La Galleria Nazionale di Washington, struttura immensa per dimensioni e contenuti: qui la Ciociaria è illustrata con almeno quattro opere sbalorditive: su una parete ‘Il ciociarello dal gilet rosso’ (‘Boy in a Red Waistcoat’) di Cézanne; su un piedistallo la scultura in marmo di ‘Eva’, forse l’opera ottocentesca più nota e celebrata, per la quale posò Maria Antonia, modella della Valcomino, “dal corpo svettante come quello di una pantera” nelle parole di Rodin; in bronzo, il volto impressionante di Celestino, modello pure della Valcomino, le cui sembianze scavate e tormentate Rodin ha trasfuso in Balzac; pure in bronzo il volto di Marianna, la modella di Cassino, che declamava Dante a Rodin che scolpiva la ‘Porta dell’inferno’.
Nel corrente mese e con durata fino al 31 dicembre, si svolge dunque a Washington una esposizione dedicata alle donne di J.B.Camille Corot (1796-1875): infatti delle 45 opere in esposizione ve ne è una sola dedicata ad un uomo. Ricordiamo che fino a luglio si è svolta anche a Parigi una mostra analoga ‘sulle modelle e modelli’ e di quadri maschili ve ne erano una quindicina: questa di Washington è dunque più attinente in quanto quel periodo ultimo della esistenza effettivamente è la donna che prese il primo posto negli interessi pittorici dell’artista.
A proposito di questa importante esposizione, nei cataloghi e nei resoconti di stampa si evidenzia che gli abiti indossati dalle modelle che si succedevano nello studio sono i più vari: c’è la donna greca, c’è la donna maghrebina, la turca, la francese mentre la stragrande maggioranza indossa abiti ‘italiani’ definiti ‘rustici’, ‘tradizionali’, ‘campagnoli’, ‘regionali’, in realtà: ‘ciociari’. In effetti Corot nutriva sensibilissima attenzione e predilezione per le vestiture indossate dai contadini ciociari incontrati a Roma nel corso dei suoi tre anni ivi trascorsi dal 1825 nonché nei dintorni: e non poche sono le opere di donne ciociare riprese nelle sue divagazioni turistiche, senza citare i numerosi schizzi e bozzetti negli album, affascinato dalla ricchezza e brillantezza dei colori delle seppur poverissime vestiture. E alla fine del soggiorno romano portò con sé numerosi pezzi di tale abbigliamento ciociaro e non solo: durante la sua attività di ‘paesaggista’ innovatore e celebrato a Parigi, ebbe sempre a mente tale costume e a qualche suo amico pittore che si trovava a Roma scriveva di riportargli dei vestiti ‘romani’ cioè ‘ciociari’! E perciò il suo studio era colmo di abiti ciociari in una fantasmagoria di colori e di forme e gran parte dei quasi trecento quadri femminili realizzati nell’ultimo periodo della sua vita forniscono una idea dei cromatismi e delle forme: a parte poche opere cosiddette etniche ed alcuni nudi, e se si escludono una quindicina di opere indiscutibilmente ciociare, la correttezza folklorica non è l’obiettivo di Corot: infatti gli abiti indossati dalle modelle sono in gran parte risultato di abbinamenti e accostamenti di elementi ‘ciociari’, poetici e fantasiosi, all’insegna del colore e del caso. Nella esposizione americana vi sono due quadri filologicamente ciociari e perciò, a mio avviso, si è persa una eccellente occasione per fare un pizzico di chiarezza sulla connotazione storica o su una ipotesi di provenienza del costume ciociaro vistane la schiacciante presenza nel canone delle opere dell’artista: la curatrice è stata con vistoso anticipo sensibilizzata a tale aspetto connotativo dei personaggi rammentando, tra l’altro, che, se del caso, il testo “MODELLE E MODELLI CIOCIARI A ROMA, PARIGI E LONDRA NEL 1800-1900” fosse ben documentato anche al MET di New York e non solo.
Almeno tre aspetti meritano doveroso intervento e commento:
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presente in mostra un quadro che i primi studiosi di Corot nel 1905 titolarono ‘Agostina’, uno dei dipinti più famosi dell’artista, e tale titolo è rimasto; gli studiosi successivi hanno avuto buon giuoco a riconoscere, erroneamente, nella donna effigiata ‘Agostina Segatori’, la celebre modella dei Simbruini su cui abbiamo più volte scritto;
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nei comunicati stampa e negli articoli di critica non si evidenzia traccia di menzione adeguata e di ricerca da parte del Museo, della modella Agostina, onde individuarne almeno le peculiarità fisiche distintive e il percorso artistico, non dico la provenienza ed origine;
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in mostra è presente il dipinto di ragazza in inappuntabile costume ciociaro intitolato ‘Italian Girl’. Tale titolo è una iniziativa arbitraria ed erronea dei curatori della mostra in quanto il titolo originario dato dai compilatori della prima monografia del 1905 era ‘La Morieri’, definizione che per oltre un secolo fino ad oggi è risultata incomprensibile ed astrusa. Abbiamo più volte documentato che l’espressione italianizzata ‘La Morieri’ è corruzione di ‘La Morière’, dove ‘Morière’ è il cognome da sposata di Agostina! Quindi la ‘Italian Girl’ è veramente Agostina, mentre l’Agostina del dipinto così identificato, ripetiamo, non è questa modella! In merito va detto che uno studioso del museo medesimo, Lorenz Eitner, si è occupato del quadro ‘Agostina’ e ne ha evidenziato certe incongruenze e peculiarità suscettibili di originare qualche dubbio sulla sua identità. Quindi la effigiata in perfetto costume ciociaro in mostra che i curatori chiamano ‘Italian Girl’ è in verità la Agostina vera e autentica cioè la modella della ‘Dame en Bleu’, della ‘Interrupted Reading’, del ‘Nudo’, tutte in mostra. Imbarazzante è anche il fatto che la ‘Italienne’ di Manet, passata in asta a New York proprio in questi ultimi mesi, per cui l’artista trasse ispirazione frequentando lo studio del vecchio amato Corot, è ignorata: eppure è abbastanza evidente al raffronto delle fisionomie, e anche suggerito da non pochi studiosi, che la modella è sempre Agostina, quella autentica, e che nel quadro di Manet indossa il medesimo abito, i medesimi orecchini, le medesime spallette e la medesima tovaglia in testa della ‘Italian Girl’ ‘La Morieri’ di Corot!
Michele Santulli