Il Pincio a Villa Borghese, il balcone su Roma antica, spettacolo unico al mondo, commovente, ancora, a dispetto degli sfregi savoiardi, mussoliniani, soprattutto democristiani infinitamente più letali. Non è necessario essere poeti o altro per commuoversi a questa vista di Roma, impareggiabile, evocatrice di una vicenda universale, come niente al mondo. E qui sul Pincio, a pochi metri da Palazzo Medici, davanti alla Casina Valadier, il luogo dunque certamente più pittoresco della Città Eterna, nel 1913 Ernesto Nathan, il grande sindaco di Roma, in questo luogo alla fine del suo primo e ultimo mandato di sindaco, fece collocare un capolavoro di scultura realizzato da Amleto Cataldi, scultore ciociaro, che si era già distinto per una delle Vittorie sul Ponte Vitt. Em.II, per il busto inaudito di Carducci al Campidoglio, per la scultura il ‘Riposo’ presentata e premiata alla famosa esposizione nazionale del 1911 e per altre opere. La scultura di Villa Borghese raffigura una ragazza nuda curva su una tina che tiene in mano e da cui sgorga acqua, in un bacino circolare raso terra. La tina, in rame battuto, è il contenitore tipico della Ciociaria e anche dell’Abruzzo e del Molise, quindi utensile modesto e umile. Quando la scultura fu posta in opera, su un resoconto di stampa qualche giornalista nobilitò la tina chiamandola ‘anfora’, alla stessa maniera che il cappello della bancarella lo si chiama ’Borsalino’ o le cioce le si chiamano ‘Church’. E nel corso degli anni quando i critici o qualche giornalista avevano occasione di menzionare la splendida scultura sul Pincio, tutti ripetevano l’’Anfora’: fu un decina di anni più tardi che un altro giornalista perfezionò la dicitura arrivando a ‘Fontana dell’anfora’. E così è restata la cosa. Naturalmente tale battesimo equivale, a mio avviso, a pesante offesa ad Amleto Cataldi, il quale imbevuto del suo mondo classico greco e romano, non avrebbe mai potuto chiamare ‘anfora’ la modesta e volgare e comune tina ciociara e abruzzese.
E comunque l’oggetto principale della raffigurazione non è certamente la modesta tina ciociara pur se nobilitata col termine ‘anfora’ bensì la ragazza dalle splendide forme ed è da qui che bisogna doverosamente e normalmente partire: fontana della ragazza? Ragazza alla fonte? Ragazza con tina? E’ dunque il protagonista che deve aver voce e certamente non ‘La Seggiola della Madonna’ o ’L’ermellino con la donna’.
Un critico dell’epoca notò: “egli converte alla propria ispirazione le donne venute dalla Ciociaria e dal Napoletano” “Qui l’antico fascino greco si risveglia nei neri occhi, fra le lunghe palpebre…Ed è lo stesso fascino che emana da …” di conseguenza ne scaturisce quasi naturalmente che il titolo consono, direi naturale, della nostra scultura possa e debba essere solo ‘La Fontana della Ciociara’, volendo continuare a riconoscere valenza determinante alla struttura architettonica al cui centro si leva. Oggi si è levata, pur se rara, qualche altra evidente voce critica a proposito della titolazione ‘L’anfora’ (John S.Grioni) e altresì va rammentato che a Roma già esiste, nei pressi della Piramide, una ‘Fontana dell’anfora’ dove il contenitore, di nuovo, nulla e niente ha a che vedere con l’anfora greca. La incongruente soprattutto erronea titolazione, alla quale per ragioni a mio avviso di pigrizia mentale e una buona dose di lassismo, si è restati fedeli fino ad oggi, ha avuto per inevitabile risultato che quelli che se ne sono occupati per una ragione o un’altra, hanno vieppiù abusato di tale situazione e inventato ancora altri titoli: qualche critico ‘Donna con anfora’, un restauratore che l’ha avuta in cura la definisce ‘La fontana della giara’, in Wikipedia qualcuno si è posto il dilemma e la chiama ‘La fontana della conca’!!
A parte le amenità linguistiche, la splendida ‘Fontana della Ciociara’ affrancata della orribile mutilazione che l’affliggeva da anni a seguito dello sfregio inferto da qualche malato di mente, restaurata con grande cura dalla Romana Soprintendenza, si leva suggestiva, a pochi passi dalla Casina Valadier, nel luogo da poco che il Comune di Roma Capitale ha intestato al nome dell’artista: Largo Amleto Cataldi. Doveroso anzi sarebbe, in aggiunta, che venisse menzionata nei tabelloni turistici del luogo come pure che venisse in qualche modo affrancata dalle limitazioni di orario del ristorante della Casina, trovandosi la scultura nel suo recinto.
Michele Santulli