Recentemente ci siamo soffermati sulla chiusura inaudita dopo appena sei anni di vita del Museo Nazionale Emigrazione o Museo Emigrazione Italiana al Vittoriano di Roma, la cui realizzazione costò un quintale di soldi pubblici e che fu inaugurato, nel 2007, dalle massime cariche dello Stato a partire dal Presidente della Repubblica: chiuso e smantellato forse perché, o meglio senza forse, dedicato ai derelitti e pezzenti emigrati italiani, indegno dunque per la corrente mentalità di essere promosso e correttamente gestito e valorizzato: detta istituzione statale addirittura” nelle parole di famoso giornalista del Corriere della Sera: “il museo fa schifo” “una gestione sgangherata” una offensiva “deriva pecoreccia”! Noi aggiungiamo, e chiudiamo, che se si fosse trattato di un museo delle mutande o dei provoloni e peperoni, la cura e le attenzioni delle autorità nostrane sarebbero state, giustamente!, ben differenti! Quanto, al contrario, andremo a richiamare alla memoria qui appresso conferma il proprio alto significato e allo stesso tempo rappresenta, da quasi due secoli, il vero e autentico e solo memoriale alla emigrazione ciociara e nazionale, a dispetto della ridicola ed infame istituzione di cui sopra.
In qualche passato intervento sulla Ciociaria pontina abbiamo pur se nelle linee generali, ricordato la comune storia e le comuni vicissitudini e vicende fino ad una certa epoca. Non è necessario andare indietro nei secoli per seguire la ancestrale comunità e comunanza non solo territoriale: possiamo sostenere che la storia moderna di questi luoghi, una volta Alta Terra di Lavoro e quindi Regno di Napoli e allo stesso tempo anche Campagna di Roma o Lazio Aggetto, quindi Stato della Chiesa, inizi nelle ultime decadi del 1700 quando un lento ma continuo e sempre crescente flusso migratorio iniziò da alcuni paesetti della Valcomino e delle Mainarde molisane (Terra di Lavoro) diretto verso lo Stato della Chiesa e al di là: fu una vera e propria diaspora che svuotò a poco a poco questi villaggi e loro frazioni per fame miseria incremento demografico oppressione politica e sociale: qualche carestia del tempo che seviziò le loro contrade prima e la palingenesi napoleonica dopo che prometteva terre e benefici per i diseredati, ne furono le molle successive, anche per altre località di Alta Terra di Lavoro (Sora.ecc.). E i luoghi di ricovero e di rifugio furono principalmente le Paludi Pontine e la città di Roma e alcuni avamposti si spinsero al di là, verso le Alpi e oltre. Le Paludi Pontine, da secoli famose e allo stesso tempo famigerate, erano ricchissime di possibilità di sostentamento a dispetto dei pericoli incombenti rappresentati principalmente dalla mortale malaria. E agli inizi del 1800 si contavano già alcune migliaia di immigrati convenuti solamente in una zona ben identificata delle Paludi Pontine e cioè in una frazione di Sezze, Suso, una amena vallata ampia fertile e ben protetta. Qui intorno al 1820-30 era tutto un gigantesco insediamento di capanne dove erano confluiti gli originari di Sora, di Boville, di Monte S.Giov. C., di Veroli, di Ceccano e di altre località di quella parte del territorio a Sud di Roma che, oltre che con Alta Terra d Lavoro, si identificava in gran parte anche come Campagna, laddove Marittima era il territorio di cui stiamo parlando, cioè quello delle Paludi Pontine, del mare e delle cittadine lungo la Via Appia a cominciare da Velletri fino ad Itri. Naturalmente la situazione di questa umanità ammassata nella Valle di Suso non poteva che essere all’insegna del degrado e della precarietà, oggi la chiameremmo una ‘favela’: invero la miseria non fa mai storia e nessuno dunque si prendeva cura delle condizioni di vita di queste creature disperate. Il Cardinale Cappellari, futuro Gregorio XVI dal quale, raccontano gli storiografi, dipendeva questa regione, venne a conoscere lo stato e le condizioni degli immigrati di Suso e allora diede immediate istruzioni per la costruzione di una chiesa, affinché tutti potessero tenere cura almeno delle proprie anime. E così fu, si ebbe la erezione della cosiddetta Chiesa Nuova, che è sempre nel medesimo luogo, anche se oggi naturalmente le capanne a cono sono scomparse: e infatti gradualmente tutta quella umanità a poco a poco si disperse nelle varie cittadine lungo la Via Appia, aggiungendosi a quell’altra che vi si era insediata per altre vie, tanto che oggi andando in questi luoghi non sarà fonte di sorpresa rendersi conto che la maggior parte degli abitanti hanno radici e origini della Campagna e di Alta Terra di Lavoro. Quanto però va conosciuto e appreso e altamente apprezzato è che la Chiesa Nuova di Suso è stato il primo segno, la prima opera pubblica a vantaggio e a beneficio dei diseredati della Campagna e in parte di Alta Terra di Lavoro: la Chiesa Nuova a Suso di Sezze è il primo Memoriale alla emigrazione, il primo emblema e simbolo della diaspora ciociara. E i sindaci, oggi, sia della Ciociaria frusinate e sia della Ciociaria pontina come pure la Scuola e le altre istituzioni di tutta la Ciociaria Storica è tempo ormai che facciano valere e documentare e degnamene onorare il valore storico e commemorativo di tale fondamentale simbolo della storia comune, tale autentico luogo di pellegrinaggio e di memoria.
Michele Santulli