrovo e di incontro della umanità ciociara in attesa dei ‘famosi e famigerati caporali’ che li assoldavano per i lavori agricoli sia entro la città sia fuori. Affianco della Chiesa, da sempre, si levava, e si leva ancora oggi, l’antico ospedale della Consolazione che per i ciociari non solo era luogo di ricovero in caso di emergenze ma in più presentava una particolarità che pure era di soccorso e cioè periodicamente le nobildonne romane vi organizzavano la cosiddetta ‘Perdonanza’: si invitavano le ciociare povere e indigenti e si procedeva al loro lavaggio dei piedi e dopo di ciò si offrivano loro vettovaglie e altro. Un raro quadro nel quale ci siamo imbattuti descrive chiaramente uno di questi eventi.
Michele Santulli
C.M.Thorel: La Perdonanza sotto Pio IX all’Ospedale della Consolazione